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Banche: continua la lotta di BanKitalia contro il contante

di Lorenzo Moore - 13/12/2007

 

Banche: continua la lotta di BanKitalia contro il contante

La guerra dichiarata dalle banche alla “costosa” cartamoneta con l’espresso obiettivo di imporre in Italia l’utilizzo della moneta elettronica trova col passare del tempo protagonisti sempre più determinati, aiutati spesso da esponenti politici come Prodi, definito da un senatore di Fi “portaborse dei banchieri” e “promotore degli interessi del grande capitale finanziario”.
Una lotta portata avanti con una strategia multifocale che vede, da un lato, l’approvazione da parte della politica di misure strumentali agli interessi del mondo banco-finanziario, e dall’altro, il progressivo smantellamento di tutto ciò che consente alla moneta cartacea di continuare ad essere un sicuro strumento di scambio. Il tutto, ovviamente, realizzato per quanto possibile, nel silenzio dei media e dei principali sindacati, allineati o messi strategicamente a tacere. Uno dei principali obiettivi delle banche è risparmiare gli ingenti costi di gestione del contante e guadagnare le laute provvigioni legate all’utilizzo dei meccanismi telematici e alla gestione dei necessari conti correnti e delle carte elettroniche. Costi che, in futuro, saranno pagati dai clienti.
Tra i più determinati protagonisti della strategia, oltre all’Ue e alla Bce, controllata dagli uomini della finanza internazionale, c’è nel nostro Paese la Banca d’Italia, istituzione che in barba al conflitto di interessi è chiamata a vigilare sugli istituti di credito che di palazzo Kock sono azionisti. Guidata oggi da un ex collaboratore dell’americana Goldmann Sachs, Mario Draghi, l’istituto ha trovato in lui e nei suoi uomini nuova energia per la creazione di un mondo costruito in toto nell’interesse delle banche.
I benefici della realizzazione della Sepa (Single Euro Payments Area) ammonteranno per l’economia europea a 20 miliardi l’anno per i prossimi 6 anni, ha dichiarato ieri Maurizio Saccomanni, il direttore generale dell’istituto e già vice-presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers), recentemente chiamato a Via Nazionale da Draghi per aiutare gli istituti italiani ad “espandersi” nel più debole mercato dell’Est. Il Sepa, l’area unica dei pagamenti in euro di cui il maggior utilizzo delle carte di pagamento è solo un tassello, come ha ammesso il numero due di Palazzo Kock, è “il necessario complemento dell’introduzione della moneta unica e del processo di integrazione finanziaria europea” e porterà significative riduzioni dei costi di transazione nonché l’innalzamento del grado d’innovazione del mercato dei pagamenti. La nuova direttiva sui servizi di pagamento, ha spiegato, mira “all’uniformità del quadro normativo” e per questo è “opportuno rafforzare fin da subito i meccanismi di confronto e coordinamento a livello europeo, al fine di evitare - ha ammesso - che le discrezionalità nazionali reintroducano le asimmetrie normative che si intendeva superare”. Nella prospettiva della Sepa, ha continuato Saccomanni, è necessario “ampliare la gamma dei prodotti paneuropei a quelli di più recente sviluppo e procedere a una ridefinizione dei meccanismi di governance”, in modo da “promuovere l’uso di strumenti di pagamento innovativi” che in Italia mostrano un rallentamento delle transazioni pro capite e un valore assoluto ancora nettamente inferiore a quello della media dell’Eurosistema, nonostante la dotazione infrastrutturale “allineata a quella degli altri Paesi”. L’inspiegabile preferenza per il contante degli italiani, che per il 90% fanno così le loro transazioni, per la Banca d’Italia deve evidentemente essere superata, magari in nome della lotta all’evasione fiscale e muovendosi, come disse l’anno scorso l’Abi, su diversi fronti, portando ad un “radicale cambiamento culturale” che implichi l’utilizzo delle carte anche per piccoli importi. Questo processo, come ha sottolineato un anno fa l’Ugl, è però “l’anticamera di una drastica riduzione occupazionale”, indotta dal calo delle operazioni allo sportello, della minimizzazione del costo del lavoro e della massimizzazione del profitto per le banche.
Ed è proprio in quest’ottica che bisogna leggere la scelta dei vertici dell’istituto, denunciata ieri dalla Falbi, di convocare i sindacati in funzione “antisciopero”, riproponendo un canovaccio già visto in occasione dello sciopero del 31 maggio scorso, quando i sindacati allineati diffusero un comunicato in cui annunciavano trionfalmente l’avvio di un “confronto senza pregiudiziali”. L’incontro, come è noto, portò però al via libera del piano di chiusura delle Filiali provinciali. Riproponendo la stessa strategia, alla vigilia dello sciopero del 14 dicembre, quegli stessi sindacati hanno ieri “concordato” un incontro per il 12 in modo da ostacolare la partecipazione allo sciopero. Il taglio delle filiali, d’altronde, è un altro tassello della guerra al contante e impedire che l’opinione pubblica ne venga a conoscenza è evidentemente indispensabile per la finanza