Luigi Fantappié e l'altra idea della scienza
di Francesco Lamendola - 10/12/2007
Nato a Viterbo il 15 settembre del 1901, Luigi Fantappié è stato professore universitario, titolare della cattedra di Alta Analisi dell'Università di Roma, insignito di vari premi internazionali per le matematiche e membro di Accademie sia italiane che estere.
Per entrare nel cuore della sua idea di scienza e del rapporto tra scienza e fede, riportiamo un brano di Luigi Fantappié esplicitamente dedicato a tale questione, breve e conciso, in cui con mirabile chiarezza il grande scienziato mette in evidenza gli errori in cui sono caduti molti divulgatori scientifici nel XIX secolo e come le ultime scoperte della fisica, e specialmente gli indizi di quel principio sintropico, da lui studiato e che egli considerava il naturale completamento del principio entopico operante in natura, andassero in tutt'altra direzione e cioè verso un'idea finalistica dell'universo, della vita e dell'essere umano. (Fonte: Don Giovanni Rossi, a cura di, Uomini incontro a Cristo, Assisi, Edizioni Pro Civitate Christiana, 1956, pp. 200-205).
"Cosa si può dire dei rapporti fra la scienza moderna e la religione, nel momento attuale? La scienza, infatti, si è così sviluppata, ha riportato successi così meravigliosi, da essere considerata la caratteristica più saliente della nostra civiltà , e appunto perciò è spesso ritenuta colpevole, con un giudizio molto sommario, di molte delle nostre attuali disgrazie e disillusioni.
"Cosa c'è di vero nelle frequenti accuse che si sentono rivolgere da ogni parte alla scienza? Anzitutto è necessario distingue subito la vera scienza, e cioè la disinteressata ricerca del vero, che ha continuato a svilupparsi ignota in generale al gran pubblico, da quella scienza di maniera del secolo passato [cioè l'Ottocento, nota bene], imbalsamata in tanti libri e libercoli di cosiddetta volgarizzazione, ridotta spesso a un'accozzaglia di luoghi comuni, e gonfiata poi con estrapolazioni ingiustificate fino a divenire, col positivismo, un sistema filosofico che si pretendeva di applicare in ogni campo, compreso quello umano e sociale, anche lontanissimo da quello in cui i risultati primitivamente ottenuti erano veramente giustificati e sicuri.
"Così si deve proprio a questo errato indirizzo, se, una volta riscontrato valido il principio di causalità meccanica nel campo dei fenomeni fisici, non si esitava poi a proclamarne la validità universale ed esclusiva anche nel campo della vita e soprattutto dell'uomo, escludendo di conseguenza dall'universo ogni tendenza finalistica, che si riteneva un errore o una superstizione pericolosa da combattersi con tutte le forze. E invano tanti pensatori si affannavano a richiamare gli uomini alla realtà delle loro stesse persone che sempre agiscono mosse da fini futuri, e non come automi mossi dalla pura causalità meccanica.
"Si può dire anzi che è appunto in questa cieca e ostinata pretesa di voler privare l'uomo e, in generale, l'universo, dei suoi fini, che culmina in sostanza l'errore della falsa scienza dell'ottocento, pretesa da cui forse sono effettivamente scaturiti gran parte dei mali che oggi ci affliggono ma che in ogni caso debbono rimproverarsi non alla scienza vera e propria, ma alle sue arbitrarie e arretrate superfetazioni nel campo sociale e morale.
"Ma v'ha di più! È infatti solo con questo pregiudizio antifinalistico, radicato in tutta la scienza positivista dell'ottocento, che si può spiegare un fatto altrimenti inesplicabile, senza il quale la scienza si sarebbe accorta già da più di mezzo secolo, e nello stesso campo fisico, della perfetta compatibilità logica del principio di causalità meccanica con quello di finalità. Intendiamo alludere ai tentativi fatti con esito negativo dal celebre matematico e fisico francese Henri Poincaré e da altri, per cercare di escludere nella teoria della radiazione luminosa, le soluzioni dell'equazione della luce detta dei 'potenziali anticipati' per conservare solo quelle cosiddette dei 'potenziali ritardati'. E sì che, pure, tante altre volte le soluzioni offerte dal calcolo matematico per le equazioni fondamentali che reggono un dato fenomeno si erano poi riscontrate come corrispondenti effettivamente a nuove realtà fisiche! Basti ricordare la scoperta del pianeta Nettuno e delle stesse onde elettromagnetiche, che furono visti dal Leverrier e da Maxwell, rispettivamente, prima con l'occhio della matematica e poi, dietro le indicazioni e l'aiuto di questo, riscontrati nella realtà.
