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Nel poema "Anhelli" di Slovacki la missione espiatrice del popolo polacco

di Francesco Lamendola - 18/12/2007

 

 

 

Juliusz Slovacki (1809-1849) è il secondo astro, in ordine cronologico e, forse, anche di grandezza, della poesia polacca detta della "grande emigrazione"’, quando migliaia di suoi connazionali furono dispersi all’estero dal tragico insuccesso dell’insurrezione del 1830 e dalla spietata repressione zarista; il secondo, dicevamo, fra Adam Mickiewicz (1798-1855) e Zigmunt Krasinski (1912-1859).

Nel quadro generale della sua ricca e raffinata opera letteraria, ispirata ai valori estetici e spirituali del Romanticismo, un posto eminente spetta al poema in prosa Anelli, pubblicato in Francia nel 1838. In Italia è stato tradotto nel 1919 da Paolo Emilio Pavolini per la Casa Editrice Carabba di Lanciano; ed oggi, a quasi novant'anni da quella data, attende ancora, incredibilmente (come, del resto, altri capolavori delle letterature slave), una nuova traduzione o almeno una riedizione nella nostra lingua.

Si tratta di un’opera complessa, ricca di simbolismi e di potenti squarci drammatici che richiamano, per certi versi, la tendenza “ossianica” propria del Romanticismo nordico (e, infatti, Byron è uno dei modelli di riferimento di questa generazione di poeti polacchi), venata però dalla caratteristica malinconia e pensosità dell’anima slava e, in più, percorsa da un ardente soffio mistico ma anche incupita e, si direbbe, quasi straziata dal particolare tormento interiore che caratterizza l’opera di Slowacki. Come è noto, questi, mentre si trovava a Londra intento a organizzare aiuti per la grande guerra patriottica del 1830-31, fu colpito al cuore - oltre che dalla notizia della sanguinosa repressione russa operata dal generale Paskevic - anche dall’infamante accusa rivolta da Mickiewicz (allora a Dresda), nella III parte dei Dzady, al patrigno di Slowacki, dott. Becu, di essere stato un delatore dei giovani patrioti polacchi all’Università di Vilna, iscritti nella società segreta dei “Filareti”. Slowacki, che era legato da un sentimento molto profondo a sua madre, visse tale accusa come una ferita insanabile e decise di dedicare la sua intera vita di artista alla missione di conquistare una tale gloria poetica, da poterne far dono a lei, riscattando e riducendo al silenzio ogni insinuazione velenosa.

A prima vista il lettore impreparato potrebbe avere l'impressione di trovarsi davanti a un guazzabuglio di temi danteschi, byroniani, cimiteriali e perfino orrorifici, propri della letteratura gotica; ma sarebbe un'impressione sbagliata. L'opera è realmente percorsa e ravvivata da un soffio di autentica ispirazione poetica; il pessimismo e la desolazione che l'autore vi profonde non sono affatto di maniera, ma esprimono pienamente la sofferenza morale di Slowacki, che è voce dolente e sconsolata dello spirito nazionale nella sua ora più cupa, quando, dopo la tragedia della triplice spartizione del tardo Settecento e della brutale repressione zarista del 1830, sembrava che la Polonia crocifissa non sarebbe risorta mai più dalla sua tomba, per riprendere il suo posto nel consesso dei popoli liberi. Certo, in essa vi è anche una certa insistenza - se non proprio un compiacimento - per le atmosfere brumose, notturne e inquietanti, per il mistero degli spiriti, e anche per quell'esotismo che potremmo definire crepuscolare, che ha il suo esempio più famoso nel Childe Hardold Pilgrimage e anche, nel campo delle arti figurative, nei paesaggi solitari, selvaggi e vagamente paurosi del grande pittore tedesco Caspar David Friedrich.

A tutto questo si aggiunga quella vena di misticismo slavo che aveva condotto Slowacki a pellegrinare attraverso i luoghi della Terra Santa, convincendosi sempre più che al popolo polacco fosse stato riservato un destino storico di espiazione fra tutti gli altri popoli, rivivendo collettivamente la passione di Gesù Cristo e purificandosi, così, attraverso l'umiliazione della disfatta nazionale, che lo avrebbe condotto a riscoprire i veri valori dello spirito. Solo allora esso sarebbe stato degno di risorgere: ma prima di risorgere era necessario che scendesse nel sepolcro. Espressione compiuta di quel misticismo politico-religioso che si diffuse fra gli intellettuali polacchi della "grande emigrazione" fu la personalità, certamente ricca e affascinante, del lituano Andrzej Towianski (1799-1878), che, simile a un Gioacchino da Fiore del XIX secolo, andava predicando e annunziando l'avvento di un'epoca nuova fra i Polacchi in esilio, sorta dalla rigenerazione della parola di Cristo. Mickiewicz, il più illustre fra gli intellettuali polacchi in esilio - autore, fra l'altro, degli stupendi Sonetti di Crimea - aveva conosciuto il Towianski nel 1841, a Parigi, e ne era stato ben presto conquistato; Slowacki lo conobbe un anno dopo, nel 1842, e ne rimase a sua volta soggiogato, infervorandosi della sua stessa fede nella missione mistico-religiosa dello sventurato popolo polacco.

