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Algeria: una guerra dimenticata

di Manuel Zanarini - 13/12/2007

 

I due attentati ad Algeri hanno spostato l’attenzione dei mass-media su una situazione che di solito viene taciuta: la guerra civile in Algeria.

Come al solito, servono i casi clamorosi per svegliare l’attenzione generale, ma la situazione del Maghreb è esplosiva e ha origini lontane.

Ripercorriamo rapidamente la storia di questo Paese e vediamo da dove parte la rivolta anti-Occidente.

Il primo Novembre del 1954 viene redatta la Dichiarazione che darà inizio alla guerra di liberazione dall’invasore francese. Il Governo di Parigi risponde inviando ad Algeri i paracadutisti e il famigerato corpo paramilitare O.A.S. (Organisation Armee Secrete). Dopo 8 anni di guerra civile che lascerà sul terreno oltre 1.000.000 di morti tra i civili algerini, nel 1962 l’Algeria otterrà l’indipendenza, sancita dalla nascita della Repubblica indipendente figlia di un referendum costituzionale. La libertà scatena la vendetta; infatti mentre i coloni francesi, i pieds noirs (piedi neri), lasceranno la nazione, peggio andrà ai harkis (algerini rimasti fedeli alla Francia) che verranno massacrati.

Nel 1963 si instaura il primo governo indipendente, sarà un regime a partito unico guidato dal FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), il partito che ha guidato la lotta d’indipendenza.

Rimane però deluso chi si aspetta la nascita della democrazia; infatti il leader Ben Bella viene accusato di aver instaurato una dittatura e il 19 Giugno 1965 un colpo di stato guidato da Boumedienne lo dimette, ma la situazione non cambia.

In questi anni la politica USA prevede aiuti affinché nei paesi arabi si formino “fronti nazionali islamici” di matrice moderata che si oppongano ai regimi fondamentalisti, soprattutto in chiave israeliana, come si fece in Iraq in funzione anti-iraniana.

 In quest’ottica va letto l’accordo stipulato con l’Algeria per la cessione di gas naturale liquefatto; infatti mentre nel sottosuolo americano i giacimenti di gas non mancano il Governo di Washington lo va a comprare in Algeria. Anche a livello culturale si cerca di legare Algeri a Washington. Mentre nel paese l’elite francofona gode di un tenore di vita agiato, visto che i posti di lavoro più prestigiosi sono a lei riservati, la maggioranza della popolazione vive nella povertà e nell’ignoranza. Così parte il progetto di “arabizzazione” della cultura algerina, grazie soprattutto all’arrivo di insegnanti provenienti dall’Arabia Saudita, fedele alleata degli USA, stanziamenti per moschee e scuole coraniche.

Come spesso è accaduto, però, la situazione si rivolge contro Washington; infatti da questo punto si noterà una larga diffusione di istanze radicali, soprattutto tra la popolazione più povera.

Altro fatto che acuirà il sentimento islamico anti-Occidentale sarà l’accordo stipulato nel 1980 con la Francia che prevede il rientro in Algeria di 800.000 lavoratori emigrati di cui ora Parigi non ha più bisogno e che alimenteranno il fuoco della protesta civile cavalcata dai fondamentalisti.

Infatti gli anni 1974-75 segneranno l’inizio degli scontri tra integralisti e progressisti. La miccia sarà rappresentata dalla richiesta dell’introduzione del Codice della Famiglia, un provvedimento che introdurrebbe la Sharia nella legislazione algerina.

Nei primi anni ’80 saranno molti i casi di violenza civile: nel ’81 una manifestazione islamista a El Oued terminerà con l’incendio di un magazzino di alcolici; nel Novembre del 1982 all’Università di Algeri vi saranno scontri che causeranno 1 morto e numerosi feriti e proprio nel 1982 nasce il primo partito islamico d’Algeria: il Movimento Islamico Algerino (MIA).

Come risultato della pressione fondamentalista, nel Giugno del 1984 il Codice della Famiglia diventa legge. Seguiranno numerosi scontri tra moderati e integralisti che culmineranno nella rivolta del Settembre1988 in cui numerosi edifici pubblici verranno incendiati e ci saranno almeno 500 morti.