"Ma il crollo definitivo di ogni obiezione contro il principio di finalità, che i positivisti proclamavano estraneo alla scienza, e la dimostrazione della sua perfetta compatibilità logica con quella di causalità, anzi della sua necessità per una certa categoria di fenomeni, si sono avuti solo recentemente con le ricerche sviluppate dal sottoscritto in questi ultimi anni.
"Partendo infatti dalle conquiste più scure della fisica moderna (struttura corpuscolare e insieme ondulatoria di ogni fenomeno naturale, teoria della relatività ristretta), si arriva a concludere con certezza matematica, che tra le soluzioni delle equazioni, che esprimono le leggi fondamentali dell'universo si distinguono due grandi classi, i potenziali 'ritardati' e 'anticipati', di cui gli esempi già ricordati nella teoria della radiazione luminosa costituiscono due casi particolari. E poiché i fenomeni naturali sono sempre rappresentati dalle soluzioni di queste equazioni, risulta che anche per tali fenomeni possono distinguersi, corrispondentemente, due grandi categorie, quelle dei fenomeni entropici e sintropici, con caratteristiche essenzialmente diverse. Verificato poi che i fenomeni entropici coincidono proprio, per le loro caratteristiche (principio di causalità meccanica, secondo principio della termodinamica o principio dell'entropia o del livellamento) con quelli finora studiati dalla fisica e dalla chimica, era allora naturale di indagare quali fenomeni potessero mai essere quelli sintropici, la cui esistenza era così imperiosamente suggerita dal calcolo matematico, attraverso le soluzioni dei potenziali 'anticipati'.
"E qui l'abbandono di ogni pregiudizio, che avrebbe fatto velo alla serena ricerca del vero, è stato riccamente premiato con risultati veramente meravigliosi e insospettati! Studiando infatti, con occhio libero da preconcetti, quali avrebbero dovuto essere le caratteristiche degli eventuali fenomeni sintropici, per mezzo delle proprietà matematiche delle soluzioni corrispondenti, è venuto fuori che tali fenomeni sarebbero necessariamente reti dal principio di finalità, proprio come quelli entropici (fisici e chimici) sono necessariamente retti dal principio di causalità meccanica. Appare quindi evidente che, come già nel secolo scorso era avvenuto per la teoria della radiazione già ricordata, così ora, ogni ingiustificato pregiudizio antifinalistico avrebbe irrimediabilmente preclusa qualunque possibilità di vedere chiaro nella questione dei 'potenziali anticipati' e dei fenomeni sintropici, da essi rappresentati.
"Inotre risulta che pei fenomeni sintropici, oltre al principio di finalità, deve valere anche un principio in un certo senso opposto a quello dell'entropia, e cioè un principio per cui, col crescere del tempo, si passa da forme pressoché omogenee a forme sempre più differenziate, in ogni sistema, ove si svolgono fenomeni di questa categoria.. Ma allora vediamo che queste insospettate proprietà dei fenomeni sintropici coincidono precisamente con quelle di moltissimi fenomeni effettivamente esistenti nella realtà e che finora erano restati del tutto inspiegabili e misteriosi, appunto perché, in sostanza, si voleva arbitrariamente ritenere che tutti i fenomeni dell'universo fossero entropici. Sei pensa per esempio, infatti, alla formazione dell'occhio e di tanti altri complicatissimi apparati degli esseri viventi, sempre più differenziati, e rivolti evidentemente a fini, armonicamente collegati , non si può fare a meno di riconoscere in tali fenomeni proprio le caratteristiche inconfondibili dei fenomeni sintropici, che abbiamo or ora enunciato.