Una insigne cultrice di polonistica, Marina Bersano Begey, ha dedicato a quest’opera di Slowacki, poco conosciuta nel nostro Paese, alcune pagine estremamente suggestive, che ci piace riportare integralmente ( M. Versano Begey, Storia della letteratura polacca, Milano, Nuova Accademia, 1963, pp. 127-131).

Ricordiamo che la traduzione dall'originale del brano relativo al "miracolo dell'anima" è di P. E. Pavolini.

 

“Durante un periodo di raccoglimento in un convento del Libano lo Slowacki compose il poema in prosa Anelli, una delle sue opere più importanti, e lo pubblicò a Parigi nel 1838. Concepito quasi in risposta al Libro del Pellegrino (…), nel quale il Mickiewicz tracciava con fede incrollabile il compito immediato dei patrioti in esilio, infondendo in essi la sua certezza nella resurrezione della patria, Anhelli era il quadro profetico, privo di speranza, delle sofferenze dei connazionali e della missione espiatrice loro affidata.

“In Anhelli, tutto è malinconia: dai paesaggi nevosi al colore dei paesaggi boreali, dalla musica dei nomi al ritmo dolente e un po’ sordo della frase.

“Nella gelida e desolata terra siberiana giunge una torma di polacchi condannata dalla Russia a ripopolare il triste luogo. Essi costruiscono una grande casa di legno per abitarvi in fraterno amore; ma le discordie che già li perdettero in patria risorgono nell’esilio, perché nulla i deportati hanno appreso dalla sventura.

“Ed ecco che lo Sciamano, ree sacerdote di quella terra, si reca dagli esuli ed offre loro l’alleanza col suo popolo; e poi che vede gl’infelici così tristi e scorati, resta con loro, e sceglie un giovane per insegnargli le fonti del bene e del male, e le cause delle sventure della Polonia, sì ch’egli possa un giorno, ricco d’esperienza e d’amore, ricondurre in Patria i suoi compagni.

“Su Anhelli, ricco di quanto di più nobile e immacolato racchiude il cuore del suo popolo, cade la scelta dello Sciamano. È notte, egli lo desta, e insieme intraprendono un viaggio che ricalca le orme di quello dantesco. L’inferno che essi visitano è la Siberia orrenda ove migliaia di uomini  soffrono nello spirito e nel corpo: dai fanciulli strappati alle madri, che apprendono dalle labbra di un pope malvagio la fede degli zar, ai prigionieri che agonizzano e muoiono lungi dalla patria e dai loro cari, dal vecchio superstite di un’altra generazione di patrioti e di martiri ai condannati al lavoro delle miniere, che battono il piccone trascinando le pesanti catene, sino a quelli che piangono seduti sulla sponda di un lago le cui nere acque sgorgarono dalle lagrime.

“La narrazione è intrecciata alle scene più tragiche e fantastiche: arde vivo sul suo cavallo nero il pope bugiardo; fiorisce di stelle il melo del vecchio esiliato; s’alzano i morti dalla bara e vi ricadono straziati dalle notizie che giungono dal mondo. Nella miniera un masso ha seppellito un padre coi suoi cinque figli e, su di loro, fisso allucinato come il Conte Ugolino lo trovano Anhelli e la sua guida. E il vecchio minatore che solo pochi passi dividono dalla liberazione cade morto alle percosse dei soldati, formando di sé una croce. Il martirio della Polonia è presente in ogni momento; ma più tragica ancora è l’immolazione volontaria dei tre gregari dei diversi partiti che si offrono alla crocifissione per attestare ognuno la santità della propria idea.

“Al cimitero, dove i tre morti avranno sepoltura, lo Sciamano e Anhelli incontrano Eloè, l’angelo nato da una lacrima di Cristo, che conforta i morti; ma al loro ritorno alla casa degli esiliati, li ritrovano ubriachi, in lite fra di loro. Alle parole severe dello Sciamano, s’alzano urla e maledizioni; e uno degli esuli pianta un coltello nel cuore del vecchio.

“Egli cade nelle braccia di Anhelli, e questi lo porta fuori dalla capanna aiutato da Ellenaj, la giovane bellissima peccatrice pentita.

“Con lei come con una pura sorella vivrà Anhelli nella capanna che fu dello Sciamano, sin che Ellenaj, che lo ha servito, riempiendo il suo cuore di lagrime e di preghiere chiuderà per sempre gli occhi luminosi, ed Eloè  verrà a prenderla per portarla lontana nel cielo.

"Il poema si chiude colla morte di Anhelli. Distrutta dalla fame e dagli strazi sofferti la turba dei polacchi è ormai scomparsa; due angeli, quelli stessi che apparvero al primo re di Polonia, Piast, vengono ad Anhelli e gli predicono la fine; in quel momento supremo egli ricorda la paura che fu sulla sua culla, il tormento della sua vita di dolore, e si chiede che mai fece sulla erra: non passò come un sogno? Gli alcioni volano verso la sua patria, ed egli muore. E quando un cavaliere fiammeggiante passa a destare i morti perché si levino a combattere, perché è tempo di vita per i forti, Eloè protegge il suo sonno, perché Anhelli, in cui vive il poeta, fu vittima designata pel sacrificio del suo cuore, ed ora riposa in pace.

