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La battaglia delle dighe in Laos

di Marina Forti - 15/12/2007

 

«Stiamo lavorando al progetto di riunire un'assemblea delle popolazioni del Mekong», dice Witoon Permpongsacharoen: «Servirà a riunire le organizzazioni popolari della regione e stilare una piattaforma comune». Witoon è il direttore di Terra, acronimo di «Toward ecological recovery and regional alliance», organizzazione non governativa fondata nel 1991 da alcuni ambientalisti thailandesi. Ha sede a Bangkok, in una piccola palazzina tra grattacieli e shopping centres, in fondo a una di quelle stradine laterali dove la modernissima capitale thailandese ritrova dimensioni umane. In Thailandia c'è ormai una storia consolidata di battaglie ambientali e di giustizia sociale, dal movimento contro una famosa diga sul fiume Mun (affluente del Mekong), alla difesa delle foreste; soprattutto, è ormai consolidato un legame tra movimenti popolari rurali e organizzazioni civiche, associazioni ecologiste e per lo sviluppo sostenibile, reti di accademici e intellettuali.
Nell'ultimo decennio queste reti di ambientalisti e attivisti popolari hanno cominciato a guardare oltre i confini della Thailandia. Terra è nata con lo scopo di lavorare a sostegno di ong e associazioni di cittadini nella regione del basso Mekong: Vietnam, Cambogia, Laos, Birmania. «I contesti politici sono diversi, non ovunque esistono organizzazioni indipendenti di sittadini», fa notare Witoon: «Per questo sta a noi monitorare i progetti di sfruttamento delle risorse naturali che si vanno facendo nella regione». Anche perché nell'ultimo decennio è proprio la Thailandia che ha cominciato a investire in grandi progetti nei paesi vicini: in patria è diventato sempre più difficile per le regolamentazioni ambientali e le opposizioni popolari, e poi le risorse naturali ormai sono superfruttate: «Così le aziende thailandesi vanno a tagliare foreste in Cambogia o costruire dighe in Laos e Birmania». La regione del Mekong è in pieno cambiamento economico, fa notare il direttore di Terra: «Uno dopo l'altro i paesi rivieraschi sono passati da economie più o meno socialiste a modelli fondati su investimenti privati e apertura all'economia di mercato, anzi: totale apertura agli investimenti stranieri. Cambogia e Laos, più poveri e fragili, sono sotto l'impronta della Banca mondiale e della Banca asiatica di sviluppo (Adb). Gran parte di questi investimenti sfruttano risorse naturali: foreste, minerarie, progetti idroelettrici, e sono immancabilmente sostenuti dalla Banca asiatica di sviluppo». Il Laos ad esempio è una «repubblica democratica popolare» che sta seguendo alla lettera le indicazioni delle istituzioni finanziarie internazionali. «La Banca Mondiale e quella Asiatica di sviluppo lodano molto il governo di Vientiane per aver aperto l'economia al mercato. Finanziano dighe, progetti minerari, infrastrutture, dicono che è per promuovere lo 'sviluppo sostenibile' Noi diciamo che non c'è sviluppo sostenibile senza democrazia, senza che le popolazioni locali abbiano voce nella formazione delle decisioni. Finanziano grandi dighe e dicono che è per 'ridurre la povertà'. Ma come pensano di ridurre la povertà distruggendo l'economia locale e l'ambiente?».
L'ente elettrico thailandese Egat e il governo di Vientiane hanno annunciato entro fine anno i contratti per quattro nuove dighe in Laos. Almeno due di queste - avranno un impatto sociale molto forte. Ma il Laos ha puntato proprio sulle dighe come fonte di reddito e d'energia. La Thailandia del resto ha già finanziato la diga di Nam Theun 2, ormai quasi pronta (vedi il manifesto, 18 aprile 2007). «Sono progetti che dipendono del tutto da investimenti stranieri e fanno guadagnare solo le aziende di impiantistica internazionali. E non dicano che porterà occupazione, i tecnici sono quasi tutti stranieri». Contro queste dighe si batte Terra, insieme alla rete International Rivers. Ma in Laos la società civile resta fragile. Per questo Witoon insiste sull'idea di formare un «Mekong People's Council», un consiglio delle popolazioni del Mekong.