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I «crediti di carbonio» di Papua

di Marina Forti - 19/12/2007

 

Una delle poche decisioni concrete prese durante la Conferenza delle nazioni unite sul clima, conclusa sabato a Bali, è quella di istituire un fondo internazionale per compensare la «evitata deforestazione», cioè i paesi che accettano di non tagliare porzioni delle proprie foreste.
Il fondo, affidato alla gestione della Banca Mondiale, si chiamerà «Forest Carbon Partnership Facility», che suona all'incirca «meccanismo di partnership foreste carbonio». Il principio è semplice: incentivare i paesi «in via di sviluppo» a conservare le proprie foreste compensando il reddito mancato. Infatti le foreste assorbono anidride carbonica, uno dei principali gas «di serra» che surriscaldano l'atmosfera terrestre, e la deforestazione è la seconda causa di accumulo di anidride carbonica nell'atmosfera: il Panel intergovernativo sul clima (Ipcc) stima che 1,6 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2 all'anno siano da attribuire alla deforestazione, cioè il 20% del totale - pari all'insieme del sistema dei trasporti mondiale.
D'altra parte le maggiori foreste vergine al mondo sono nella fascia tropicale e subtropicale del pianeta, in paesi «poveri», o «in via di sviluppo», spinti a commerciare il legname o fare spazio a grandi piantagioni per realizzarne un reddito immediato. La Banca Mondiale dunque si occuperà di raccogliere da un lato gli impegni finanziari di paesi industrializzati e ricchi, dall'altro gli impegni di paesi che si candidano a salvare porzioni delle proprie foreste. Bisognerà definire quanto «vale» un ettaro di foresta, in CO2 e in soldi (vedi terraterra, 31 ottobre), quindi il paese che non taglia la foresta sarà titolare di un «credito» di carbonio che altri paesi potranno acquistare. La «Forest Carbon Partnership» così estende il mercato delle emissioni ad effetto serra.
Il meccanismo dei crediti sarà un incentivo a non tagliare le foreste? Qualche perplessità è sollevata da alcuni ambientalisti proprio in Indonesia. Il bollettino «per la giustizia ambientale» Down to Earth (dte.gn.apc.org) esamina il caso di Papua, regione all'estremo oriente dell'arcipelago indonesiano, con grandi foreste e biodiversità ricchissima (e una amara storia di conflitti politici e repressione militare). Il governatore di Papua, Barnabas Suebu, ha annunciato di recente di voler aprire ben un milione di ettari di terra indigena alle piantagioni di palma da olio (cosa che porterà nuovi conflitti, perché la terra «indigena» è abitata da popolazioni che ne dipendono). Più o meno allo stesso tempo, nell'aprile scorso, lo stesso governatore di Papua ha detto (al Wall Street Journal) di voler «promuovere politiche per lo sviluppo sostenibile e la riduzione delle emissioni di gas di serra», cioè proteggere almeno metà del territorio forestale destinato allo sfruttamento e guadagnarne «crediti di carbonio». Contradditorio? Papua ha abbastanza foreste da autorizzare nuove piantagioni e insieme ricavarne «crediti», osserva Down to Earth. Osserva però anche una curiosa coincidenza. Il giorno dopo l'annuncio del governatore Suebu sulle foreste da proteggere, il milionario australiano Dorjee Sun, amico del governatore, ha comprato una quota di controllo in una piccola azienda australiana, Carbon Pool Pty, che nel 2006 aveva comprato i diritti su 12mila ettari nel Queensland australiano e venduto i risultanti «crediti di carbonio» alla multinazionale mineraria Rio Tinto, la quale è socia di Freeport nella più grande miniera di rame a cielo aperto al mondo - proprio a Papua.
Secondo il giornale di Wall Street, il milionario australiano vuole convincere Rio Tinto a comprare i crediti delle foreste di Papua - magari per compensare le emissioni che produce nella miniera di Papua. Amara ironia. Si chiede il bollettino ambientalista: chi beneficerà di tutto questo? Quanto dei «crediti» andrà a Jakarta (il governo centrale), quando a Papua stessa, e quanto alla popolazione indigena che vive di quelle foreste? Questioni aperte, e non solo nella lontana provincia indonesiana.