Nel Febbraio del 1989 tutti i gruppi islamici radicali si uniscono e danno vita al Fronte Islamico di Salvezza (FIS), che verrà legalizzato il 14 Settembre dello stesso anno.

Il nuovo partito farà breccia tra le frange povere della società algerina, garantendo loro servizi sociali come assistenza medica, cibo e aiuti economici, sulla scia del movimento palestinese Hamas.

Nel Giugno del 1990 vengono annunciate le prime elezioni politiche multipartitiche della storia da tenersi nel Giugno dell’anno successivo. Nel frattempo, il 12 Giugno, si tengono le consultazioni municipali ed il FIS diventa il primo partito nazionale.

In un clima di forte tensione si arriva al 25 Maggio del 1991 quando il FIS invita la popolazione ad uno sciopero illimitato per protestare contro la formazione di circoscrizioni elettorali volta a far vincere il FLN. Così il Governo decide di spostare il voto a Dicembre.

Il 26 Dicembre 1991 si tiene la prima consultazione politica “libera”, e i risultati consegnano la maggioranza al FIS che si accaparra il 24.54% dei consensi, primo partito, lasciando al FLN solo il 12,17% dei voti. Nella migliore tradizione delle “democrazie” appoggiate dall’Occidente, visto che il popolo ha scelto il partito “sbagliato” (vedi cosa succederà anni dopo in Palestina con Hamas) il Governo decide di annullare le elezioni, dichiara lo stato d’emergenza e nel Marzo del 1992 dichiara il FIS illegale sciogliendolo.

A questo punto i dirigenti e militanti del FIS entreranno in clandestinità formando milizie armate, le più importanti sono il GIA (Gruppo Islamico Armato) e il AIS( Armata Islamica di Salvezza), dando vita ad una guerra civile che causerà almeno 200.000 morti e più di 10.000 deseparecidos.

La guerra si combatterà a colpi di attentati (i più feroci sono quello all’aeroporto di Algeri del Marzo ’92 che causò 9 morti e 128 feriti; uno nel cuore della capitale che ha provocato 42 morti e 300 feriti ed il massacro di Relizane, ad Ovest di Algeri, del Giugno ’99 con un conteggio di 200 morti la maggior parte sgozzati o decapitati) e rappresaglie dell’esercito che ha visto spesso vittime tra civili innocenti.

Per porre un freno all’escalation di morti il Governo algerino propone una tregua e un invito al dialogo che trova sponda nella dichiarazione di cessate il fuoco e successivo scioglimento dei maggiori gruppi armati islamici e l’approvazione per referendum della Legge sulla concordia civile.

Non tutte le frange estremiste accettano la resa e danno vita al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento (GSPC).

La nuova formazione, già nel 2000, ha aperto campi di addestramento nel deserto meridionale algerino reclutando volontari anche da paesi del Sahel, come il Niger, il Malì e la Mauritania, e ha stretto rapporti con gli altri movimenti maghrebini, formando la cellula di Al-Qaeda denominata Al-Qaeda per il Maghreb islamico.

La situazione è talmente calda nella zona che nel 2002 il Governo statunitense ha dato vita all’operazione “Trans Sahara counter terrorism iniziative”, affiancando all’esercito algerino alcune truppe del proprio esercito.

Anche se i media occidentali non parlano più spesso della situazione algerina, il conteggio dei morti non si è arrestato. Nel 2006 ci sono state almeno 300 morti e, arrivando ai giorni nostri, nel 2007 vi sono stati numerose vittime e i due attentati di questi giorni che hanno provocato almeno 67 vittime.

Trovo non secondario sottolineare i posti dove sono state collocate le autobomba: una di fronte al Consiglio Costituzionale, nel quartiere sud di Algeri, vicino alla Corte Suprema e l’altra tra il palazzo degli uffici del UNHCR (l’alto commissariato ONU per i rifugiati) e un commissariato di polizia.

Questo dimostra che la violenza islamica in Algeria non è figlia di Al-Qaeda o di una presunta “Guerra Santa” volta a cancellare la civiltà Occidentale, ma è semplicemente figlia dell’imperialismo francese prima e statunitense poi e ha come obiettivo la liberazione della propria terra.

Forse se si smettesse di considerare i paesi non occidentali come colonie interferendo nelle loro vicende socio-politiche, non si arriverebbe a certi livelli di conflitto.