"Fra le pagine più suggestive del poema è quella del miracolo: « E così lo Sciamano con Anhelli,  andavano peregrinando per la terra triste e per le strade deserte, sotto le sussurranti foreste della Siberia, incontrando uomini che soffrivano e confortandoli…»

"Ed ecco s'imbatterono in una torma di siberiani che pescavano nel lago. E questi pescatori, avendo scorto lo Sciamano, accorsero a lui, dicendo: «O re nostro! Ci abbandonasti per genti straniere e noi siamo mesti non vedendoti in mezzo a noi.

"Rimani per questa notte e ti faremo la cena e ti prepareremo il letto su queste barche».

"Si sedette pertanto lo Sciamano sulla terra, e le donne e i bambini dei pescatori lo circondavano e gli facevano parecchie domande alle quali lo Sciamano rispondeva con un sorriso perché erano futili.

"Ma dopo cena, quando sorse la luna, e trasse il suo chiarore su l'acqua liscia a mo' di strada d'oro verso il mezzogiorno, le donne e i bambini presero a parlare con più mestizia dicendo:

"«Ecco, ci hai abbandonato e non fai miracoli in mezzo a noi. Pertanto noi cominciamo a dubitare delle cose della fede e dubitiamo persino che vi sia un'anima».

"All che lo Sciamano sorridendo disse: «Volete ch'io mostri un'anima ai vostri occhi?».

"E tutti i fanciulli e le donne esclamarono d'accordo: «Vogliamo!». Volgendosi dunque lo Sciamano ad Anhelli disse: «Che farò con questa folla di gracci? Vuoi che ti addormenti e che chiamata l'anima tua fuori dal tuo corpo la mostri a questa gente?».

"Anhelli gli rispose: «Fa come ti piace, io sono in tuo potere».

"Avendo pertanto lo Sciamano chiamato un bambinello fuori dalla folla lo pose sul petto di Anhelli che si era sdraiato come per dormire e disse a quel bambinello:

"«Ecco, metti le tue manine sulla fronte di quel giovinetto e chiamalo tre volte per nome: Anhelli!».

"E avvenne che all'appello del bambino uscì da Anhelli uno spirito avente bela forma e colori svariati e ali bianche alle braccia.

"E vedendosi libero quell'angelo andò sull'acqua e s'allontanava verso il mezzogiorno sul fascio del chiarore lunare.

"Ma quando già era lontano e in mezzo allo stagno, lo Sciamano comandò a quel bambino di richiamare l'anima perché ritornasse.

"E si volse lo spirito lucente del bambino, e tornò indietro di mala voglia sull'onda d'oro, lambendola con la cima delle ali pendenti per la tristezza.

Ma quando lo Sciamano gli ordinò di rientrare nel corpo dell'uomo, gemette quello spirito come un'arpa infranta, e fremé, ma ubbidì.

"E Anhelli risvegliatosi, sedette e domandò che cosa gli era successo. Gli risposero i pescatori: «Signore, abbiamo visto l'anima tua e ti preghiamo: sii nostro re! Poiché in tale splendore non sono vestiti i re cinesi come l'anima che è nel tuo corpo.

"E non abbiamo veduto niente di più luminoso sulla terra eccetto il sole, niente di più sfavillante se non le stelle che sono rosa e azzurre. Ali così fatte non hanno i cigni, che trasvolano nel maggio per la nostra terra.

"E sentimmo perfino un olezzo di fiori, e l'odore dei mughetti».

"Ciò udendo Anhelli si volse allo Sciamano e disse: «È dunque vero?». E lo Sciamano disse: «È vero, tu sei posseduto da un angelo».

"«E che dunque, chiese Anhelli, ha fatto l'anima mia essendo libera? Dimmelo poiché io non lo ricordo».

"Gli rispose lo Sciamano: «Ecco, essa andò per quella strada d'oro, che è sull'acqua dalla luna, e fuggiva da quella parte a mo' di uomo che si affretta».

"A queste parole Anhelli abbassò il capo; ed essendosi immerso nella meditazione pianse dicendo: «Ecco, essa voleva tornare nella Patria!».

 

La visione dell'anima di Anhelli è certamente una delle pagine più belle e commoventi di questo strano, meraviglioso poema in prosa, di cui non v'è l'eguale nelle altre letterature moderne. Tuttavia molti altri episodi sono altrettanto originali e potentemente drammatici: il malvagio pope che viene arso vivo; il miracolo della fioritura del melo del vecchio deportato; il padre trasformato in belva a somiglianza del conte Ugolino; la morte della fanciulla Ellenaj, peccatrice redenta dalle sofferenze e dall'abnegazione di cui ha saputo dare prova; la stessa morte di Anhelli, il giovinetto dal cuore immacolato; ed altri ancora.

Oltre a quanto precedentemente osservato, vi sono ancora due elementi che meritano di essere evidenziati in quest'opera. Il primo, di natura squisitamente stilistica, può essere apprezzato solo in parte da coloro che leggono Anhelli in una traduzione (si pensi all'effetto che potrebbe fare la Divina Commedia tradotta in polacco, in tedesco o anche in inglese). Intendiamo parlare della sobrietà linguistica della parola poetica di Slowacki, che, come osservò a suo tempo Giacomo Prampolini (nella sua Storia universale della letteratura, Torino, U.T.E.T., vol. VII, 1953, p. 336) , si può ben dire di ascendenza classica: una sobrietà tanto più notevole, in quanto contrasta con il contenuto dalle forti tinte romantiche, passionali e misticheggianti. In questo senso, l'accostamento più immediato che si può fare tra Anhelli e la letteratura italiana è, probabilmente, quello con i Sonetti di Ugo Foscolo, sintesi mirabile di forma classica e contenuto romantico.

