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L’universo? È armonico

di Carlo Maria Martini - 15/12/2007


 
 C
he cosa può significare l’universalismo nel rapporto fra religioni e culture? Per rispondere a questa domanda, personalmente mi sarei piuttosto ispirato prima alla scienza, poi alle Scritture. Sarei partito cioè dalla definizione fisica di universo, così come viene data dagli astronomi e dai fisici.
  Essi parlano anzi oggi di «multiverso» intendendo così che non riusciamo a cogliere i limiti delle realtà nelle quali siamo immersi e che forse esistono altre realtà analoghe con le quali, almeno per il momento, non comunichiamo. Ciò ha a che fare anche con il desiderio che sentiamo di totalità e insieme con l’impossibilità pratica di raggiungerla. Anche se rimane vera la frase di Pascal: «Tous les corps, les firmaments, les étoiles, la terre et ses royaumes, ne valent pas le moindre des esprits: car il connait tout cela, et soi», rimane parimenti vero che tutto in questo universo nostro è costruito a partire dalla materia, che è quindi la prima «universalità», pur se debole, che noi tocchiamo senza riuscire a misurarla a fondo.
  Questo universo è in continua evoluzione, almeno l’universo che
noi conosciamo. Un’evoluzione che passa per tutti i gradi dell’essere e arriva dalla materia fino al pensiero e all’amore. E qui citerei ancora le parole di Pascal, che con grande coraggio supera l’incantesimo prodotto dalla quantità illimitata di materia per giungere a dire che un atto di bontà, un sorriso, un atto d’amore, valgono immensamente più di tutte le misure possibili e immaginabili: «De tous les corps et esprits, on n’en saurait tirer un mouvement de vraie charité: cela est impossibile, et d’un autre ordre».
  Il punto finale a cui tende questa evoluzione potrebbe essere espresso con le parole misteriose di san Paolo: «Quando tutto gli (al Figlio) sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (l
Cor 15, 28).
  È in questo «tutto in tutti» che vedo concretamente indicato l’universo, che rappresenta perciò chiaramente non un dato già costruito ma un punto di arrivo.
  Ciò è espresso anche nella lettera agli Efesini, quando essa nomina «la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1, 23), «che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire ogni cosa» (4, l0). C’è dunque una universalità che è il termine di tutto il cammino umano. Non si
tratta però di una universalità debole, per entropia, cioè di qualcosa di amorfo e di gelatinoso; ma di una universalità forte, nella quale le singole individualità personali sono riunite in unica e perfetta armonia.
  E qui non potrei non ricordare le pagine mirabili scritte da Teilhard de Chardin a questo proposito.
  Per esempio, là dove parla di quella tensione gradualmente accumulatasi tra l’umanità e Dio che toccherà un giorno i limiti prescritti dalle possibilità di questo mondo. E allora sarà la fine. Nell’azione finalmente liberata delle vere affinità degli esseri, gli atomi spirituali del
mondo saranno portati al loro pieno sviluppo e collegati da una forza generatrice, dal potere di coesione proprio dell’universo e occuperanno il posto designato per loro nella struttura vivente del Pleroma ( Le milieu divin).
 Si potrebbero citare molte altre pagine dello stesso autore, in particolare dell’Inno
dell’universo,
 dove egli esalta questa pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità, ma affermazione piena della individualità di ciascuno in una perfetta armonia.
  Guardando le cose da questo punto di vista, si vede allora come non sono da promuovere le singole individualità semplicemente in quanto opposte le une alle altre, ma in quanto esiste in loro una forza di convergenza che permette di superare il loro stato presente di chiusura e aprirsi sempre più a quella pienezza cui sono chiamate. In questo senso occorrerebbe considerare le diversità culturali e anche le opposizioni delle diverse religioni. Non si tratta di esasperarle e neppure di banalizzarle o omologarle o ridurle a un minimo denominatore, ma di far emergere quegli elementi a partire dai quali esse possono raggiungere una sempre maggiore convergenza, anche attraverso le necessarie purificazioni.

 «Gli astronomi e i fisici parlano da tempo di 'multiverso' ed è un concetto che interroga la fede».
  Un itinerario che parte da san Paolo e attraverso Pascal arriva a Teilhard de Chardin




Un bimbo cinese al Museo della Scienza di Shanghai




Pierre Teilhard de Chardin