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Contro la pena di morte? Certo. Ma anche contro l' Onu.

di Carlo Gambescia - 19/12/2007

 

Non si può non essere lieti della votazione Onu sulla moratoria universale della pena di morte (ai 104 sì hanno fatto riscontro 54 no e 29 astensioni, il 15 novembre invece i no erano stati 52 e le astensioni 33).
Si tratta certamente di una giusta battaglia. Però vorremmo qui proporre alcune riflessioni di metodo piuttosto che di merito. E discutere del metodo significa interrogarsi sulla pericolosità, in linea ipotetica, di un’Assemblea Mondiale, autorizzata a decidere, a maggioranza, quel che sia giusto o ingiusto moralmente. Perché il vero punto della questione non è quello del valore della causa per cui si vota (in questo caso meritorio), ma di quei meccanismi sociologici, che almeno in linea principio, posssono essere “messi in moto” da un potere decisionale di questo tipo.
Ora, sulla pena di morte, vista la posizione conservatrice della diverse potenze che controllano politicamente ed economicamente l’Onu, a cominciare dagli Usa, difficilmente si giungerà a una "democratica" guerra di liberazione contro i paesi che la difendono e praticano, come quelle condotte per altre ragioni economicamente e strategicamente più importanti nel Kosovo, Afghanistan e Iraq, per limitarsi alle più recenti. Ma sul piano logico e sociologico ( a prescindere dai contenuti di queste "guerre di liberazione"), la possibilità sussiste, una volta che si sia accettata l’idea di un’Assemblea e di un Governo mondiali capaci di decidere per tutti. E “democraticamente” perché a maggioranza, come si legge spesso. Per quale ragione?
In primo luogo, perché anche nelle democrazie, piaccia o meno, a decidere è la forza fisica, pura e semplice, basata sulla costrizione o sulla minaccia di costrizione. Una legge, infatti, una volta approvata anche alla larga maggioranza, non viene mai osservata da tutti i cittadini. Di qui la necessità dell’esistenza di forze di polizia, magistrati e prigioni. In certo senso ogni stato al suo interno, conduce una "piccola" guerra contro la criminalità. Si tratta di una costante sociologica. In qualsiasi società - dal momento che gli uomini non sono angeli - vi sarà sempre una minoranza (che può variare quantitativamente a seconda della circostanze storiche, sociali ed economiche) penalmente “ribelle” e dunque perseguibile. E che di regola non si fa “perseguire” facilmente.
In secondo luogo, se quanto si è appena detto, viene esteso allo studio delle conseguenze “penali” circa l’applicazione delle eventuali “leggi” emanate da un ipotetico “Governo Mondiale” su basi parlamentari, si scopre che esso implicherebbe un “Polizia Mondiale”, una “Magistratura Mondiale” e ovviamente anche “Prigioni Mondiali". Tre istituzioni "necessariamente" rivolte a contrastare la "Criminalità Mondiale" in nome di uno "Stato di Diritto Mondiale". Ma di quale “criminalità” si tratterebbe? Certo, anche quella rappresentata delle varie mafie… Ma in realtà l'attenzione maggiore verrebbe rivolta alla "criminalità" costituita dagli stati che tentassero di opporsi alle ipotetiche decisioni “democratiche” e “a maggioranza” di un’assemblea mondiale, pilotata, come già avviene e come è tipico della democrazia procedurale, dagli stati più potenti sempre capaci di ricattare, magari economicamente, quelli più deboli. Oggi gli stati più forti, attraverso il Consiglio di Sicurezza, hanno il diritto di veto. Che tuttavia, anche se fosse eliminato, non cambierebbe la situazione. Come è purtroppo noto, nelle democrazie nazionali i rapporti economici, e dunque di forza sociale, decidono i contenuti delle leggi. E questa è un’altra costante sociologica. Figurarsi perciò quel che accadrebbe sul piano internazionale dove, ripetiamo, le nazioni più potenti controllano facilmente quelle economicamente più deboli.
In terzo luogo, un' Assemblea Onu, controllata dagli stati più forti, decreterebbe giusto o ingiusto quel che più le aggrada. Per ipotesi, nel tempo, si potrebbe giungere a una moratoria sull’economia pubblica; a una moratoria sul diritto di ogni stato a fruire delle proprie ricchezze nazionali. E così via, dichiarando fuori legge, e dunque passibile di misure repressive sul piano internazionale ( dal blocco economico all’invasione militare), qualsiasi stato osasse opporsi alle “leggi Onu”. In fondo la definizione statunitense di “Stati Canaglia”, si muove già lungo questa prospettiva pericolosa.
In conclusione, anche se la battaglia contro la pena di morte è moralmente giusta, non significa che in linea ipotetica l’estensione dei poteri dell’Onu, sia da giudicare un fatto positivo. Certo, può esserlo per un’Italia, ormai priva di qualsiasi senso della dignità nazionale, (e perché no?) europea.
Uno “Stato Mondiale”, e a maggior ragione se giuridicamente costituito su basi parlamentari, ma privo di quell’eguaglianza economica e sociale, che dovrebbe essere la base minima per ogni buona democrazia sostanziale, metterebbe subito fuori legge, dichiarandolo nemico dell’umanità, qualsiasi stato osasse opporsi alle sue regole “democratiche”. Ferma poi restando la questione, sociologicamente scontata, dell’esistenza di una minoranza ( nel caso composta da stati, etnie e/ o gruppi transnazionali, senza escludere i singoli individui) “penalmente perseguibile”, che continuerebbe a "fare" il suo (sporco) lavoro anche in una società mondiale "pacificata". Gli uomini purtroppo, ripetiamo, non sono angeli.
Di conseguenza c’è il rischio concreto di ritrovarsi a vivere, prima o poi, in una società politicamente "mondializzata", magari priva ufficialmente della pena di morte, ma profondamente totalitaria nella sua essenza, come mai nella storia precedente.
Spesso, come mostrano le vicende umane, le strade che conducono all’inferno sono lastricate di buone intenzioni.