La violenza è la grande emergenza del nostro tempo. Anche accantonando gli oltre settanta paesi del mondo nei quali, in ognuno di questi anni, si è combattuta una guerra, la nostra vita è costellata da violenze, che i media ci ricordano ogni volta che accendiamo la TV o leggiamo un giornale. La violenza domestica dei mariti che uccidono le mogli, le madri che sopprimono i figli, le infinite sopraffazioni ed abusi che avvengono tra le mura delle famiglie, tradizionali o “di fatto”.
La violenza metropolitana del quartiere degradato, o di quello dove la ricchezza si accompagna all’inciviltà. La violenza politica, quella etnica, quella razziale, quella delle associazioni criminali, quella che si scatena nelle scuole, o, in modi più camuffati, nei luoghi di lavoro. E si potrebbe continuare.
Tutte queste forme di violenza alimentano e si incrociano con quella violenza potenziale, verso gli altri o se stessi, che accompagna molte forme di malattie mentali. Una situazione, quella del disagio mentale, che oggi vive anch’essa un fortissimo incremento, a sua volta produttore di nuove violenze.
Si tratta dell’impennata dei malesseri psichici in forte aumento nella prima giovinezza, in gran parte provocati dall’abuso di droghe iniziato in giovane età, e di quelli che si manifestano nella seconda parte della vita, con l’incremento delle forme degenerative del cervello e del sistema nervoso (anch’esse molto spesso causate dall’abuso prolungato di droghe).
Gli omicidi e le violenze messe in atto dai pazienti psichiatrici hanno riattivato le discussioni sulla legge 180, la cosiddetta Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra che la ispirò, che alla fine degli anni 70 aprì i cancelli dei manicomi, affidando i pazienti psichiatrici in parte alle famiglie, in parte a strutture diverse, poi solo parzialmente realizzate. E’ in una di queste strutture, la Comunità Albatros, che veniva curato il paziente schizofrenico che poi uccise uno degli operatori. La vittima aveva più volte denunciato i pericoli di quel modo di curare, troppo debole verso la malattia, e le sue spinte violente.
La Cassazione (come prima il Tribunale, e l’Appello), ha confermato la condanna a quattro mesi di carcere, allo psichiatra, accusato di aver prescritto farmaci troppo blandi, e con un controllo troppo episodico, ad un paziente già ricoverato in due manicomi criminali, e giudicato pericolosissimo da altri medici.
Questa sentenza ha riaperto il dibattito sulla Legge Basaglia, che regola oggi i trattamenti psichiatrici. Molti giornalisti e politici hanno denunciato l’“attentato” alla legge 180, e alla libertà di cura del medico. I medici sono stati più prudenti. Molti hanno notato che un aspetto debole della legge Basaglia, con la sua secca imposizione di chiudere i manicomi, era l’accantonamento del concetto di pericolosità, mentre i pazienti psichiatrici, a volte, sono pericolosi.
Il medico, ricorda questa sentenza, deve tenerne conto. Certo anche la psichiatria, come la psicologia, ha una sua intrinseca vaghezza, che non può mai essere superata con un’assoluta certezza. Tuttavia, come ha osservato il prof. Vittorino Andreoli: «bisogna che lo psichiatra sappia che fra i sintomi di alcune patologie (come quelle deliranti, e la schizofrenia paranoidea) esiste la pericolosità, e che va curata».
Negli anni 70 si è guardato, ideologicamente, alla pericolosità come ad un concetto poliziesco, soggettivo, mentre invece è anche un sintomo clinico, oggettivo. Lo psicoterapeuta che ne tiene conto, dunque, non sta tradendo la Legge Basaglia. Sta solo facendo il suo mestiere.

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