Il secondo elemento, di natura stilistica ma anche di contenuto, che forse non sarà sfuggito al lettore attento del dialogo fra il protagonista e lo Sciamano, è quello di derivazione biblica, peraltro non nuovo nella letteratura polacca dell'epoca di Slowacki. Tale elemento, che emerge - appunto - soprattutto nelle parti dialogate, ha il suo modello sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento e si riconosce per un gusto tipicamente orientale per le similitudini e le metafore, per il fraseggiare tornito e immaginifico, per il tono sentenzioso e profetico; se ne ricorderà, più tardi e in tutt'altro contesto, il Nietzsche dello Zarathustra. Non è comunque un elemento estrinseco all'opera e immessovi in maniera puramente imitativa, poiché fra gli scrittori polacchi di quella generazione era diffusa l'idea che al loro popolo spettasse una missione per certi versi analoga a quella del popolo ebreo: quella, cioè, di espiare la malvagità presente nel mondo affinché, mediante la morte e la resurrezione della patria polacca, potesse avere inizio una nuova era nella storia dell'umanità, caratterizzata dal ripudio della violenza, dell'ingiustizia e della sopraffazione da parte del forte sul più debole.

 

Poiché, come si è detto, il poema in prosa Anhelli (sarebbe errato definirlo romanzo) non è più stato ristampato in Italia, riteniamo di fare cosa utile al lettore italiano riportandone alcuni brani nella bella traduzione di Paolo Emilio Pavolini.  Si tratta proprio, come forse il lettore avrà intuito, di un parente del famoso gerarca fascista e comandante delle "brigate nere" Alessandro Pavolini, una delle figure di spicco della Repubblica di Salò. Per la precisione si tratta del padre, un illustre professore di lingue orientali che, ai suoi tempi, era certamente una delle persone più colte, in campo linguistico, d'Europa e del mondo.

Arrigo Petacco, nella sua biografia del figlio (Pavolini. L'ultima raffica di Salò,  Milano, Mondadori, 1982, p.p. 30-31),  ne delinea con un pizzico di arguzia la figura di studioso e di uomo - di studioso integerrimo e geniale e di uomo, invece, diciamo così, non privo di quelle debolezze che contraddistinguono i comuni mortali.

 

"La madre di Alessandro, Margherita Cantagalli, è una donna colta e vivace, discendente da un antico ceppo della borghesia intellettuale fiorentina. Ma chi dà lustro alla famiglia è il padre. Il professor Paolo Emilio Pavolini, di origine elbana, è un personaggio famoso. Professore di sanscrito all'Università di Firenze egli è un glottologo fra i più rinomati. Conosce infatti un numero impressionante di lingue antiche e moderne, vive e morte: praticamente è in grado di parlare gli idiomi e i dialetti di una buona metà del mondo civile. Giovanissimo, appena uscito dalla Scuola Normale di Pisa, ha scritto un'opera fondamentale sul buddismo, poi ha tradotto dall'indiano il Mahabharata, il più lungo poema del mondo, e dal finnico il poema nazionale Kalevala. Ha anche scritto un manuale comparativo di letterature straniere e tradotto altre opere greche, polacche, albanesi,, svedesi, tedesche e lituane. Un mostro di cultura, insomma.

"Ma l'illustre professore, che entrerà a far parte dell'Accademia d'Italia nel 1930, ha anche un lato debole: le donne. In particolare le donne nordiche. Trascorre infatti molto tempo lontano da casa per viaggiare nel Nordeuropa dove segue i suoi studi prediletti e i suoi svaghi preferiti. Fino a quando, dopo avere ottenuto lo spadino e la feluca di accademico, non abbandonerà moglie e figli per seguire nell'estremo Nord una bellissima finlandese molto più giovane di lui."

 

Allo scopo di invogliare alla lettura dell'intero poema il lettore italiano, abbiamo trascelto una parte degli episodi riportati nella notevole antologia, curata dal filologo classico Arturo Carbonetto - studioso e traduttore di Virgilio e di molti altri autori latini -, Figure e miti nei secoli, per l'Editore Palumbo di Palermo, nel 1965 (pp. 583-604).

 

"IL POP ARSO VIVO

"Ed ecco una volta nella notte lo Sciamano svegliò Anhelli, dicendogli: «Non dormire, ma vieni con me, perché vi sono cose importanti da fare nel deserto».

"Avendo pertanto indossato una bianca veste, Anhelli seguì il vecchio; e andavano, col chiarore delle stelle.

"Non erano andati molto lungi, quando scorsero tutto un accampamento di bambini e giovanetti esiliati in Siberia, che si riposavano presso il fuoco.

"E nel mezzo della turba stava un pop, montato su di un cavallo tartaro; e ai due lati della sella teneva due ceste di pane.

"E prendeva a insegnare a quei bambini, secondo la nuova fede russa e secondo il nuovo catechismo.

