"Compra fresco, compra locale" il fenomeno dei Farmers' markets, dalla California a tutto il Paese. La notizia che ha dato l’idea a tutti su come New Orleans, dopo le devastazione del ciclone Katrina, stia lentamente tornando alla normalità è datata 22 novembre: ha riaperto il Crescent City Farmers Market. «Tutti erano commossi, contenti di quello che era successo, un segno della ricostruzione», racconta nella sua mail Poppy Tooker, responsabile del Convivio Slow Food della città. L’associazione con la chiocciolina, che conta 13 mila soci negli Stati Uniti, ha deciso di sostenere quel mercato di contadini come simbolo della solidarietà legata al cibo. Negli ultimi cinque anni i farmers markets (i mercati dei contadini) nati negli Anni Novanta in California - con la spinta della bio-chef Alice Waters, titolare del ristorante Chez Panisse di Berkeley - come reazione alle merci «globalizzate» dei grandi magazzini, sono passati da 3 mila agli attuali 3700 (con una crescita superiore al 30 per cento) e interessano le grandi metropoli.
Nella città della Grande Mela esiste una organizzazione - la Greenmarket Farmers Market - che gestisce 54 mercati tra Manhattan, Brooklyn, Queens e Staten Island: sono frequentati ormai da 250 mila consumatori ogni settimana.
Il concetto dal quale sono nati - oltre a voler dare spazio all’agricoltura biologica e ai piccoli produttori di qualità - è legato alle food miles. Gli economisti americani hanno recentemente studiato che il cibo viaggia troppo, inquina, produce costi occulti che vengono pagati dalla comunità. Raccontano Tim Lang e Michael Heasman nel loro recente libro Food wars che le percorrenze delle derrate alimentari giunte al terminal di Chicago hanno avuto un ulteriore incremento del 22% nella già siderale distanza (per noi) che compiono sui Tir Usa: nel 1981 erano in media 1245 miglia, nel ‘99 sono salite a 1518.
Le regole dei farmers market fissano in 40-50 miglia di viaggio il limite per accettare i prodotti. E non si possono neppure portare al mercatino le cipolle del vicino, per evitare che passino commercializzazioni non controllate. Due economisti inglesi, Jules Pretty e Tim Lang, hanno calcolato con uno studio della Essex University che se tutti gli inglesi mangiassero frutta e verdura proveniente da un raggio di 20 chilometri il risparmio annuale, in termini di costi ambientali, sarebbe di oltre due miliardi di sterline.
Oggi la collettività si fa carico - con il viaggio dei pomodori siciliani che vanno a Napoli per il centro di raccolta del supermercato e poi tornano a Palermo per arrivare sui banconi di vendita, un autentico caso segnalato recentemente da alcune inchieste dei consumatori - di un costo del 12 per cento della merce, che dovrebbe essere ulteriormente caricato sul cliente». (La Stampa, 19 dicembre 2005)
Nella città della Grande Mela esiste una organizzazione - la Greenmarket Farmers Market - che gestisce 54 mercati tra Manhattan, Brooklyn, Queens e Staten Island: sono frequentati ormai da 250 mila consumatori ogni settimana.
Il concetto dal quale sono nati - oltre a voler dare spazio all’agricoltura biologica e ai piccoli produttori di qualità - è legato alle food miles. Gli economisti americani hanno recentemente studiato che il cibo viaggia troppo, inquina, produce costi occulti che vengono pagati dalla comunità. Raccontano Tim Lang e Michael Heasman nel loro recente libro Food wars che le percorrenze delle derrate alimentari giunte al terminal di Chicago hanno avuto un ulteriore incremento del 22% nella già siderale distanza (per noi) che compiono sui Tir Usa: nel 1981 erano in media 1245 miglia, nel ‘99 sono salite a 1518.
Le regole dei farmers market fissano in 40-50 miglia di viaggio il limite per accettare i prodotti. E non si possono neppure portare al mercatino le cipolle del vicino, per evitare che passino commercializzazioni non controllate. Due economisti inglesi, Jules Pretty e Tim Lang, hanno calcolato con uno studio della Essex University che se tutti gli inglesi mangiassero frutta e verdura proveniente da un raggio di 20 chilometri il risparmio annuale, in termini di costi ambientali, sarebbe di oltre due miliardi di sterline.
Oggi la collettività si fa carico - con il viaggio dei pomodori siciliani che vanno a Napoli per il centro di raccolta del supermercato e poi tornano a Palermo per arrivare sui banconi di vendita, un autentico caso segnalato recentemente da alcune inchieste dei consumatori - di un costo del 12 per cento della merce, che dovrebbe essere ulteriormente caricato sul cliente». (La Stampa, 19 dicembre 2005)