Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il principio antropico

Il principio antropico

di Guido Dalla Casa - 17/12/2007

 

 

 

   Secondo le teorie più accreditate, l’evoluzione dell’Universo che ha consentito la formazione di atomi, molecole, galassie, stelle e pianeti dipende in modo assai stretto dal valore di alcune costanti universali, quali la costante di gravitazione, la velocità della luce, la costante di Planck, e così via. Ciascuna di tali costanti avrebbe potuto essere diversa, non era necessariamente legata ad altre grandezze: sono considerate variabili indipendenti. (*)

   Sarebbe bastata la variazione dell’uno o due per cento anche in una sola di esse per non consentire la vita: quindi l’Universo di oggi, e in particolare la Vita, sembrano  avvenimenti estremamente improbabili. In altre parole, ci sono coincidenze quasi-impossibili ma tali da consentire la nostra esistenza.

   Questa estrema improbabilità dell’Universo come lo conosciamo ha portato al principio antropico, che ha diverse formulazioni.

Ma perché questo principio si chiama “antropico”? Perché ha consentito proprio la “nostra” esistenza, cioè quella umana?

   D’accordo che le cosiddette “costanti universali“ sono tali che le probabilità di pervenire a noi umani erano quasi-nulle, ma lo stesso ragionamento vale anche per la marmotta, per l‘abete rosso o per un torrente.

Allora l’Universo era fatto anche per la marmotta...

   Aver fatto risorgere un “principio antropico” denota una certa nostalgia di riportare l’uomo “al centro”. Infatti la considerazione dell’improbabilità delle costanti universali non vale solo per l’uomo: ogni entità naturale vede l’universo come “fatto per sé”. 

 

Come al solito, vengono proposte all’immaginario collettivo soltanto due alternative:

 

1)     un mondo privo di significato, come nella scienza meccanicista “classica”.

 

  “L’antica alleanza è rotta. L’uomo sa finalmente di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo, da cui è emerso per caso. Il suo dovere e il suo destino non sono scritti in nessun luogo.”                                                                                                         (Jacques Monod)

 

   Niente ha un senso.

Perché siamo qui noi, eventi così estremamente improbabili?

   Per puro caso, anche se il “caso” non ha un significato del tutto chiaro. Secondo Monod, noi siamo qui perché “il nostro numero è uscito sulla ruota di Montecarlo”.

   Per questo tipo di materialismo, la vita si riduce a cadere in un Universo non fatto per accoglierla, restare aggrappati a un granello di sabbia sino a che la morte non ci dissolva, pavoneggiarci per un tempo brevissimo su un piccolissimo teatro, ben sapendo che tutto perirà col nostro sistema solare, lasciando l’Universo come se non fossimo mai esistiti.

 

2)     un mondo che era stato fatto per l’uomo fin dall’inizio: ne aspettava con ansia l’arrivo. Un universo “antropico”: il suo scopo è l’umanità. Pertanto è al nostro servizio.

 

   Entrambe queste posizioni sono poco soddisfacenti e al limite dell’assurdo.

Viene da chiedersi se è proprio così difficile immaginare un Universo che ha in sé stesso lo scopo della propria esistenza, e una Vita piena di significato in ogni sua manifestazione e componente, come in tutte le sue relazioni.

 

  Ora riporto queste parole di Konrad Lorenz, da un’intervista al mensile Natur del novembre 1988, tre mesi prima della sua morte:

 

            “Se vedo un essere vivente o addirittura una varietà di esseri viventi, intuisco che sono membri di un unico albero genealogico, che incorporano un divenire. In tal modo mi è possibile un’intuizione dei milioni di anni passati. E questo è un fatto che suscita in me il più profondo rispetto”.

            Rispetto per che cosa?

            “Per il buon Dio, se vuole”

            Ma allora lei è un credente…

            “In un certo senso si è panteisti per natura. Il sistema periodico degli elementi è costituito in modo tale che la vita doveva nascere. Ma non credo nel “buon Dio” e meno ancora nel “Padre dei cieli”, non voglio fare parte di una Chiesa…”

                                                                                                                     

 

(*) Il fatto che tali costanti universali siano rimaste invariate nel tempo e nello spazio, ovunque e da sempre, o comunque per tempi dell’ordine di quindici miliardi di anni, è un puro atto di fede.