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Crack in comune. Così i sindaci si preparano ad aumentare le tasse

di Maurizio Maggi e Luca Piana - 10/12/2007

In alcuni casi è solo un sospetto che serpeggia tra i cittadini più avveduti. In altri è una certezza acquisita: nel 2008 si pagheranno più tasse locali. Prendiamo Milano, dove il sindaco Letizia Moratti si vanta di non aver applicato un'addizionale sull'Imposta dei redditi (Irpef). Ebbene, proprio lei si trasformerà dal 2 gennaio nell'esattrice nouvelle vague con l'Ecopass. Una gabella studiata (ma esentando le auto più nuove, a prescindere dalla potenza) per ridurre l'inquinamento nel centro cittadino che consentirà al Comune di incassare tra i 30 e i 40 milioni di euro. Alla Moratti fanno compagnia altri borgomastri che, in modo più o meno esplicito, stanno aumentando i balzelli. Roma, Torino, Bologna e altre città hanno ritoccato l'addizionale Irpef, come mostrano i dati forniti a 'L'espresso' dalla Cgia di Mestre (vedi a pag. 66). Nello stesso terzetto di città, il gettito dell'addizionale prima del ritocco era già stato superato da quello delle multe agli automobilisti. Una voce che, in tutta Italia, vale ormai 1,5 miliardi di euro. In altre circostanze, per far affluire denaro nelle casse è stato deciso di rivedere la tassa sui rifiuti: a Torino si parla di un rialzo del 15 per cento in tre anni, a Palermo la spesa è raddoppiata, superando i 200 euro a famiglia.

Una bella fetta dei Comuni d'Italia è al verde. Qualcuno, soprattutto al Sud, è sull'orlo del fallimento. Lo dice la cronaca. A Catania in novembre i netturbini hanno lasciato per le strade cumuli di rifiuti. Uno sciopero con una semplice motivazione: il mancato pagamento del salario, ennesimo segnale di una salute finanziaria debole per la città guidata dal medico personale di Silvio Berlusconi, Umberto Scapagnini. Ad Agrigento qualche mese fa il sindaco Marco Zambuto, da poco eletto, aveva voluto scambiare la sua Lancia Thesis con uno scuolabus per i bambini delle elementari: "Il bilancio è in stato di pre-dissesto finanziario e necessita di interventi drastici", ha detto.


A Genova la situazione è certamente meno drammatica, ma anche il sindaco Marta Vincenzi non naviga nell'oro. L'aumento del costo del denaro, una tendenza mondiale, si sta rivelando una mazzata. Quest'anno, tra rimborso delle rate dei mutui e interessi maturati, l'amministrazione ha sborsato 113 milioni di euro. Nel 2008 dovrà tirarne fuori una trentina in più. Non resta che stringere la cinghia: nei prossimi cinque anni, ogni volta che un mutuo arriverà a scadenza, sarà sostituito con un prestito d'importo inferiore. Uno sforzo che non permetterà di scialare: a fine mandato la Vincenzi spera di aver ridotto il debito accumulato - oggi pari a 1,4 miliardi - di un centinaio di milioni.

Ogni città fa storia a sé - i municipi sono oltre 8 mila - e i fattori della crisi pesano in misura differente da una all'altra: i tassi d'interesse, raddoppiati nel giro di due anni; le difficoltà nel ridurre la spesa corrente, quella che serve a pagare gli stipendi dei dipendenti (ma anche a tenere in piedi gli apparati della politica); i colpi bassi dei vari governi che, indipendentemente dal colore, per blandire gli elettori hanno mortificato l'autonomia fiscale (l'ultimo caso è la riduzione d'ufficio dell'Ici prevista per il prossimo anno); e, infine, i passi falsi compiuti da alcune amministrazioni nel campo dei prodotti finanziari più innovativi, i cosiddetti derivati, che per alcuni rischia di tradursi in un bagno di sangue.

