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Le multinazionali petrolifere firmeranno presto accordi in Iraq

di Ben Lando - 11/12/2007




I sogni delle grandi multinazionali petrolifere sono vicini ad avverarsi mentre il ministero iracheno del Petrolio prepara gli accordi per i maggiori giacimenti sulla base di condizioni che non sono necessariamente quelle che le compagnie speravano, ma vengono considerate un piede nella porta del settore petrolifero più promettente al mondo.

Le riserve petrolifere accertate dell'Iraq sono inferiori solo a quelle di Arabia Saudita e Iran – e il Paese è stato esplorato solo al 30 per cento.

L'Iraq produce circa 2,4 milioni di barili al giorno, un aumento recente rispetto ai 2 milioni di media del periodo successivo all'invasione, ma molto al di sotto di quello che le sue riserve potrebbero consentire. Il suo settore petrolifero soffre per decenni di gestione incompetente dell'epoca di Saddam Hussein, sanzioni Onu, e gli effetti della guerra attuale.

La decisione su come sfruttare una risorsa che fornisce quasi l'intero budget federale è politica e controversa. Con allarme reciproco, il governo nazionale si baserà su una legge dei tempi di Saddam, e la regione kurda sta firmando accordi per conto proprio.

Sui dettagli relativi ai negoziati fra il ministero e le grandi compagnie petrolifere internazionali viene mantenuto il silenzio, anche se i media stanno raccogliendo informazioni frammentarie qua e là.

MarketWatch riferisce che alcuni dirigenti della BP e della Shell dovevano incontrarsi con il ministro del Petrolio Hussain al-Shahristani dopo la riunione dell'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio di ieri ad Abu Dhabi. Platts, l'azienda globale di informazioni sull'energia dice che alti funzionari del ministero e delle compagnie devono incontrarsi ad Amman questa settimana.

Lo stesso Shahristani aveva fatto alcuni accenni alla United Press International in una recente intervista, dicendo che sta andando avanti con gli accordi petroliferi, nonostante l'assenza di una nuova legge nazionale sul petrolio, una bozza della quale è bloccata in negoziati da oltre un anno.

"Questo non ha niente a che vedere con la legge nazionale sul petrolio. Non c'è nessun calendario di scadenze. In qualsiasi momento finiremo le nostre discussioni firmeremo semplicemente i contratti", aveva detto alla UPI ai margini del summit dei capi di Stato dell'OPEC il mese scorso.

"Si tratta fondamentalmente di contratti di supporto tecnico", aveva detto, aggiungendo che i contratti non saranno il risultato di un processo di gare d'appalto. "Compagnie selezionate ci offriranno il supporto tecnico di cui abbiamo bisogno per sfruttare i nostri giacimenti attualmente in produzione".

Sfruttare i giacimenti in produzione? "Sì, solo quelli".

Con le compagnie che stanno aiutando, che hanno fatto degli studi a riguardo, che hanno fatto questo lavoro? "Sì. Esattamente. Esatto".

Quanti giacimenti? "Non faremo nessun annuncio finché non firmeremo i contratti".

[I giacimenti] supergiganti? "Sì, sono quelli supergiganti".

I giacimenti supergiganti sono quelli che hanno riserve per almeno 5 miliardi di barili, e in Iraq comprendono quelli di Kirkuk, Majnun, Rumaila nord e sud, West Qurna, e Zubair. Anche le riserve di quelli di Nahr Umr e East Baghdad potrebbero arrivare a 5 miliardi di barili, e si dice che sul tavolo dei negoziati ci siano molti grossi giacimenti fra quelli attualmente in produzione.

Le maggiori compagnie petrolifere del mondo sono ansiose di entrare in Iraq, dato che le loro riserve contabilizzate vanno diminuendo, e una grande quantità crescente di riserve globali sono soggette a sistemi nazionalizzati.

Prima della guerra e nel periodo successivo, funzionari della compagnie petrolifere si erano incontrati con funzionari statunitensi, compreso il vice presidente Dick Cheney, per discutere dei contratti relativi al petrolio iracheno. Ex alti funzionari di queste compagnie furono incaricati dall'occupazione a guida Usa di fornire consulenza al ministero del Petrolio.

"Questo significa che per le major che hanno fatto corsi di formazione per il personale del ministero del Petrolio, studi sui giacimenti, redatto piani di lavoro, e fornito consulenza generale negli ultimi anni è tempo di riscuotere", dice Samuel Ciszuk, analista di questioni energetiche specializzato in Medio Oriente di Global Insight. "E' una cosa intelligente".