"Dunque sono proprio i fenomeni tipici e finora più misteriosi della vita che debbono essere necessariamente identificati come fenomeni sintropici e conseguentemente spiegati con le leggi relative, del tutto diverse da quelle dei fenomeni fisici e chimici (entropici).
"E come per questi si riscontra, con Kant, la loro essenza nel principio di causalità meccanica che li governa sovrano, non si può allora non riscontrare l'essenza della vita nell'analogo principio di finalità, che governa sovrano i suoi fenomeni tipici. Vivere è dunque, sostanzialmente, niente altro che tendere a fini, sempre più complessi e più elevati, quanto più è ricca la vita. Per l'uomo, in particolare, i fini a cui tende non sono altro che i fini o gli ideali che egli ama, ed è dunque l'amore la sua legge fondamentale, a cui non po’ rinunziare senza rinunziare necessariamente a una parte più o meno grande della sua stessa vita.
"Gli sviluppi più recenti della scienza moderna ci mostrano dunque stampata nel gran libro della natura (che, diceva Galileo, è scritto in caratteri matematici), quella stessa legge di amore che è scritta nel Vangelo.
"Quanto diverso è dunque l'atteggiamento della scienza moderna verso la religione da quello del secolo scorso, sotto l'impero del positivismo! Possiamo veramente dire che la scienza, che era materialistica nel secolo passato, si è andata sempre più spiritualizzando, fino a divenire oggi la migliore alleata della fede. E ciò non deve sorprendere, perché se la scienza è fatta non per fini utilitari, né per orgoglio del sapere, che acceca sempre, ma per il solo amore della verità per la verità, e se è vero, come è vero, che Dio stesso incarnato ci ha detto: «Io sono la Verità» è evidente che la ricerca scientifica condotta per il solo amore della Verità viene a coincidere in realtà con la stessa ricerca amorosa di Dio, e deve quindi fatalmente sboccare nell'amore di Dio e nella fede più sicuramente sentita.
"È per questo che io ritengo che mai come nel momento attuale, in cui la scienza ha raggiunto una maggiore maturità, essa possa dare alla fede appoggi tanto validi, mezzi tanto potenti di penetrazione, proprio fra quelle grandi masse di uomini che, pur dicendo di non credere in Dio, credono però nella scienza e nella verità da essa portata. Approfittiamone dunque, e un nuovo, grande, glorioso periodo di sapere, di fede e di amore si aprirà per l'umanità intera."
Dopo la sua morte, avvenuta il 28 luglio del 1956 a Bagnaia, presso Viterbo, il nome di Luigi Fantappié stato un po' dimenticato e anzi si può dire che, incomprensibilmente, non sia mai divenuto veramente popolare presso il grande pubblico, restando piuttosto confinato prevalentemente presso una cerchia di specialisti. Eppure egli era straordinariamente in anticipo sui tempi, anche se proprio questo può, in parte, spiegare tale immeritato oblio. Comunque noi crediamo che la ragione principale di esso non sia tanto da ricercarsi nel suo lavoro di scienziato e nelle sue notevoli anticipazioni nel campo della fisica teorica, quanto nel fatto che egli, più di mezzo secolo fa, ingenuamente aveva considerato ormai conclusa la stagione neopositivistica, con le sue ottocentesche prevenzioni anti-finalistiche, e maturi i tempi per aprire nuove prospettive filosofiche dopo l'avvento della fisica quantistica. Di fatto è accaduto che l'establishment non tanto della scienza accademica, quanto della mediocre specie dei divulgatori scientifici che fanno da tramite fra essa e il pubblico non specializzato, ha voluto prendersi una vendetta postuma contro di lui, decretando l'oscuramento del suo nome e della sua opera pionieristica