Tutti insieme, i Comuni portano sulle spalle debiti finanziari per 46 miliardi. Una cifra che, tenendo conto degli altri enti locali, sale a quota 100 miliardi, con molte regioni in affanno nel gestire i conti impazziti della Sanità. Secondo le prime stime elaborate dalla Ragioneria dello Stato, che 'L'espresso' è in grado di anticipare, sul monte debiti di loro competenza, solo i Comuni quest'anno sganceranno quasi 2 miliardi di interessi: 200 milioni in più rispetto al 2006. Per la prima volta da anni, questa voce del bilancio è aumentata in proporzione più rapidamente degli investimenti, ovvero i soldi per costruire scuole e strade o migliorare bus e tram.
La necessità di mettersi a dieta ha prodotto anche un effetto positivo. Nel 2007 i Comuni sono riusciti a contenere la spesa corrente, rispettando il diktat del governo: il totale è sceso di 600 milioni, a 43 miliardi. Le preoccupazioni, però, restano. In primo luogo perché oggi, per i sindaci, potrebbe rivelarsi più difficile ottenere credito. Lo conferma Raffaele Carnevale, senior director per l'Italia di Fitch, una delle agenzie internazionali che valutano il rating, ovvero l'affidabilità di un'istituzione che vuol prendere soldi in prestito: "Il problema dei derivati ha in qualche situazione aumentato l'attenzione sulla sostenibilità del debito degli enti locali. Adesso gli investitori interessati a questi prestiti sono diventati più esigenti e attenti, anche a seguito dell'eco negativa a livello internazionale che stanno avendo casi come quelli di Taranto e della Regione Lazio, impegnata a scongiurare il commissariamento".

Taranto è il simbolo del crack da evitare. Il Comune è fallito, è stato commissariato e ha dovuto eleggere un nuovo sindaco. Lo Stato ha garantito aiuti per 128 milioni, che serviranno a rimborsare una parte dei creditori. Ora le banche non prestano più un quattrino, mancano i soldi per le opere pubbliche e verrà messo in vendita il patrimonio immobiliare. A Milano, in tutt'altro contesto, il tallone d'Achille è legato alla nuova finanza. Nella capitale dei 'danée', la scelta di utilizzare strumenti finanziari evoluti, i derivati appunto, rischia di appesantire ulteriormente le casse cittadine, già gravate da un debito pari a due volte le entrate (il record, dopo Roma). Ristrutturando e rinegoziando più volte un maxi-prestito di 1,7 miliardi emesso nel 2005, trasformando il tasso d'interesse da fisso a variabile, il Comune guidato oggi da Letizia Moratti, già nella bufera per le consulenze d'oro, ha finito per avere in pancia una minusvalenza potenziale di 140 milioni. Una questione scottante sulla quale la Procura ha avviato un'indagine.

Il ricorso ai derivati è cominciato agli inizi del 2000, quando i Comuni hanno trovato sul mercato condizioni di finanziamento apparentemente più facili rispetto a quelle garantite dall'ente preposto, la Cassa depositi e prestiti (tra gennaio e ottobre i mutui erogati dalla Cassa si sono quasi dimezzati, scendendo a circa 1,5 miliardi). Con i derivati qualcuno è riuscito a ridurre il costo del debito, altri invece hanno finito per perderci. Secondo i critici, si è trattato di una vera ubriacatura collettiva, dagli esiti imprevedibili. I derivati sono collegati a debiti che scadranno magari fra vent'anni: guadagni e perdite dipendono fortemente dall'andamento dei tassi. Basta vedere cos'è successo nella Roma di Walter Veltroni: nel 2005, le operazioni sui derivati garantivano un valore positivo di 50 milioni. Nel 2007, con i tassi aumentati, il valore è diventato negativo sempre per 50 milioni, a fronte di un debito totale di 6,5 miliardi. Una situazione che peggiora a Torino, dove il sindaco Sergio Chiamparino si ritrova a fronteggiare un effetto negativo sui derivati stimato in circa 100 milioni: denari in più che, euro dopo euro, i cittadini rischiano di dover pagare in termini di maggior costo del debito.

