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La Turchia sulla strada della riforma costituzionale, verso una nuova sovranità

di Aldo Braccio - 13/12/2007



Un interessante articolo di Luca Carniel apparso su “Pagine di Difesa” (www.paginedidifesa.it/2007/carniel_071205.html) affronta il tema della nuova Costituzione (Anayasa) in Turchia – al proposito vorremmo fornire qualche dato ulteriore al dibattito.

Ergun Őzbudun – il professore di diritto posto a capo della squadra di giuristi incaricati di elaborare una bozza del nuovo testo costituzionale – ha così indicato le priorità del progetto di riforma (1) :
1° - Portare libertà e diritti fondamentali a standard universalmente riconosciuti, specialmente a quelli della Convenzione europea in tema di diritti umani;
2° - Ridefinire gli equilibri tra i diversi organi dello Stato, nel senso ad esempio di porre un limite all’eccessivo potere del Presidente della Repubblica e dell’Assemblea superiore delle Forze Armate;
3° - Ridurre alcuni aspetti “fortemente ideologici” presenti nell’attuale Carta costituzionale, pur mantenendo il riferimento (art. 2) al legame con il “nazionalismo di Atatürk”.

Őzbudun ha anche anticipato che la laicità dell’impianto generale della Costituzione non verrà affatto cancellata o sminuita.

Si ritiene che l’auspicata nuova Carta costituzionale possa essere varata entro l’autunno 2008 : l’iter procedurale prevede la presentazione della bozza dei giuristi al mondo politico – in particolare all’AKP, il partito del Primo Ministro Erdoğan che ha stravinto le elezioni avendo nel suo programma di governo anche le modifiche costituzionali – e poi l’approvazione in Parlamento e il referendum popolare.

Naturalmente non sono esclusi - in itinere - cambiamenti al testo prossimamente formulato dai costituzionalisti, per cui appare prematura una valutazione dell’impatto complessivo della nuova Anayasa : si possono tuttavia formulare alcune osservazioni.

Innanzitutto, il paese vive con favore e con aspettativa l’apertura al cambiamento dimostrata dal governo Erdoğan : lo scorso 21 ottobre, ad esempio, un referendum sulle riforme costituzionali, comprendente una serie di proposte (in primo luogo l’elezione popolare del Presidente della Repubblica, ma anche la riduzione della durata della legislatura, e altro) ha visto la netta affermazione dei “sì”; nei giorni scorsi, inoltre, si è tenuto ad Ankara un gruppo di lavoro organizzato dalle massime espressioni sindacali e imprenditoriali per la presentazione di un’ulteriore bozza/proposta di nuova Costituzione, che confluirà nel successivo dibattito politico – riprendendo così implicitamente il tema della nuova “Costituzione civile” (espressione, cioè, della “società civile”) proposto nella campagna elettorale dell’AKP.

Gli obiettivi politici della compagine governativa – che, a dispetto di alcuni malevoli commentatori occidentali, rappresenta evidentemente buona parte dell’opinione pubblica turca – sembrano principalmente quelli di una risistemazione, di un riequilibrio della funzione pubblica.

L’attuale Costituzione risale a un periodo (1980 – 1983) di egemonia e dittatura militare (pienamente riconosciuta, fra l’altro, dagli alleati americani), in cui politici di destra e di sinistra finivano in galera e le minoranze etniche venivano negate nella loro stessa esistenza.

Il peso specifico delle Forze Armate nelle istituzioni è pertanto preponderante, e ora il mondo politico – per non parlare, lo ripetiamo, dell’opinione pubblica turca – reclama una rinnovata autonomia di scelta e di decisione; autonomia che la preservi da colpi di Stato “costituzionali” e da ingerenze di ogni sorta, anche eterodirette, di cui esempi si sprecano da decenni a questa parte.

In questo senso anche una riconosciuta autonomia delle istituzioni religiose e delle minoranze etniche – di fronte a una interpretazione letterale e ottusa dell’eredità kemalista – favorirebbe la fine di tensioni e di incomprensioni, riportando il dibattito politico a questioni vere e sostanziali – quali la collocazione della Turchia nello scenario internazionale, il suo ruolo di ponte fra Europa e Asia – anziché alla stucchevole e falsa contrapposizione laici contro islamici continuamente enfatizzata dai massmedia filoamericani.

L’articolo 136 dell’attuale Costituzione, ad esempio, prevede ruolo e compiti della Diyanet, la Presidenza per gli affari religiosi, organo statale che gestisce la religione nella sfera pubblica amministrando materialmente il culto islamico e le sue 75.000 moschee, garantendo la laicità dello Stato anche attraverso disposizioni paradossali e discriminatorie quali il divieto dell’uso del velo tradizionale nelle Università e negli uffici pubblici. Noi crediamo – in conformità all’orientamento di buona parte del mondo politico turco – che sarebbe preferibile escludere tali diktat e “controlli di apparato” per garantire invece piena libertà religiosa e riconoscimento delle minoranze anche etniche nell’ambito di uno Stato autorevole e sovrano che voglia evitare la frammentazione interna e sappia darsi una dimensione di organicità.

*Aldo Braccio, redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, è esperto di Turchia.


(1) Si veda la recente intervista di Fabio Salomoni al prof. Őzbudun, www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/8547/1/167