Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Da Eltsin al Kosovo: la marcia (atlantica n.d.r) di Pacolli

Da Eltsin al Kosovo: la marcia (atlantica n.d.r) di Pacolli

di Giulietto Chiesa - 30/12/2005

Fonte: Il Manifesto


Sorpresa! Mentre tra Belgrado, Pristina, Bruxelles, Tirana, Washington e Mosca è in corso il preparativo-scontro finale pro o contro l'indipendenza del Kosovo, ecco apparire sulla scena politica del Kosovo il signor Behgjet Pacolli, il proprietario della Mabetex, colui che - stando alla magistratura di Lugano - aiutò Boris Eltsin non solo a dotarsi di una sontuosa carta di credito appoggiata a una banca svizzera, ma - secondo la magistratura di Trento - fu il riciclatore di alcune decine di milioni di dollari per conto della «Famiglia» di Boris Eltsin , più specificamente della figlia di Pavel Borodin, ex capo dell'Amministrazione del Cremlino, nonché per la compravendita di alcuni aerei militari venduti da Rosvooruzhenie a un paese latino-americano attraverso i servizi segreti dello stesso, e che fruttarono tangenti per altre decine di milioni di dollari. Siamo, come ben si vede, al centro di un vorticoso movimento di capitali mafiosi dalla Russia verso banche occidentali e offshore vari, tutti facenti capo ai vertici politici della Russia eltsiniana, passati tutti, di riffa o di raffa, attraverso il signor Pacolli, ex marito, tra le altre cose, della signora Anna Oxa.

Adesso Pacolli entra direttamente in politica, non senza essersi conquistato appalti perfino nella lontana Astana, capitale nuova di zecca del Kazakhstan di Nursultan Nazarbaev. Da cui, visti i precedenti, ci si può aspettare di veder uscire verso ignote destinazioni altre decine, centinaia, di milioni di dollari, riciclati per conto dell'altra «Famiglia» presidenziale asiatica.

Behgjet Pacolli è a suo modo un genio, uno che sa cogliere lo spirito dei tempi, uno che ambisce a far parte del superclan mondiale e probabilmente ci riuscirà. Ibrahim Rugova è in fin di vita e non è a lui che potrà essere affidato il futuro del Kosovo, una volta reso indipendente dalla Serbia. Gli unici leader kosovari disponibili sulla piazza sono rinomati assassini ed ex terroristi dell'Uck, alcuni perfino (formalmente) sotto inchiesta da parte del tribunale dell'Aja come Ramush Haradinaj. Impresentabili dunque perfino di fronte a una Europa disposta a chiudere entrambi gli occhi e le orecchie.

Qualcuno bisognerà trovare. E il «nostro» Pacolli è già pronto a fare il grande salto. Per intanto si è offerto di costruire - di tasca propria, i lavori già fervono - la nuova università americana di Pristina. Circa venti milioni di dollari. L'università americana di Pristina nascerà con i proventi dei furti perpetrati ai danni dei cittadini russi. Gli europei mandano in giro, a fare da mediatore, l'ex presidente finlandese Martti Ahtisaari; gli americani, oltre alla più grande base militare europea, si fanno costruire a Pristina, gratis, la loro università, quella con cui costruiranno i «quadri» della futura indipendenza kosovara. Osservare la differenza e la divisione dei compiti.

Non c'è da stupirsi dunque se le azioni di Pacolli sono in veloce crescita anche a Washington, visto che è là che si decide la sorte del Kosovo. Con i soldi guadagnati riciclando i denari che Eltsin rubava ai russi, il dinamico Behgjet ha messo in piedi una grande lobby negli Usa, denominata «Alleanza per un nuovo Kosovo», che annovera tra i suoi sponsor l'ex segretario alla Difesa Frank Carlucci, presidente emerito del Gruppo Carlyle; Samuel Hoskinson, ex vice-capo del National Intelligence Council; la impresa di pressione politica Jefferson Waterman International, e alcuni analisti del Centre for International Strategic Studies (Csis) di Washington, il più rinomato dei quali è Janusz Bugajski, la cui provenienza est europea è resa evidente dal nome e cognome.

Le idee dell'«Alleanza per un nuovo Kosovo» sono state messe a punto alla fine del mese di novembre in una riunione tenutasi nel rinomato Metropolitan Club di Washington. Ne ha riferito qualche settimana fa il Financial Times. Si tratta di alcuni concetti semplici e chiari: se Belgrado cerca di resistere alla prospettiva di abbandonare definitivamente il Kosovo, bisognerà imporglielo senza perdere altro tempo. L'Europa recalcitrante dovrà essere opportunamente «spintonata». E si deve tenere conto anche che nemmeno a Washington tutti sono dello stesso avviso, per il momento.

L'essenziale, però, è far sapere che l'Amministrazione Bush ha rotto gl'indugi e si sta muovendo decisamente verso quella prospettiva. Per questo motivo diverse ambasciate est europee di paesi membri dell'Unione, e un nutrito gruppo di deputati del parlamento di Bruxelles, di eguale origine, sono in movimento per promuovere un'accelerazione della politica europea in quella stessa direzione. Ahtisaari è premuto e preme a sua volta su Belgrado e sul presidente Boris Tadic perché accettino «l'inevitabile». Se Tadic resisterà è già pronta l'accelerazione del referendum che separerà il Montenegro dalla Serbia. Nel frattempo si lavora sotto banco per trasformare l'«inevitabile» in realtà. Come dimostra la fuga ormai irrefrenabile dei serbi rimasti in Kosovo. Chi rimane rischia la vita. La pulizia etnica alla rovescia - cioè degli albanesi contro i serbi - non ha sosta, mentre le forze europee che presidiano il territorio non fanno quali nulla per fermarla. Secondo i dati della stessa amministrazione Onu del Kosovo, il numero dei serbi che rimangono asserragliati in Kosovo, in enclaves sempre più ridotte nelle vicinanze della frontiera serba, è più che dimezzato rispetto alla situazione della fine del 1999.

Behjiet Pacolli è il cacio sui maccheroni. Sarà bene prepararsi a vederlo apparire a Pristina in pompa magna, scortato dalle guardie del corpo del gruppo Carlyle.