È così. Noi siamo ancora afflitti da una sorta di corporazione o, se si preferisce, di lobby dei cosiddetti divulgatori scientifici, imbevuti sino alla punta dei capelli nei più vieti pregiudizi antimetafisici della scienza ottocentesca e, per di, più animati da un sordo rancore contro tutti quegli scienziati dalla mente aperta, creativa, che hanno visto la perfetta conciliabilità, anzi la sostanziale coincidenza, di ricerca scientifica e di finalismo filosofico. Si tratta in genere di scienziati mancati o di scienziati falliti, i quali portano nella loro opera di divulgazione una carica di frustrazione - che si traduce in vera e propria animosità - contro ogni forma di spiritualismo, di olismo, di organicismo, convinti come sono che la Scienza con la S maiuscola abbia definitivamente scacciato le superstizioni della religione e aperto all'umanità le magnifiche sorti e progressive. In genere sono più realisti del re: perché perfino gli scienziati ai quali maggiormente essi si ispirano - Darwin o Freud, per fare un paio di nomi - erano infinitamente più consapevoli di loro della complessità dell'ambito delle loro ricerche e, pur tendendo alla costruzione di un nuovo paradigma, non erano tuttavia esenti da dubbi e perplessità sulla coerenza e sulla verificabilità di parti importanti delle loro teorie. Darwin, ad esempio, era perfettamente consapevole del fatto che il famoso anello mancante fra l'uomo e i suoi antenati animaleschi non fosse stato ancora trovato; anzi, che non fosse stato trovato nessuno degli anelli mancanti sui quali si regge la teoria dell'evoluzione biologica, anche se era estremamente fiducioso che, prima o poi, i fatti gli avrebbero dato ragione.
Invece questi signori della divulgazione spicciola, che bombardano il pubblico con una martellante strategia spettacolaristica e il più possibile divertente e alla moda, sia nelle prime serate di importanti canali televisivi, sia dalle pagine patinate di numerose riviste per piccoli apprendisti scienziati fai-da-te, non sono neanche sfiorati dal minimo dubbio, dalla minima incertezza o salutare perplessità. Filosoficamente, sono rimasti fermi a Comte o, al massimo, ad Haeckel; si sono autonominati i paladini implacabili del più rigoroso scientismo materialista, riduzionista e meccanicista, e considerano un loro sacro compito quello di portare ovunque i "lumi" della ragione, smascherando frodi, credulità, ignoranza e superstizione. Per loro non esiste il mistero, non esiste il senso del limite: tutto è stato spiegato o è sul punto di esserlo; un poco alla volta le tenebre dell'oscurantismo cadranno definitivamente, ed essi saranno gli araldi vittoriosi di un mondo nuovo, efficiente, tecnologico, tutto laico e immanente, tirato a specchio fin nell'angolino più riposto di ciò che un tempo si chiamava ignoto.
Ma lasciamo perdere questi personaggi così poco interessanti, così prevedibili e monotoni nel loro zelo materialista, e torniamo a Luigi Fantappié, una figura che vorremmo fosse riscoperta e rivalutata secondo i suoi meriti reali: che furono grandi. Fin da ragazzo era stato uno studente-prodigio: ammesso a diciassette anni alla Normale di Pisa (ove studiò con Enrico Fermi), laureato a 21 anni con centodieci e lode in matematica pura, fu vincitore, lo stesso anno, di un premio di perfezionamento per l'estero e, a 22, di un altro premio di perfezionamento per l'interno. Nel 1924 era già assistente alla cattedra di Analisi infinitesimale all'Università di Roma e, nel 1925, libero docente di Analisi algebrica e infinitesimale; nel 1926 era titolare della cattedra di Analisi algebrica all'Università di Cagliari e, nel 1928, della cattedra di Analisi infinitesimale presso l'Università di Palermo. Intanto si faceva notare per gli straordinari risultati ottenuti nel campo della teoria delle funzioni analitiche e della risoluzione delle equazioni e sistemi alle derivate parziali, lasciando a bocca aperti celebrità mondiali della matematica, come il francese Jean Leray. Dopo aver tenuto un giro di conferenze in Germania, presso le maggiori università di quel Paese, riprese la sua straordinaria carriera di studioso, come titolare della cattedra di Analisi infinitesimale della Università di Bologna; dopo di che si trasferì per sei anni in Brasile, su invito del prof. Ramos di San Paolo, ove svolse un lavoro eccellente quale organizzatore degli studi matematici nel Paese sud-americano.
