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Svizzera: l'oligarchia mondialista attacca l'esercito di milizia e il neutralismo

di Gianfranco Montù - 11/12/2007

 

Svizzera: l'oligarchia mondialista attacca l'esercito di milizia
l'ex ministro della Difesa svizzero Adolf Ogi

In Svizzera l’esercito nazionale è nell’occhio del ciclone. La notizia è certo relativa nel contesto europeo, a livello continentale si tratta solo di una piccola entità militare, anche se, dagli specialisti, considerata molto efficace. Assume tuttavia un senso politico rilevante se la si situa nella crisi di identità e di sovranità in cui stanno sprofondando i paesi europei, piccoli o grandi che siano.
E il caso elvetico è decisamente emblematico.
In sintesi è in atto uno scontro tra le oligarchie politiche ed economiche e gran parte degli ufficiali di ogni grado, oltre che nell’opinione pubblica ancora molto legata all’esercito nazionale.
Per capire quanto sta accadendo bisogna fare un passo indietro nel tempo.
I “poteri forti”, scomparso il pericolo sovietico, hanno perfettamente capito che un esercito di popolo è un grave ostacolo alla tirannia che dilaga sempre più sotto la loro regia. Come negli altri Stati europei tendono dunque a trasformare l’esercito, elemento fondamentale di sovranità e difesa nazionale, in una specie di polizia internazionale al servizio dei loro interessi nel globo.
La maggior parte di paesi europei ha così abolito l’esercito di leva – che con tutti i suoi difetti restava un elemento di grande amalgama della nazione per i giovani – ed ha creato dei professionisti. Ovviamente da inviare in guerre che non servono affatto alla nazione ma molto più agli gnomi di Wall Street e alla strategia di potere israelo-americana.

L’armata di milizia
In Svizzera tuttavia gli oligarchi hanno addentato un osso. L’esercito di milizia evetico infatti è ancora qualcosa di molto più radicato nel popolo che quello di leva, per non parlare di eventuali soldati professionisti. Il servizio militare , a parte le solite frange pacifiste, è un dovere etico ancora molto sentito. E’ il servizio che ogni cittadino deve prestare non per qualche anno ma per qualche mese ogni anno. Sino a qualche tempo fa andava sino a circa 50 anni. Oggi il limite è stato portato a circa 35 anni, ovviamente solo per i militi, gli ufficiali vanno oltre.
Ogni cittadino porta l’arma a casa con tutto l’equipaggiamento militare, ogni milite sa di potere essere chiamato in caso di attacco al paese e sa dove recarsi in caso di mobilitazione attuabile entro 12 ore – 24 ore. I cosiddetti “corsi di ripetizione” , la parentesi annuale o biennale di vita militare sono parte integrante della vita del cittadino e il grado raggiunto nell’esercito ha spesso un’influenza anche nella carriera civile. Fino a qualche tempo fa la Svizzera con 7 milioni di abitanti era in grado di mettere in campo in caso di guerra mezzo milione di soldati in brevissimo tempo, soldati addestrati tutti gli anni, per anni. Quest’armata tutt’altro che fragile aveva ed ha tuttora un immenso consenso popolare: vi prendevano e vi prendono parte per tutta la vita attiva il contadino come l’impiegato, il funzionario, il dirigente, l’operaio. I ciclici periodi di servizio militare erano (e sono per il momento ancora) anche un mezzo per ritrovarsi, rinsaldare la camerateria, creare una gerarchia di spirito e non di censo, ma anche a generare un senso di solidarietà e appartenenza nazionale, che in un paese federale trilingue non è un particolare da poco.
Inoltre il consenso popolare non nasce solo per quel senso di onore militare e servizio patrio di cui si è ormai quasi perso traccia nel resto d’Europa. Il consenso derivava e deriva ancora da un caposaldo iscritto nella costituzione elvetica: la neutralità. Che significa nessuna volontà aggressiva all’esterno, ma ferrea difesa territoriale, della nazione, della sovranità. Un concetto elementare di guerra legittima, basato anche sull’antico buonsenso di una nazione contadina che recita come adagio popolare: dove non c’è il proprio esercito c’è un esercito straniero. Meglio il proprio.

