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Le vittime dell'infamia di Israele

di vichi - 11/12/2007

     
 
I due bambini nella foto sono il piccolo Muhammad a-Shanti, due anni e mezzo, e il fratellino Mustafa, di quasi quattro anni.
Di tutta evidenza, non si tratta di pericolosi terroristi, eppure Israele impedisce a loro, e ai loro genitori, di recarsi all’Hadassah Hospital di Gerusalemme per ricevere le cure di cui hanno bisogno.
I due fratellini palestinesi, infatti, sono malati di fibrosi cistica e nella Striscia di Gaza, dove risiedono, non hanno la possibilità di ricevere le cure adeguate alla loro malattia e sono costretti ad andare una volta al mese a Gerusalemme per ricevere il necessario trattamento sanitario.
Prima di ogni visita, i genitori devono chiedere un permesso alle autorità israeliane, per uno di loro e per i due bambini, e i tempi di attesa per ottenerlo, negli ultimi sei mesi, si sono sempre più allungati.
L’ultima volta che a Muhammad e a Mustafa è stato concesso di recarsi in ospedale è stata a settembre, e da allora... 
e fino adesso non sono più riusciti ad ottenere i necessari permessi di ingresso, con le ovvie conseguenze relative al deteriorarsi delle loro condizioni di salute.

Da quando, il 19 settembre di quest’anno, la Striscia di Gaza è stata dichiarata come una “entità nemica”, Israele ha adottato tutta una serie di vergognose punizioni collettive contro la popolazione residente, tra cui la più infame e brutale è probabilmente quella di negare ai malati gravi la possibilità di accedere alle cure mediche all’estero.

Secondo i dati forniti dall’OCHA (cfr. Gaza Strip Humanitarian Fact Sheet, 28 novembre 2007), dal 9 giugno di quest’anno, su 782 pazienti che hanno avanzato richiesta di poter accedere a cure specialistiche a Gerusalemme Est, in Israele o all’estero, soltanto 100 hanno ricevuto il necessario permesso, e in molti casi solo grazie all’intervento di benemerite organizzazioni umanitarie tra cui, soprattutto, Physicians for Human Rights.
La mancata concessione dei citati permessi, o il ritardo nelle operazioni di passaggio, ha portato alla morte di almeno 29 Palestinesi, tra cui tre donne e un neonato, mentre dei circa 900 Palestinesi di Gaza che hanno in corso le pratiche per ottenere il permesso, ben 350 sono malati gravi e rischiano seriamente di morire anch’essi, aspettando.

Spesso, peraltro, è accaduto che alcuni Palestinesi ammalati - che avevano già ottenuto il permesso di uscita – siano morti per ingiustificati ritardi ai valichi o – infamia nell’infamia – perché si erano rifiutati di fornire informazioni utili alla quotidiana caccia di Tsahal ai “terroristi” di Hamas.

Il 18 ottobre un 21enne malato di cancro giungeva in ambulanza al valico di Erez, accompagnato dal padre; dopo due ore e mezza di attesa, incredibilmente, i soldati israeliani richiedevano che il malato attraversasse il tunnel del checkpoint con un girello anziché a bordo dell’ambulanza.
Attraversato il tunnel, tuttavia, il malato veniva respinto indietro, mentre il padre veniva arrestato e successivamente trattenuto in carcere per 9 giorni.
Il 28 ottobre, finalmente, il povero ragazzo poteva entrare in Israele ed essere ricoverato in ospedale, ma la sera stessa era già morto.
Il 22 ottobre un Palestinese di 77 anni, sofferente di emorragia allo stomaco, era arrivato in ambulanza al valico di Erez alle quattro del pomeriggio ma, dopo due ore di inutile attesa, veniva rimandato indietro; il giorno successivo, durante l’enensimo “tentativo” di passaggio, l’anziano Palestinese moriva mentre era ancora al checkpoint.

La situazione sanitaria della Striscia di Gaza è ancor più aggravata dal fatto che l’embargo imposto da Israele, e colpevolmente tollerato dalla comunità internazionale, riguarda anche le medicine e le attrezzature mediche.
Alla fine di novembre, secondo l’OCHA, il 31% delle attrezzature mediche essenziali e il 20% delle medicine – inclusi i farmaci pediatrici e oncologici - risultano avere scorte pari a zero; una delle conseguenze è che il tasso di mortalità tra i neonati ospedalizzati si è accresciuto dal 5,6% al 6,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Nonostante ogni contraria e unilaterale dichiarazione, Israele continua ad essere “potenza occupante” nei confronti della Striscia di Gaza, in quanto ne mantiene un effettivo e ferreo controllo sui confini territoriali e marittimi, nonché sullo spazio aereo.
Come tale, Israele rimane soggetto alle disposizioni del diritto umanitario internazionale – e segnatamente della IV Convenzione di Ginevra – che impongono la protezione e la salvaguardia dei cittadini della Striscia, con particolare riguardo al diritto alla salute e a ricevere adeguate cure mediche; sarebbe in ogni caso proibita, del resto, ogni forma di punizione collettiva, quale è quella che Israele, nella sua spietatezza e nella sua infamia, continua a infliggere a un milione e mezzo di Palestinesi, uomini, donne, bambini, anziani, ammalati.

Ma che Israele consideri la IV Convenzione alla stessa stregua della carta straccia lo sapevamo, e non ci sorprende.
Quello che stupisce e indigna è che la comunità internazionale – che pure sarebbe impegnata a far rispettare le previsioni della Convezione “in ogni circostanza” – faccia finta di niente ed eviti accuratamente di intervenire, persino con una semplice nota di biasimo al governo israeliano.
Compreso, è ovvio, il nostro governo, che annovera tra le sue fila vari spregevoli politici la cui amicizia per Israele è evidentemente ben più forte della dichiarata ispirazione cristiana.