"E li interrogava su cose indegne e i ragazzi gli rispondevano mostrandosi premurosi, perché aveva accanto alla sella le ceste col pane e poteva nutrirli; ché avevano fame.

"Volgendosi pertanto ad Anhelli, lo sciamano parlò:  «Dimmi! Non ha passato la misura questo prete, seminando un cattivo seme e corrompendo le anime pure di questi piccoli?

"Ecco, essi hanno già dimenticato di piangere per le loro madri e qui fanno gli occhi dolci al pane, come cagnolini; abbaiando cose cattive e che sono contro la fede;

"dicendo che lo zar è il capo della fede e che in lui è Iddio  e che niente non può comandare che sia contro lo Spirito Santo, anche se ordini cose simili a delitti!, perché in lui è lo Spirito Santo.

"Adoprerò dunque contro questo prete il fuoco celeste, per arderlo,  e lo ucciderò dinanzi agli occhi dei fanciulli».

"E non appena lo Sciamano ebbe pronunziato la parola della maledizione, quel pop sul cavallo cominciò ad ardere e gli uscivano dal petto fiamme, che si congiunsero nell'aria, al di sopra del suo capo.

"E il cavallo spaventato cominciò a portarlo, mentre così bruciava, sulla steppa; ma poi, scuotendosi, fece cadere quell'uomo carbonizzato, che era sino allora rimasto in sella.

"Ed ecco su quel marciume di uomo correvano scintille… come quelle piccole faville che si vedono sulla carta bruciata, che vagano e si sdipanano in vari versi.

"Essendosi adunque avvicinato ai fanciulli, lo Sciamano disse: «Non temete; Dio è con voi.

"Il fuoco vi ha spaventato come colombe dormenti; ma voi vi eravate addormentati nella casa dell'incendio e già i vostri corpicini sfiorivano».

"E quei fanciulli tesero le manine al vecchio, gridando: «Nonno, portaci con te!»

"E disse lo Sciamano: «Dove vi condurrò? Ecco, io vado nella via della morte, volete che vi prenda e vi nasconda sotto il mantello e dal lembo della mia veste vi deponga dinanzi al signore Iddio?»

"Gli risposero i fanciulli: «Portaci e conducici per ampie strade fino alle nostre madri».

"E tutti presero a gridare con grande fierezza: «Noi siamo Polacchi; guidaci alla nostra patria e alle nostre madri» sì che lo Sciamano cominciò a piangere insieme a sorridere…

"E non poteva allontanarsi, perché un fanciulletto gli si era addormentato sul mantello, e sul lembi del suo mantello, mentre egli conversava con loro.

"Ed essendo sopraggiunti dei Cosacchi, guardavano con stupore a ciò che aveva fatto; e cominciarono a scostare i fanciulli dagli uomini stranieri, non osando però di batterne nessuno, ricordandosi di quel fuoco. (…)

 

"IL MIRACOLO DEL MELO

"Avendo poi lo Sciamano il pianto di Anhelli  (dopo il prodigio dell'anima del protagonista, di cui sopra], lasciò i pescatori e andò oltre nel deserto.

"E la luna era ancora alta, quando giunsero alla capanna di un vecchio, che salutò lo Sciamano come un antico amico. Era questi uno degli esuli di Bar [allusione alla Confederazione patriottica del 1768 per opporsi alle ingerenze di Russia, Prussia e Austria]… l'ultimo.

"La sua capanna, ombreggiata da un ampio melo, e piena di nidi di colombe e cantante di grilli, era appartata e tranquilla.

""E pose quel vecchio dinanzi agli ospiti una brocca di stagno e pani e pomi rosseggianti, e poi cominciò, come sempre faceva, a intrattenersi di cose lontane e di persone già morte.

"Ma non sapeva niente della nuova generazione in Polonia e che vi erano nuovi combattenti e nuovi martiri; e non voleva saperlo, essendo uomo del passato.

"Né già vi era in lui alcuna memoria, se non delle cose successe in gioventù; ma del giorno di ieri non sapeva e non pensava al domani.

"E si sosteneva coi vermi che chiamano 'rossicci'; e con quelli pagava il tributo allo zar; ed era appunto il giorno del pagamento del tributo.

"Difatti a tarda ora giunge dinanzi alla capanna il doganiere e, dopo aver bevuto dalla brocca, chiese la cosa dovuta.

"Così quel vecchio si spogliava di tutto, per soddisfare al tributo e per arricchire il servo di esso.

"E avendo preso ogni cosa, il doganiere uscì dalla capanna, dicendo: «Ecco, tu hai un melo ricoperto di frutti: io devo prendere la decima di esso».

"Così avendo detto, ordinò ai propri servi di scuotere il vecchio albero ampiocrescente; ma lo Sciamano disse ad Anhelli:

"«Va' e fermati sotto il melo; ma non dire niente a quelli che scuotono l'albero, finché la potenza di Dio si manifesti».

"Andò pertanto Anhelli e si mise sotto la pioggia dei pomi rosseggianti, a mo' di uomo tranquillo.

"Ed ecco, il melo si coprì di un grande splendore e i suoi frutti divennero stelle e scintillavano forte e non cadevano più.

"E le colombe dormenti si risvegliarono, penando che già fosse l'ora dell'alba; e lavatesi le penne, volarono via nell'aria rosata.