Gli amministratori delle grandi città, in realtà, hanno diversi strumenti per affrontare la crisi-tassi. Marco Causi, assessore al Bilancio a Roma, sostiene che il Comune è riuscito a far fronte negli anni scorsi a pesanti investimenti e lo stesso farà in futuro: "Prevediamo il ricorso all'indebitamento per 1,2 miliardi per finanziare nuove infrastrutture, soprattutto l'ampliamento della metropolitana e lo sviluppo delle periferie. Non prevediamo tagli ai servizi". Si vedrà. L'indebitamento non è l'unico parametro utile per valutare la capacità futura di rimborsare i soldi presi a prestito. Se un Comune ha pochi debiti, ma costanti difficoltà a riscuotere le imposte, questo pesa negativamente. Come succede alla Napoli del sindaco Rosa Russo Iervolino. Anche se l'assessore alle Risorse strategiche, Enrico Cardillo, assicura che "le cose stanno migliorando e presto ne prenderanno atto anche le agenzie che distribuiscono le pagelle".
La nota su cui battono tutti sono i minori quattrini in arrivo dallo Stato. La questione è controversa. Le cifre dei cosiddetti trasferimenti aumentano costantemente (da 18,2 a 18,8 miliardi nel 2007), ma ogni anno il governo modifica qualche norma e su singole voci qualcuno ci perde. E tutti ricevano meno di quanto sperassero sulla base delle regole pre-modifiche. Nel 2007, ad esempio, lo Stato aveva limato i trasferimenti per 609 milioni presumendo per i Comuni un maggior gettito di pari importo grazie all'Ici, per effetto della rivalutazione delle rendite catastali relative ai fabbricati rurali e ad alcuni immobili commerciali. Cardillo nega che ciò sia avvenuto: "Le maggiori entrate si sono fermate a 107 milioni.

Per Napoli, la riduzione dei trasferimenti è stata così di 27 milioni: soldi spariti dal budget. Siccome non possiamo tagliare i servizi, finiranno danneggiati cultura e tempo libero. Prevedo un Natale all'insegna dell'austerità". Si lamenta anche il vicesindaco di Venezia, Michele Vianello: "Quest'anno mi sono venuti a mancare 70 milioni, quelli della legge speciale per Venezia, il cui contributo è crollato a soli 5 milioni".

Dalla vicina Mestre, Giuseppe Bortolussi, segretario della locale associazione artigiana Cgia, dice che i Comuni scontano un processo di responsabilizzazione gestito male a livello centrale: "Hanno sempre più compiti e meno risorse. E per tappare i buchi fanno quello che possono: aumentano le tasse, s'indebitano anche facendo pasticci come con i derivati, rincarano le tariffe". Ma non mancano gli espedienti. "Nel Nord-Est, come Treviso, Mestre, Vicenza, sono convinto che per andare a caccia dei soldi degli oneri di costruzione e di urbanizzazione, le municipalità abbiano trasformato troppi terreni in aree edificabili. Si è dato lavoro, ma sono certo che ci sono molti appartamenti vuoti e che in alcuni casi si è massacrato il territorio", spiega Bortolussi. A Catania, invece, il sindaco Scapagnini ha ceduto una fetta di patrimonio immobiliare a una società, Catania Risorse, controllata dal Comune stesso. Secondo l'interpellanza presentata alla Camera dal deputato del Pdci, Orazio Licandro, "taluni fornitori, creditori del Comune, dinanzi all'insolvenza dello stesso hanno già cominciato ad aggredire il patrimonio della Catania Risorse attraverso il pignoramento delle quote sociali".

Sanzioni severe per i sindaci che sgarrano e accorpamento tra piccoli Comuni: è questa la ricetta di Massimo Bordignon, professore di Scienza delle Finanze alla Cattolica di Milano. Tra il 1989 e il 2006 sono entrati nella procedura dei 'dissestati' 426 Comuni. Più di un quarto aveva tra i mille e i 2 mila abitanti. "Quando un piccolo Comune va in difficoltà, non serve il commissariamento: basta unirlo a quelli limitrofi", sostiene.

L'argomento per ora è tabù. E intanto per i sindaci resta sempre più arduo destreggiarsi tra difficoltà finanziarie e politiche: tagliare i servizi è impopolare, aumentare le tasse pure. La tenaglia si sta chiudendo.

(ha collaborato Gabriele Mastellarini)