Le trame del potere mondialista
Questo l’oligarchia mondialista non poteva e non può sopportarlo. L’esercito di milizia elvetico è un pugno nell’occhio per il futuro governo mondiale dove tutti dovranno essere disarmati davanti al Dio Mercato, alla Psicopolizia, alle “truppe di pace” dell’asse israelo-americano.
Per questo , da qualche anno, anche l’esercito elvetico come quelli europei deve affrontare il nemico più insidioso, il più letale. La Quinta colonna che agisce con devastante efficacia in tutta Europa.
La demolizione è iniziata con la guerra in Kosovo. Uno dei burattini elvetici dell’oligarchia, l’allora ministro della difesa Adolf Ogi volle spingere la neutrale Svizzera all’intervento a fianco della NATO. Il 25 aprile 1999 , Ogi andò a prendere ordini a Washington dal ministro americano William Cohen. Tre mesi dopo Ogi riusciva a coinvolgere la Svizzera nell’occupazione del Kosovo. Non trovando militari di Stato Maggiore disponibili ad avallare un intervento contrario alla Costituzione neutralista elvetica, Ogi convocò un ufficiale dell’aviazione di second’ordine, Christophe Keckeis, e gli ordinò di provvedere segretamente e in 24 ore alla formazione di un contingente aviotrasportato per il Kosovo, prima che la cosa venisse dibattuta in Parlamento. In altri tempi sarebbe stato reato di alto tradimento. Ma l’oligarchia domina la partitocrazia e il Parlamento chiuse gli occhi. Alla termine del suo mandato politico Ogi fu premiato dall’ONU con un poltrona alle attività sportive: politicamente nulla, come si deve ai servi abietti, ma ben pagata. La sua sodale, Carla Del Ponte, un oscuro avvocaticchio ticinese, finì a presiedere la Corte dell’Aia a circa un milione di euro l’anno, pagati dai contribuenti svizzeri.
Quanto a Keckeis due anni dopo diventava addirittura capo di stato maggiore dell’esercito svizzero.
Con un ordine preciso: scardinare il più possibile l’esercito di milizia, trasformarlo in un’entità NATO compatibile, cambiare la sua stessa ragion d’essere: dalla difesa territoriale a quella che ipocritamente viene definita “una forza di keep peace” , di mantenimento della pace. Una baggianata che nasconde un realtà meglio definibile con “mercenari degli USA” al servizio dell’oligarchia. L’operazione fu chiamata riforma XXI.

Le reazioni all’interno dell’esercito svizzero sono state furiose, ma il successivo ministro della difesa, Samuel Schmid, della stessa risma di Ogi, ha massacrato quasi tutti gli ufficiali della vecchia guardia. Pochi giorni fa è stato silurato il capo della forze terrestri, comandante di corpo d’armata Luc Fellay. Keckeis ha ridotto l’esercito da 500.000 uomini a 140.000, soppresso unità essenziali alla difesa territoriale come le truppe di montagna ippomontate, indispensabili in un paese montagnoso come la Svizzera, e creato invece unità adatte al trasporto truppe fuori dai confini, come chiede la NATO, ma costose e inutili alla difesa. L’esercito tradizionale è continuamente attaccato da una furibonda campagna stampa in cui si distingue quella che dai nazionalisti è definita la piovra Ringier, una casa editrice che diffonde il verbo mondialista e che domina l’editoria con edizioni in 10 paesi, 120 giornali, 20 televisioni.
Una delle pubblicazioni di punta della Ringier, l’ “Hebdo” è arrivata a chiedere la nomina di un generale plenipotenziario (la Svizzera ha un generale solo in caso di guerra) per gestire la riforma, o meglio la distruzione dell’esercito nazionale. Non solo: ben sapendo che i cittadini soldati sono molto legati al principio dell’arma in casa per ogni milite, la Ringier ha fatto lanciare da un settimanale femminile “Annabelle” ( considerando il pubblico femminile più anti militare) una campagna referendaria per modificare questo essenziale fondamento dell’esercito di milizia. Senza il diritto di detenere l’arma a casa tutta la vita cade l’intera struttura dell’esercito di milizia popolare, il concetto più ortodosso del cittadino soldato.
La battaglia degli oligarchi non è ancora vinta e molti ufficiali sono in aperto conflitto con le istituzioni partitocratiche. Che tuttavia procedono come un rullo compressore: un esercito popolare nel cuore dell’Europa è un segno intollerabile di libertà e indipendenza, assolutamente incompatibile con il potere globale dei Mercanti, i nuovi balivi, davanti alle statue dei quali, come nel mito dell’elvetico Guglielmo Tell, tutti i cittadini, diventati sudditi, dovranno togliersi rispettosamente il cappello.