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Sudamerica: l'Argentina di Cristina Fernández de Kirchner non cede al FMI

di Siro Asinelli - 13/12/2007

 

Sudamerica: l'Argentina di Cristina non cede al FMI

L’FMI torna sul luogo del delitto, l’Argentina, e lo fa proponendosi come mediatore nella insoluta questione del debito argentino con il Club di Parigi. Sono 6200 i milioni di dollari statunitensi che Buenos Aires deve al gruppo informale formato da 19 Paesi creditori, tra cui l’Italia, creato nel 1956.
Dalla presidenza di Néstor Kirchner a quella di sua moglie Cristina Fernández de Kirchner, fresca di giuramento, l’attitudine del Paese sudamericano di fronte alla questione solvenza non sembra essere cambiata. Il piano di ammortamento del debito già presentato dall’amministrazione uscente prevede l’estinzione completa entro il 2017. Il punto chiave dell’offerta, ancora al vaglio del Club di Parigi, è che il Fondo Monetario Internazionale resti fuori da ogni trattativa. Cristina è sulla stessa posizione, confermando quanto dichiarato in questi ultimi anni sia in qualità di senatrice che, per tutta la campagna elettorale, in qualità di candidata del Frente para la Victoria. La posizione è dettata allo stesso tempo da necessità economico-finanziarie e da necessità politiche. Il ruolo da protagonista dell’Argentina nella creazione del Banco del Sur, organismo regionale lanciato dal presidente venezuelano Hugo Chavez e varato ufficialmente domenica scorsa a Buenos Aires, ha definitivamente accreditato il Paese come uno dei principali propulsori di un sistema di sviluppo economico finanziario innovativo, basato su necessità di integrazione latinoamericana e di cooperazione solidale, ma soprattutto alternativo agli organismi creditizi sopranazionali come la Banca Mondiale, la Banca Interamericana per lo Sviluppo e, guarda caso il Fondo Monetario Internazionale. Dal punto vista politico il rifiuto di un qualsiasi intervento del FMI è il risultato delle strategie che questo organismo ha attuato nel Paese negli anni disastrosi delle gestioni neoliberiste. Molti argentini ritengono con legittimità che le politiche del FMI in Argentina, imposte o suggerite alle lobby compiacenti, abbiano esasperato ulteriormente la feroce crisi economica del biennio 2001-2002.
Risollevando il Paese da una crisi che sembrava irrisolvibile, l’amministrazione Kirchner ha dato un taglio netto ai rapporti con il Fondo riuscendo ad estinguere l’intero debito di 9,5 miliardi di dollari Usa alla fine del 2005. Un passo importante per il Paese, salutato nel gennaio del 2006 dallo stesso presidente come “una dichiarazione di indipendenza” dalle ricette del FMI. Nel corso del suo primo discorso ufficiale di fronte all’Assemblea legislativa, la nuova presidenta – già protagonista di attacchi diretti all’organismo creditizio – non è stata da meno elogiando la cancellazione del debito operata dal suo predecessore e criticando “le misure di aggiustamento” imposte all’Argentina durante gli anni ’90.
Di fronte a questo muro, al neo presidente del FMI, il francese Dominique Strass-Khan anche lui ad inizio settimana presente all’atto di insediamento di Cristina, non è rimasto che mantenere toni conciliatori. Il transalpino, che a Buenos Aires si è intrattenuto anche con il neo ministro dell’Economia Martín Lousteau, tra i pochi cambi al governo voluti dal nuovo capo di Stato, si è limitato a frasi di circostanza: “Spero che si possa arrivare ad una soluzione” della controversia tra Buenos Aires ed i creditori, ha detto specificando che la questione “non coinvolge in assoluto il FMI”. Eppure questa diplomatica presa di distanza ostentata da Strauss-Khan stride con il regolamento del Club di Parigi che al FMI ha infatti affidato il compito di revisore, il che significa che ogni proposta di risoluzione del debito argentino con i 19 creditori deve passare per l’assenso formale del Fondo. Le regole parlano chiaro: per lo statuto del Club di Parigi l’Argentina deve accordarsi con il Fondo per poter presentare un piano di estinzione abbordabile.
