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Forme contemporanee del totalitarismo

di Carlo Gambescia - 20/12/2007

Il libro della settimana: Massimo Recalcati (a cura di), Forme contemporanee del totalitarismo, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 298, euro 15,00.
Il totalitarismo è una fenomeno serio. E va indagato con strumenti filosofici adeguati, soprattutto se ci s'impone l’immane compito di analizzare la “tendenza totalitaria immanente ai regimi liberal-democratici nell’epoca dell’affermazione incontrastata del discorso capitalista”, come appunto nel libro curato da Massimo Recalcati (Forme contemporanee del totalitarismo, Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. 298, euro 15,00).
Diciamo perciò subito che il testo non centra clamorosamente l' obiettivo. Per quale ragione? Perché carente sotto l'aspetto dell' impostazione filosofico-metodologica.
Secondo il curatore il totalitarismo post-ideologico contemporaneo sarebbe distinto dal “rigetto cinico di ogni riferimento all’Ideale”. Un aspetto, quest’ultimo, che comunque suo avviso caratterizzava, e in negativo, il totalitarismo ideologico dei regimi monopartitici. Alla celebrazione totalitaria “dell’ Ideale”, una specie di surrogato, attraverso il “capo” adorato dalla masse del Padre totemico, si sarebbe oggi sostituito il culto del “scientismo tecnologico” e la pratica altrettanto collettiva di un “cinismo individuale dell’oggetto di godimento”,
Questa la traccia filosofica del volume, in larga parte derivata dall’approccio decostruzionista di Simona Forti, studiosa presente nella raccolta con un saggio che appunto la apre (Il grande corpo della totalità. Immagini e concetti per pensare il totalitarismo, pp. 23-43).
Ed è proprio nell’approccio decostruzionista, per venire alla metodologia filosofica, il limite del volume. Perché se per un verso, gli autori scompongono fino a sminuzzarle le varie forme attraverso cui si manifesta il potere contemporaneo. Anche in modo pregevole, come nei saggi di Rocco Ronchi (Parlare in neolingua. Come si fabbrica la lingua, pp. 44-60); Davide Tarizzo (Applauso. L’impero dell’assenso, pp. 83-105); Giovanni Bottiroli, (Non sorvegliati e impuniti. Sulla funzione sociale dell’indisciplina, pp. 118-140), Marco Focchi (La totalizzazione della salute e l’imperialismo del positivo, pp. 228-244). Per l’altro non fornisce una teoria "costruttiva" del potere, se non come forma di controllo biopolitico. Ricadendo, tutto sommato, in quel cinismo individuale che invece si pretende di contrastare.
Sotto questo aspetto è particolarmente significativo il saggio di Matteo Vegetti (Il politico dopo lo Stato, pp. 179-195), dove si teorizza, sulla falsariga di Derrida, la costitutiva e creativa tensione nel mondo contemporaneo tra politico, come esercizio della sovranità e inalienabilità dei diritti dell’uomo.
Tuttavia se il politico è sostanzialmente biopolitico, come asserisce Vegetti, non restano che due strade: o quella dell’imposizione “a fin di bene” dei diritti dell’uomo, a tutti popoli, attraverso le tecniche della biopolitica; oppure quella fondata sulla speranza nella nascita di una nuova società - ma nel libro nessuno spiega come - finalmente capace di andare, non tanto oltre il politico, ma oltre il biopolitico.
Il decostruzionismo, insomma, non va oltre la critica del potere in quanto tale. Mentre per superare il biopolitico, occorrerebbe una teoria (filosoficamente) costruzionista e sociologica del politico, capace di andare al di là della riduzione del biopolitico a puro momento della costrizione fisica. Ma come?
In primo luogo, recuperando l’idealismo (comunitario e dunque sociologico) hegeliano, seguendo gli stimolanti spunti di Charles Taylor. In secondo luogo, riscoprendo criticamente il giovane Marx e il suo concetto di uomo come “ente naturale generico” (Gattungswesen); antropologicamnete caratterizzato dalle tre dimensioni ontologiche del lavoro, del linguaggio e della consapevolezza anticipata di dover morire, come ad esempio avviene nell’opera di un filosofo “marxiano” ma non conformista come Costanzo Preve. Aperto per certi aspetti se non al trascendente sicuramente al sacro. Un pensiero, il suo, dove il politico finisce "nelle cose" per essere necessario prolungamento, costruttivo del filosofico. E non un suo limite come nelle “Forme del totalitarismo contemporaneo”.
Ovviamente nel libro curato da Massimo Recalcati ci si guarda bene dal citare Preve: un pericoloso “stalinista”, ci dicono, per alcuni decostruzionisti all’italiana.
Contenti loro.