Rinunciare alle gare d'appalto permette al ministero di muoversi rapidamente, aggiunge, nonché di dimostrare che i suoi critici, come i kurdi iracheni, hanno torto.

Secondo alcuni insider con i quali la UPI ha parlato di recente, nonché articoli apparsi sui media, la Shell, che nel 2005 ha prodotto uno studio tecnico su Kirkuk, vuole un accordo per il giacimento. La BP ne vuole uno per quello di Rumaila, su cui ha fatto uno studio lo scorso anno. La Shell e la BHP Billiton stanno cercando di ottenere il giacimento di Maysan, nel sud. La ExxonMobil è interessata al giacimento di Zubair, anch'esso nel sud, mentre la Dome e la Anadarko Petroleum puntano a quelli di Sabha e Luhais.

La ConocoPhillips sta trattando con il ministero riguardo al giacimento di West Qurna, hanno detto alcuni funzionari della major russa all'agenzia di stampa Dow Jones. La Lukoil, di cui la Conoco detiene il 20 % delle azioni, negli anni '90 aveva un accordo con Saddam Hussein per West Qurna, che però è stato annullato prima della guerra.

La Chevron e la Total hanno fatto coppia in un'offerta per il giacimento di Majnun.

Meno dell'1 per cento delle riserve accertate dell'Iraq si trovano nella zona controllata dal Governo regionale del Kurdistan, ma il successo di alcune esplorazioni limitate e alcune formazioni geologiche hanno suscitato l'entusiasmo del KRG.

Rafforzato dal disprezzo per il controllo centrale, e dalla lentezza con cui procede la legge sul petrolio, il KRG ha approvato la propria legge regionale sul petrolio, e ha firmato oltre 20 accordi di esplorazione e produzione con compagnie petrolifere internazionali.

Shahristani ha definito "illegali" gli accordi del KRG, e a Baghdad sta lentamente maturando una disputa. Nessuna delle maggiori compagnie ha firmato con il KRG, temendo di venire inserita in una lista nera da parte di Baghdad riguardo al resto del bottino iracheno.

Shahristani, che a sua volta sta diventando sempre più impaziente, ha dato inizio ai negoziati, anche se il KRG sostiene che la legge dell'epoca di Saddam è illegittima. Washington, che continua a sottolineare l'importanza che venga approvata una nuova legge sul petrolio, ha dato la sua benedizione a Shahristani.

Il settore petrolifero iracheno è stato completamente nazionalizzato nel 1972, e il potere concentrato nelle mani della Iraqi National Oil Company. La INOC per il momento non esiste più, e il suo ruolo è stato incorporato nel ministero.

Il ministero può firmare da solo gli accordi che riguardino contratti di servizio, anche se potrebbe aver bisogno dell'approvazione preventiva del Consiglio dei Ministri.

Ma se dovesse firmare un qualunque contratto di rischio o di concessione, tipo i Production Sharing Agreement come ha fatto il KRG, in base alla legge dei tempi di Saddam avrebbe bisogno dell'approvazione del Parlamento.

E, anche se i contratti di servizio sarebbero molto redditizi per le compagnie, le grandi multinazionali del petrolio vogliono contratti di rischio. Tali accordi sono di solito a lungo termine, coprono i costi di esplorazione, e garantiscono un profitto se dovesse essere scoperto del petrolio, oltre a consentire alle compagnie di contabilizzare le riserve scoperte, una manna agli occhi di Wall Street.

A parte la sicurezza – che se rimarrà scarsa renderebbe gli accordi più costosi per l'Iraq – le esplorazioni petrolifere nel Paese comportano relativamente pochi rischi. Storicamente, il petrolio è stato facile da trovare, economico da produrre, e della migliore qualità.

Coloro che sostengono la struttura nazionalizzata popolare in Iraq – guidati dai potenti sindacati del settore petrolifero – e gli attivisti che temono che il fine ultimo della guerra sia quello di rubare la ricchezza petrolifera dell'Iraq sono contrari ai contratti di rischio.

Hassan Jumaa Awad, presidente della Iraqi Federation of Oil Unions, la coalizione che raggruppa i sindacati de petrolio, ha detto alla UPI a Londra la settimana scorsa che contratti di servizio che portino nuova tecnologia e formazione saranno sufficienti.

"Le capacità e le risorse nazionali", ha detto, "sono in grado di aumentare la produzione nell'industria petrolifera".


(Traduzione di Ornella Sangiovanni)


United Press International