Nel 1939, rientrato in Italia, fu chiamato a ricoprire la cattedra di Alta Analisi all'Istituto nazionale di Alta Matematica di Roma. A coronamento di una serie di ricerche avveniristiche nel campo della fisica, nel 1942 egli presentò all'Accademia d'Italia la sua teoria unitaria del mondo fisico e biologico, basata sul principio di simmetria tra le forze entropiche e quelle sintropiche e illuminata da una ferma convinzione finalistica. Egli, poi, sviluppò ulteriormente tali ricerche ed intuizioni che, purtroppo, maturarono in un periodo tragico della storia d'Italia, mentre il Paese precipitava verso il baratro della sconfitta nella seconda guerra mondiale e non vi erano né il tempo né i mezzi per sviluppare e dare il giusto risalto a tali lavori, in ambito nazionale. In ogni caso, la sua intuizione del ruolo della sintropia nell'universo è qualche cosa di paragonabile a una vera e propria rivoluzione copernicana nella fisica del Novecento. Nel 1950 Fantappié venne invitato negli Stati Unitio d'America da Robert Oppenheimer, preso l'istituto di Studi Avanzati di Princeton, riconoscimento che lo collocava definitivamente tra i maggiori scienziati del suo secolo, acanto a personalità come Fermi, Einstein , Wheeler e lo stesso Oppenheimer.
Nel 1952 propose la teoria degli universi fisici, interpretando le leggi della teoria della relatività ristretta come invarianti del gruppo di trasformazione di Poincaré; mentre nel 1954 riusciva a dimostrare che il gruppo di Poincaré è il caso-limite di un nuovo gruppo e che, pertanto, la relatività ristretta può essere estesa su scala cosmica, ottenendo la relatività finale. Molto altro ci sarebbe da dire sulla straordinaria figura di questo genio della matematica, e ci ripromettiamo di farlo in altre occasioni; per intanto, rimandiamo il lettore desideroso di approfondire la sua biografia al libro di Giuseppe Arcidiacono Fantappié e gli universi (Roma, Il Fuoco Editore, 1986), al quale ci siamo rifatti per delineare questo rapidissimo schizzo della vita e dell'opera del Nostro.
Una cosa, tuttavia, dovrebbe essere apparsa chiara anche al profano: Fantappié non è stato uno studioso qualunque, ma uno dei più grandi scienziati del XX secolo: uno scienziato che, se fosse vissuto altrove, ad esempio negli Stati Uniti d'America, sarebbe giustamente indicato come una delle massime glorie nazionali degli ultimi cento anni. Come va che, invece, da noi - passata la gloria momentanea, culminata nel conferimento della medaglia d'oro del Ministero della Pubblica istruzione, nel 1955, per i benemeriti della cultura - il suo nome non è uscito dall'ambito relativamente ristretto dei cultori di fisica e di matematica? L'insipienza dei nostri mediocri divulgatori scientifici, della quale abbiamo testé parlato, è sufficiente a spiegare una lacuna così vistosa nel bagaglio culturale delle persone di media istruzione?
Inevitabilmente, un sospetto si forma nella mente di chi rifletta su tali interrogativi; un sospetto che tende a diventare certezza. Fantappié non aveva solo il "torto" di essere uno scienziato molto avanti rispetto al livello del paradigma scientifico esistente ai suoi tempi, ma anche quello di non fare mistero né delle sue convinzioni finaliste, né della sua fede religiosa. Questo, probabilmente, dava ombra - e la dà tuttora - non solo ai piccoli personaggi summenzionati, ma anche a quei centri di potere occulto, che sono anche di tipo culturale, i quali perseguono un disegno di ben più ampio raggio, e che si annidano non solo nella società italiana, ma sono ramificati a livello mondiale. Dal loro punto di vista, le teorie fisico-matematiche di Fantappié sono come fumo negli occhi, perché mettono radicalmente in crisi l'idea, ormai quasi assurta al rango di verità indiscussa, che il finalismo sia una teoria filosofica poco accettabile dal punto di vista scientifico e che parlare di fede, di amore, di spirito costituisce, nel campo degli studi sulla natura, una intollerabile eresia di sapore quasi medioevale.
Si dirà che vogliamo vedere cospirazioni dappertutto.
È possibile.