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Società del non lavoro e innovazione tecnologica. Alcune ipotesi.

di Carlo Gambescia - 12/12/2007

 

Il post di ieri sulla tragedia alla ThyssenKrupp ha sollevato, grazie agli amici commentatori, una questione molto importante: quella tra la nascita di una società del non lavoro e il possibile ruolo a riguardo dell’ innovazione tecnologica. Una questione che va oltre quella della sicurezza e dei controlli, pur importante. E che merita di essere discussa, anche se per sciabolate...
Partiamo dalla possibilità di realizzare una società del non lavoro all’interno del quadro politico, economico e sociale capitalistico. Il che, sia detto subito, ci sembra impossibile.
Infatti non è sufficiente puntare sul solo ruolo progresso tecnologico. Dal momento che i processi di innovazione non sono qualcosa di socialmente neutrale. Perché, di regola, vengono gestiti in termini di riproduzione sociale dei rapporti gerarchici e di potere esistenti. Pertanto l’uso sociale dell’innovazione tecnologica resta ancorato a rapporti di classe. Nel capitalismo l’innovazione tecnologica, per un verso viene accettata dalle élite dominanti in termini di riduzione dei costi, ma per l’altro modellata sulle esistenti gerarchie sociali e sulle esigenze di continuità del sistema (per alcuni sopravvivenza...). In buona sostanza l’obiettivo è quello di ridurre i costi ma senza provocare mutamenti sociali. Insomma, anche se in camice bianco e seduti davanti allo schermo di un computer si resta sempre operai, condannati a funzioni ripetitive e remunerate come prima (se non di meno). Quanto alla manodopera eccedente si può ricorrere, come sta avvenendo, a un mix di flessibilità, welfare minimale, sorveglianza sociale e divertimenti mediatici e turistici. Legando così, a scopi di controllo sociale, il produttivismo a un tasso crescente di divertentismo sociale, se ci si passa l'espressione.
Secondo altri la società del non lavoro potrebbe nascere solo in un quadro politico, economico e sociale completamente diverso: di gestione socialista dell’innovazione tecnologica. Tuttavia anche in tale circostanza, resta sempre la questione che l’uso sociale della scienza, che inevitabilmente anche se finalizzato al progresso tecnologico, implica al suo interno lo sviluppo di gerarchie di scienziati, esperti ed organizzatori: uomini che continuerebbero oggettivamente a comportarsi come membri di un casta. Il punto "sociologico" della questione è che ogni specializzazione implica una gerarchia di dipendenze esterne ed interne al gruppo sociale che la gestisce: una società più è articolata, più si regge su una stratificazione sociale complessa, che si compone di numerosi gruppi ed élite, poste ai vari livelli della scala sociale delle professioni. Gruppi ed élite con i quali anche in una società socialista in transizione verso forme comuniste, il potere politico (la élite delle élite, che tende sempre a ricostituirsi) non potrà non confrontarsi. A che scopo? Ma per individuare il giusto mix di socialismo e produttivismo. Un miscela, come mostra la storia del Novecento, non sempre facile da “scoprire”, soprattutto in una società che si voglia basata non sul profitto ma su una liberazione dal bisogno, che non può però rinunciare, proprio per lo scopo titanico che si propone, a buone basi di crescita economica.
Secondo altri ancora, una terza possibilità di società del non lavoro, potrebbe essere rappresentata dalla rinuncia a ogni tecnologia come a ogni bisogno di tipo consumistico: una società della decrescita, basata su una sorta di rovesciamento in positivo del paolino chi non lavora non mangi… Una scelta del genere però implicherebbe non solo una profonda rivoluzione culturale in chiave idealistica, ma anche la necessità di produrre comunque mezzi economici e militari per fronteggiare le restanti società del lavoro. Le quali non vedrebbero sicuramente di buon occhio, nel quadro di un capitalismo mondiale ancora dominante, una società che scegliesse volontariamente la decrescita. Certo, resta anche l'ipotesi di contemporanea conversione alla decrescita e al non lavoro di tutte le società. Il che però sembra difficile
Ci siamo limitati ad alcune riflessioni, molto generali se non generiche, sulle quali si auspica l'apertura di un dibattito.