"Ora quel nuovo splendore atterrì i doganieri tanto che, lasciando stare il tributo, fuggirono con spavento e, saliti sul carro, si allontanarono.

"E lo Sciamano, avendo chiamato Anhelli, disse: «Andiamo via di qua, poiché il signore ci domanderà con quale potere facciamo ciò; e questo è un segreto, ed è un segreto il significato di queste stelle».

"Così dicendo, si circondò di tenebre insieme con Anhelli, ed uscirono.

 

"UN PRIGIONIERO MORTO

"E disse lo Sciamano: «Ecco, oramai non mostreremo miracoli né manifesteremo la potenza divina che è in noi; ma piangeremo, poiché siamo giunti alle genti che non vedono il sole.

"Né conviene di dar loro insegnamenti, poiché di più li ha ammaestrati la sventura; né speranza daremo loro, poiché non ci crederanno. Nel decreto, che li condannò, era scritto: Per sempre!…

"Ecco, sono le miniere di Siberia!

"Qui fa' attenzione a camminare, perché questa terra è lastricata di uomini addormentati. Senti? Ecco, respirano forte e alcuni di loro gemono e parlano nel sonno.

"Uno della sua mamma, l'altro delle sorelle e dei fratelli, un altro ancora della sua casa e di quella che di cuore amava, e delle messi, quando il grano gli s'inchinava come al suo signore; e felici sono adesso nel sonno… ma si sveglieranno

"In altre miniere urlano i malfattori: ma questa è solo la tomba dei figli della patria, e piena di silenzio.

"La catena, che qui cigola, ha un suono triste, e nella volta risuonano vari echi e un'eco dice: Vi compiango».

"Mentre così li compassionava lo Sciamano entrarono i guardiani e i soldati con le lampade, a svegliare i dormenti, per il lavoro.

"Si alzarono quindi tutti da terra e si svegliarono e andavano come pecore a testa bassa, eccetto uno che non si era alzato, perché era morto nel sonno.

"Ora Anhelli, essendosi avvicinato a quelli che andavano al lavoro con dei martelli grossi ,domandò a uno di loro, a voce bassa: «Chi era quel morto e di quale malattia è finito?».

"Un prigioniero, un uomo pallido, gli rispose: «Colui, di cui tu chiedi, era un prete; io lo conoscevo; egli confessava mia moglie e i miei bambini, in patria.

"E quando venne la guerra, montò a cavallo, col crocifisso in mano e a piedi nudi; e quando il fuoco batteva sulle file, stava fermo, gridando: 'Per la patria!… Per la patria!…'».

"E i carnefici afferrarono il servo di Dio e gli strinsero addosso un rozzo cappotto e a fatica ne lo vestirono, poiché quell'uomo era corpulento e stava senza muoversi, come cosa morta.

"Poi lo portarono alle miniere; fingeva di avere il cuore tranquillo: ma io vedevo che era pallido e triste." (…)

 

"UN PADRE TRASFORMATO IN BELVA

"Mentre così parlava lo Sciamano, lo circondarono gli infelici che lavorano nelle miniere e dicono: «Bene tu ammaestri e sei uomo di cuore e forse mandato da Dio

"Or dunque sappi, che cinque giorni fa è caduto un masso ed ha ostruito una delle gallerie, dove lavorava un certo vecchio co' suoi cinque figliuoli; e i guardiani non vogliono far saltare quel masso con la polvere e dicono: 'È un lavoro lungo; che muoia'

"E noi stiamo ogni giorno presso quel masso a udire se ancora son vivi, ma non si sente niente in quella caverna, nemmeno un gemito.

"Se tu sei un uomo di Dio, smuovi la pietra; forse il padre vive ancora, o qualcuno de' suoi figliuoli.

"Fa' almeno stupire i nostri carnefici, liberando quegli uomini; poiché moriranno di fame».

"Condussero dunque lo Sciamano a quel masso e si fece un gran silenzio; lo Sciamano, alzando gli occhi al cielo, pregava.

"E venne un vento sotterraneo e rovesciò il masso sì che si aprì una gola buia e profonda, e nessuno non osava entrarvi per primo.

"Adunque lo Sciamano, presa una torciera, entrò nel sotterraneo di su le pietre spezzate, e dietro a lui Anhelli e i prigionieri.

"E orribile vista essi videro! Ecco, sul corpo del più giovane dei figli il padre stava accovacciato come un cane, che mette le zampe sugli ossi ed è arrabbiato.

"E gli occhi di quel padre, spalancati, lucevano come vetro; e gli altri quattro morti giacevano lì presso, uno sull'altro.

"E lo Sciamano, avendoli guardati disse: «Che cosa ho fatto? Ecco, il padre vive, ma i figli son già morti. Perché mai ho pregato?».

"Così dicendo, uscì dal sotterraneo, e metà della folla andò dietro a lui. (…)

 

"UN'UCCISIONE SACRILEGA

"E quando furono giunti sotto la casa degli esiliati, udirono un tumulto grande e risate e grida e tintinnio di bicchieri e canti osceni; e lo Sciamano, fermatosi sotto le finestre, ascoltava, prima di entrare in quel covo di miseria.

"E quando si mostrò in mezzo alla folla, questa si tacque; poiché riconobbe l'uomo forte in Dio e non osò beffarsi di lui.

