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Perché Musharaff è costretto a manipolare le elezioni: e così sarà

di Vinod Saighal - 10/12/2007





In parole povere, l’ex capo dell’Esercito pakistano ha perso potere. Avendo perso potere, è un patrimonio che si sta dissipando. A meno ché, però, egli non abbia ancora importanza per coloro i quali detengono le leve del potere. Attualmente, i principali detentori del potere in Pakistan restano raccolti nella famosa troika costituita da America, Esercito e gli autoproclamati “rappresentanti di Allah”, avendo questi ultimi allargato considerevolmente la loro base di consenso durante l’epoca della dittatura di Musharraf. Alcune migliaia di anni fa Kautilya nel suo famoso trattato Arthasastra ha evidenziato come “è la natura del potere imporre sé stesso”. A corollario, quando il potere comincia a scricchiolare, declina molto rapidamente.
Durante gli anni della sua dittatura, quand’era il Pak supremo, Musharraf riceveva il suo potere dalla troika. Nel mutare degli eventi, tutte le tre componenti della troika hanno compreso che Musharraf è sulla via del declino. Nonostante il Presidente degli Stati Uniti prosegua a elogiarlo, gli elogi adesso suonano vacui. L’ex capo dell’Esercito sicuramente è consapevole della situazione difficile in cui si trova, conscio che senza la base del proprio potere egli diverrebbe un prestanome, sacrificabile qualora le circostanze lo richiedessero. Per un ex dittatore, comunque, l’uscita di scena non è mai semplice. Nel caso di Musharraf, se venisse costretto a dimettersi, il tracollo sarebbe repentino, sicché ora sta cercando di costruirsi una nuova base di consenso. Un nuovo Parlamento in cui la maggioranza venisse conferita alla sua opposizione non perderebbe tempo nel sottoporlo ad impeachment. Verrebbe denunciato per alto tradimento, ne seguirebbe l’incarcerazione, anche se in quel momento l’Esercito pakistano e l’amministrazione statunitense potrebbero intervenire.
Alla luce dei precedenti, Musharraf non ha altra scelta che indire elezioni al più presto possibile ma a condizione che possano essere davvero manipolate in maniera significativa. Semplicemente non si può permettere che i suoi oppositori divengano maggioranza in Parlamento, specialmente non la maggioranza dei due terzi. Infatti dovrebbero essere i suoi sostenitori ad avere bisogno della maggioranza dei due terzi per legittimare il suo decreto del 3 novembre scorso.
Poiché è difficile prevedere quel che sarà il risultato delle elezioni di gennaio 2008 (come appena stabilito), è almeno certo che Musharraf non permetterà a una maggioranza a lui ostile di emergere. A meno che i due principali partiti politici del sistema non si mettano d’accordo per ripristinare lo status quo ante riguardo la giustizia e i media e per una commissione elettorale neutrale, la democrazia in Pakistan avrebbe perso un’enorme occasione per intraprendere la via attraverso cui radicarsi davvero in terra pakistana. Un’elezione manipolata darebbe un temporaneo soccorso a Musharraf. Non migliorerebbe di certo la condizione di quasi anarchia che è calata sul Pakistan. Invece ne verrebbe fuori il colpo finale che renderebbe il Pakistan uno Stato fallito. Apres moi le deluge. Dopo di me il diluvio. È troppo tardi per Musharraf per salvarsi; una rinascente società civile, consapevole della sua crescente importanza, deve coagularsi per salvare il Pakistan.


© Vinod Saighal

Nuova Delhi, 7 dicembre 2007

Il presente articolo è un approfondimento del pezzo precedente “Un'agenda per la rinascita del Pakistan”, contenuto nel sito www.vinodsaighal.com

Traduzione di Lorenzo Salimbeni

*Autore di L’equilibrio del Terzo Millennio; Per ricostruire la sicurezza nell’Asia meridionale; Ricostruire il Pakistan; Confrontarsi con il terrorismo globale; La via in avanti e I paradossi della sicurezza globale: 2000-2020.