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Il sole del Bangladesh. Modelli sostenibili

di Marinella Correggia - 13/12/2007

 

Quanto a emissioni di anidride carbonica, la responsabilità pro capite dei contadini del Bangladesh e del loro paese è ridottissima: inversamente proporzionale ai danni che il riscaldamento climatico fa cadere laggiù. Fa dunque tenerezza calcolare la CO2 evitata da una famiglia rurale bengalese che ha adottato un pannello fotovoltaico da 30-100 Watt. Ma tant'è: l'energia elettrica di origine solare sostituisce le lampade al kerosene facendo risparmiare appunto fino a 375 kg di anidride carbonica, e l'equivalente di sei dollari al mese; una cifra destinata ad aumentare se il governo ridurrà il sussidio al kerosene, rendendo dunque ancora più evidenti i benefici economici del pannello. Ci sono poi quelli sanitari: evitano soprattutto alle donne, che trascorrono più ore in casa, di respirare il fumo del combustibile fossile, e ai bambini i rischi di scottature anche gravi.
La missione sociale e ambientale di diffondere l'energia solare nelle aree rurali povere, è portata avanti con successo, in Bangladesh, dall'organizzazione Grameen Shakti (shakti significa energia in bengali), creata nel 1996 come impresa non-profit nell'ambito della famosa Grameen Bank, la banca dei poveri. E se quest'ultima e il suo fondatore Muhammad Junus hanno ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2006, nel 2007 Grameen Shakti e il suo direttore Dipal Barua sono stati fra i cinque vincitori del cosiddetto «Nobel alternativo», il Right Livelihood Award, destinato a chi ha «trovato soluzioni a pressanti sfide globali» (gli altri vincitori sono stati un giurista srilankese impegnato nella lotta contro le armi nucleari, un attivista kenyano che ha lavorato alla risoluzione dei conflitti nei paesi più conflittuali del mondo, e una coppia canadese di agricoltori in guerra con la Monsanto sulla questione degli Ogm).
Grameen Shakti ha vinto per «aver portato elettricità ed energia sostenibile a migliaia di villaggi bengalesi a vantaggio della salute, dell'educazione e dell'economia rurale». Nel Bangladesh rurale - dove vive il 70 per cento dei 135 milioni di abitanti - è stata costruita una rete capillare di 390 unità di villaggio là dove, nei 64 distretti del paese, non c'è rete elettrica. Sono già stati installati oltre 110.000 sistemi solari domestici e si prevede di arrivare a un milione di impianti nel 2015. È centrale il coinvolgimento delle comunità locali nell'ideazione, applicazione e manutenzione. Tramite una rete di centri tecnologici, gestiti da donne ingegneri, si formano altre donne, dei villaggi, che operano come tecniche. Sette i centri, i cui computer sono alimentati con il fotovoltaico (il programma è di portarli a 30), duemila le donne formate che hanno ricevuto in dotazione l'attrezzatura per riparare gli impianti nelle loro aree, e a fabbricare gli accessori necessari. Si punta anche sul piccolo eolico e sul biogas.
Oltre che all'uso domestico, l'elettricità serve ad alimentare ambulatori rurali, scuole, batterie dei cellulari (un mezzo di comunicazione in luoghi dove la rete fissa non è arrivata), e piccole attività economiche soprattutto femminili, favorite dalla possibilità di avere qualche luce di ora in più. Ad esempio, sono 10.000 le lampadine che illuminano mercati rurali.
Ma il fotovoltaico, seppure un impianto di piccolissima potenza, costa davvero troppo per le vuote tasche dei rurali bengalesi. Grameen Shakti lavora però con crediti a basso tasso di interesse, tanto che basta il risparmio di kerosene per ripagarli. Come ha spiegato Herman Scheer, presidente di Eurosolar e vincitore del Right Livelihood Award nel 1999, «in futuro la promozione dell'energia rinnovabile e pulita nei paesi in via di sviluppo dipenderà dallo sviluppo delle Resco, Rural renewable energy service companies»: società di servizi energetici ecologici e rurali. In questo Grameen Shakti ha creato un modello economico sostenibile che potrebbe essere adottato per creare altrove le Resco necessarie a promuovere l'elettrificazione rurale.