"E lo Sciamano, alzando gli occhi scintillanti, cominciò a parlare, accendendosi nella sua tristezza.

"«Che cosa avete fatto - disse - senza di me? Io ho veduto il vostro Golgota. Guai a voi!

"Ed io non rimarrò con voi, ma ciò che dirò, rimarrà con voi. Siate dannati, uomini litigiosi!

"I venti trasportano i semi della quercia, ma saranno maledetti quei venti che porteranno in patria le vostre parole e i vostri consigli. Che la morte vi prenda!

"Si avvicina il gran giorno e nessuno vivrà fino alla sera di quel giorno. Si avvicina il giorno della Siberia e il sole della rovina.

"Perché non avete ascoltato i miei consigli e non avete vissuto in pace e d'accordo in amore fraterno, come conviene ad uomini che non hanno patria?

"Ecco, avete offeso gli uomini di questa terra, e stanno con le lancie, facendovi la posta; i loro stessi cani vi fanno la posta, per dilaniare qualcuno di voi.

"Chi di voi, quando ha incontrato un Ostiacco [ossia un Siberiano], si è comportato verso di lui con dolcezza e con umanità? In verità nessuno di voi è passato accanto ad un cane, senza dargli un calcio, come a un serpente. Oh uomini senza memoria e senza cuore!

"Adunque sorgerà il sole e porterà un giorno più terribile che la tenebra e un silenzio più spaventoso che gli uragani sul mare, poiché avrete paura di voi stessi.

"E questa neve diventerà mare, e la sua onda sarà verde, e la vostra casa sarà una nave che sta per sommergersi.

"Affilate le vostre ascie, perché ne avrete bisogno; e chi di voi sa uccidere, è un uomo utile.

"Si avvicina la Pasqua e traccerete la croce vermiglia sulle vostre porte, ma con qual sangue? Iin verità, non col sangue dell'agnello».

"Mentre così parlava lo Sciamano, alcuni si spaventarono, ma uno degli ubriachi dando di piglio a una brocca d'argilla, la scagliò contro il profeta e gli arrossò i capelli di sangue.

"Afferrata pertanto un'ascia, Anhelli stava per vendicarlo, ma lo Sciamano lo trattenne, dicendo: «Sii paziente.

"Chi fra un anno tornerà qui, piangerà su di essi; perché dunque prendere vendetta di costoro, che domani saranno oggetto di compassione?

"Dio! Non li punire».

"Così diceva, ed uno della folla gridò: «Maliardo! Ci hai stregati! Ecco, la brocca era piena e si è seccata».

E gli altri, avendo guardato nelle brocche, lo confermarono ad una voce, dicendo: «Liberaci dalla malia, se no ti puniremo di morte».

"E sorse un gridio grande e minacciose maledizioni si levarono, ed uno, preso un coltello, lo ficcò nel petto dello Sciamano, dicendo: «Tu ci hai stregati».

"Cadde il vecchio tra le braccia di Anhelli, e questi lo portò fuori dalla capanna e lo aiutava una giovane donna di nome Ellenai, che era stata una delinquente.

"E quando furono usciti dove splendevano le stelle, prese a dire il vecchio: «Portatemi vicino ai sepolcri, perché sto per dormire il sonno eterno».

"LO deposero adunque su una delle tombe, e il freddo della neve lo ravvivò; e la donna gli ravvolse i piedi coi capelli e li teneva sul seno.

"E avendo aperti gli occhi, il vecchio esclamò tre volte: «Anhelli! Anhelli! Anhelli!» e la voce di lui era triste.

"Egli disse: «Prendi le mie renne e va' verso il settentrione; troverai una dimora nella neve e tranquillità. E vivrai col latte delle renne.

Prendi con te questa donna, e che essa ti sia sorella; essa mi volle bene nell'ora della morte, adunque non voglio che si perda, come quelli laggiù.

"Che ti dirò ancora! Ecco, la morte parlerà per me e terrà le miei veci. Io ti ho amato.

"Perché tu fosti puro come il giglio, che dall'acqua prende le foglie e i colori innocenti; perché mi fosti buono come un figlio.

"Non rattristarti  fino alla morte per la perdita della tua patria… E non piangere pensando che non la rivedrai; tutto è un triste sogno».

"Mentre così parlava, Anhelli udì dei passi sulla neve, e disse: «Chi si avvicina? Sono questi i passi sonori della morte?»

"Ma era la renna, che fermatasi presso il padrone morente, riempiva di grosse lacrime gli occhi stupefatti; e si rivolse da lei lo Sciamano, e pianse.

"E dopo un momento Anhelli, accostatosi a lui, lo prese per la mano e sentì che era di un morto.

"Adunque seppellì il vecchio nella neve; e volgendosi ala donna, disse:«Vuoi tu prendermi per fratello? Vieni meco». Ed essa gli cadde ai piedi, dicendo: «Angelo mio».

"Anhelli la sollevò da terra e si volsero ambedue al settentrione, e dietro a loro andavano le renne dello Sciamano, sapendo che seguivano i nuovi padroni.

"Ma Anhelli taceva, perché aveva il cuore pieno di lacrime e di afflizione.

 

"LA MORTE DI ELLENAI.

"Procedevano adunque, Anhelli con quella donna e con le renne dello Sciamano, nel lontano deserto nordico; e trovata una capanna solitaria, scavata nel ghiaccio, abitarono in essa.