È evidente che Strauss-Khan gioca a fare l’agnello, consapevole che quelle che ha definito le “ragioni storiche” dell’avversione argentina al Fondo non possono essere superate con un atto unilaterale, ma devono essere raggirate con arte. Alla fine, Strauss-Khan ha il coltello dalla parte del manico: se Buenos Aires vuole concludere un accordo per rinegoziare ed estinguere il debito deve sottostare alle regole statutarie del Club, ovvero deve accettare di aprire una linea di dialogo con il FMI. Va così a finire che quando Strauss-Khan dichiara che si tratta di “una questione tra argentini e Paesi creditori”, dal punto di vista formale ha perfettamente ragione.
Resta però un punto di vista informale, ovvero quello della sovranità politica e della dignità nazionale. Buenos Aires non può e non deve accettare compromessi con il Fondo Monetario Internazionale; gli argentini, e con loro la Casa Rosada non possono accettare le parole di Strauss-Khan quando dichiara angelico di essere “disposto a fare tutto il possibile per aiutare l’Argentina”.
Se, come detto, il FMI ha sempre il coltello dalla parte del manico – e non solo con l’Argentina – è altrettanto vero che la sua lama appare sempre meno affilata. La fermezza con cui il Frente para la Victoria si è opposto, sin dal 2003, all’intervento revisore del Fondo nella questione insoluta con i suoi creditori ha creato un presupposto senza precedenti. Il fatto poi che non solo l’Argentina, ma anche il Brasile, abbiano estinto i loro debiti con il FMI, sembra aver contribuito ad indebolire l’ascendente internazionale dell’istituto creditizio. Per l’immagine del Fondo il messaggio è stato dirompente: Buenos Aires, in particolare, ha dimostrato che non solo è possibile uscire dal tunnel degli interessi usurai, ma è altrettanto possibile risollevare le sorti economiche di un Paese evitando di applicare le ricette neoliberiste di organismi sopranazionali, ma adattando l’economia alle esigenze sociali e politiche locali. Una lezione che ora rischia di provocare un effetto domino soprattutto nei Paesi a crescita media ovvero quelli potenzialmente più a rischio di ricatto FMI o Banca Mondiale. Contestualmente, l’Argentina ha dimostrato che è possibile creare e servirsi di strumenti innovativi, uno su tutti il neonato Banco del Sur, per agevolare lo sviluppo e favorire la crescita.
Tenere testa al Club di Parigi sulla questione FMI è un atto di forza che potrebbe rappresentare un presupposto internazionale. Per Strauss-Khan ed i soci creditori l’allarme deve essere ai massimi livelli, al punto che sembra che i due organismi stiano studiando soluzioni alternative da applicare al caso argentino. Non sarebbe la prima volta: già nel 2005 la Nigeria ottenne la rinegoziazione del debito contratto con il Club senza essere sottoposta ad alcuna revisione del FMI. I presupposti erano ben diversi da quelli argentini: la precaria situazione politica ed i forti interessi delle multinazionali energetiche erano il terreno di confronto. Per Fondo e Paesi creditori allora si trattò di rimediare ad una situazione di empasse oggettivo per poter spremere ancor meglio le risorse del Paese. Al contrario, in Argentina l’empasse è dovuto alla risolutezza del “Partito delle K”. Eppure il caso nigeriano potrebbe rappresentare una valida uscita di sicurezza per entrambi gli organismi sopranazionali. Un’uscita che potrebbe ammortizzare temporaneamente il colpo assestato all’immagine di organismi come questi. In ogni caso una vittoria per la nuova Argentina ed il compatto fronte alternativo al liberismo sorto America Latina.