"E dopo breve convivenza, Anhelli si abituò a chiamare col nome di sorella quella delinquente pentita.

"Gli era essa serva e distendeva le foglie per il letto e mungeva le renne a sera, ed al mattino le spingeva fuori alla pastura.

"Il cuore di lei, per la incessante preghiera, si era riempito di lacrime, di tristezza e di speranze divine, e si abbelliva su di lei il corpo.

"Gli occhi si irradiavano di splendore meraviglioso e di fiducia in Dio; e i capelli le eran diventati lunghi e simili ad ampia veste, quando li scioglieva, e simili alla tenda di un povero pellegrino.

"Ed Anhelli stupiva che fosse tranquilla sull'avvenire, pur avendo compiuto una volta un grande misfatto, sì da portarne le mani macchiate di sangue.

"E stupiva che sì tenue fosse il lamento di lei, da somigliare al pianto di innocente fanciulla, quando invidia all'uccello le ali celesti, nel vedere che i bianchi alcioni si avviano verso il sole d'oro e si perdono nello sfolgorio dei raggi.

"Ed essa temeva di macchiarsi con parole impure, e diceva: «Ecco, noi due siamo in un immenso deserto: adunque Iddio ci ode e guarda su di noi; e se lo pregheremo di cose buone, non ci abbandonerà».

"Sopraggiunse adunque il giorno siberiano [ossia la lunga estate artica] e il sole non tramontava, ma correva nel cielo a mo' di cavallo nella pista, con la criniera fiammeggiante e la fronte bianca.

"La terribile luce non terminava mai e il fracasso dei ghiacci era come voce divina, che parla dalle alture agli uomini miseri e abbandonati.

"E la lunga tristezza e l'ansioso desiderio furono causa della morte a quella esule ed essa si sdraiò sul letto di foglie, in mezzo alle sue renne, per morire.

"Ed era il tramonto del sole: poiché da qualche tempo eran cominciate le notti nella erra di Siberia e il sole rimaneva ogni volta più a lungo sotto terra.

"Volgendo adunque ad Anhelli gli occhi di zaffiro, inondati di grosse lacrime, disse Ellenai: «Mi sei stato caro, fratello mio, e ti abbandono».

"E avendo detto dove doveva sotterrarla e che desiderava giacere sotto il pino che sorgeva nel triste burrone, disse: «Che mai diverrò dopo la morte?

"Ecco, io vorrei essere una qualche cosa vivente accanto a te, Anhelli, magari un ragnolino, che è caro al prigioniero e scende, per mangiare dalla sua mano, su di un aureo raggio di sole.

"Mi sono affezionata a te come sorella e come madre tua e di più ancora… ma il sepolcro termina ogni cosa…

"Non dimenticatevi di me, poiché chi si ricorderà di me dopo la morte? Forse solo la renna che io mungevo, versando lacrime.

"Se tu sai dove vanno gli uomini dopo la morte, dimmelo; poiché io sono inquieta, benché abbia speranza in Dio.

"Ecco, io volerò al tuo paese natale e vedrò la tua casa, i tuoi servi e i tuoi genitori, se essi vivono ancora.

"E persino quel luogo ove stava una volta il tuo lettuccio infantile, la tua piccola culla.

"Tu dirai che questi sono pensieri volgari, che  l'uomo dopo morto non vola… E che! Quando con tale pensiero la morte è più bella.

"Ed ecco, vedi, sul mio letto questa lastra di ghiaccio arrossata dal sole, con due ali di raggi: non è questo un angelo d'oro che sta su di me?

"Le renne strappano il musco di sotto al mio giaciglio e piluccano il letto di morte, ruminando… Povere renne mie, addio!

"Ed ora alzerò gli occhi alla Regina dei Cieli e pregherò a lei».

"Cominciò pertanto la morente a dire le litanie alla Madre di Cristo e proprio mentre diceva: Rosa aurea! Morì.

"E in segno di miracolo cadde una rosa viva sul bianco petto della morta e vi giacque; e nella spelonca si sparse  da essa un forte profumo di rosa.

"Non osò pertanto Anhelli di toccare il corpo della morta, né di comporre le mani, che erano distese lungo il corpo, ma sedutosi a capo del letto, pianse.

"Ed ecco, verso mezzanotte si levò un gran fruscio ed Anhelli pensò che fosse il fruscio delle renne brucanti il musco di sotto al letto di morte; ma altra era la causa.

"Un nuvolo come di spiriti tenebrosi si era fermato nella spelonca, sghignazzando; e le nere facce si mostravano attraverso la volta di ghiaccio spaccata e gridavano: «È nostra!».

"Ma quella rosa del miracolo, prese ali di colomba, si innalzò e guardò su di essi con occhi di angelo innocente.

"Pertanto quegli spiriti tenebrosi e il loro nuvolo si staccarono dal tetto, gridando nell'aria buia tristi maledizioni, e ritornò il silenzio, quale conviene in luogo dove una salma riposa.

"E tre ore dopo la mezzanotte Anhelli udì un bussare alla porta, che era di ghiaccio, e avendo tolto il lastrone, egli uscì alla luna.

"E vide quell'angelo, che gli aveva ricordato l'amore per la donna e il suo primo amore sulla terra[ossia l'angelo E