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Stockhausen fra radicalità e misticismo

di Antonio Rossiello - 20/12/2007

 

Stockhausen fra radicalità e misticismo


Il 5 dicembre è morto il compositore metà genio e metà eccentrico Karlheinz Stockhausen, il quale aveva dichiarato, riferendosi agli attentati del 11 settembre 2001 alle torri gemelle di New York, città in cui è Lucifero: “Questa è l’opera d’arte più grande mai esistita’’, precisando, dopo, che tale locuzione era stata riportata in maniera diffamatoria ed ambigua dai media.
Era nato a Kerpen-Modrath presso Colonia il 22 agosto 1928 in Germania, aveva studiato pedagogia della musica e pianoforte al conservatorio di Colonia, specializzandosi con Milhaud e Messiaen a Parigi, e scienza della musica, germanistica e filosofia. Dal 1953 aveva collaborato con Herbert Eimert, suo fondatore nel 1951, allo Studio di musica elettronica di Colonia, di cui divenne direttore nel 1963. L’avanguardia musicale comparsa nel dopoguerra nell’Europa, cuore delle correnti musicali attive ed innovative nei decenni seguenti, prese l’avvio nell’alveo degno del linguaggio dodecafonico estremizzato del ‘’serialismo integrale’’ di Anton Webern, il più radicale degli allievi di Arnold Schonberg. La novità era l’estensione del principio di organizzazione in serie a tutti i parametri (timbro, ritmo, intensità, altezza), che ricevevano una organizzazione strutturale che portava ad un ipotetico controllo assoluto sulla materia compositiva e nella formulazione. Dal 1957 Stochausen aveva diretto i corsi estivi per la Nuova musica internazionale o Ferienkurse fur internazionale Neue Musik della Scuola di Darmstadt, città dell’Assia, vicina a Francoforte, dove dal 1946 erano stati promossi da Wolfgang Steinecke meeting, sperimentazioni delle avanguardie musicali europee e seminari estivi di composizione; del linguaggio musicale occultato dal nazismo, e di tecnica strumentale contemporanee cosmopolitiche, internazionali, aperte a tutte le nazionalità della musica, con il contributo di critici, di compositori, di esecutori, musicologi, destinati come riferimento centrale ad una nuova musica. Stockhausen si era imposto come protagonista della musica contemporanea attraverso una ricerca che, alla fine degli anni ’50, contraddistinse le soluzioni più radicali del nuovo pensiero compositivo. Fin da “Kreuzspiel’’ per 6 strumentisti del 1951, appariva la sua volontà di tralasciare ogni continuità storica, radicalizzando la lezione di Anton Webern per attuare l’astratto rigore di una progettazione e principio di serialismo integrale, estensione di procedimenti seriali ad altezze, timbro, ritmo, intensità, la cui coerenza interna consentisse di far tabula rasa, e di un rapporto con il silenzio, con la costellazione di suoni che diventavano punti sospesi, refrattari e risvolti contenutistici o discorsivi. Nel 1951 ‘’Kreuzspiel’’ il puntillismo esprimeva una necessità di disgregazione, di dissociazione dei singoli punti della composizione, isolati, indipendenti, sottratti alla logica aggregante, a qualsiasi aggancio della memoria o riferimento della storia. Il suono viveva nella sua pura fisicità. Stockhausen approdò alla totale dissociazione “puntilistica” e al suo superamento nei primi “Klavierstucke” del 1952-’53 e in “Kontrapunkte” del 1953 nella composizione per gruppi o strutture o “Gruppen-Technik”, dove per “gruppo” si intendeva una costellazione sonora percepibile nelle caratteristiche complessive, e non analizzabile all’ascolto nelle singoli componenti. Il rischio di un automatismo astratto, inteso come singolo raggruppamento nella medesima composizione, era lo sviluppo specifico dato con il primo ciclo di quattro “Klavierstucke” del 1952-’53 ed in “Kontra-Punkte” e quello che in Webern era il concetto di punto-suono e che fu allargato ad aggregati multipli di suoni, organizzati in base a relazioni ampie, globali, cosicché le singole strutture subivano un relativo trattamento seriale. Al “Gruppentechnik” si associava il principio nuovo, che allargava la ricerca di Stockhausen verso congetture linguistiche che avvertivano l’ulteriore allentarsi del rigore puntillista. Stockhausen elaborava una teoria dei “campi temporali” su un’idea di tempo non lineare o consequenziale, un
tempo come struttura che stava fuori della concezione tradizionale e direzionale, aperto ad una teoria nuova, tale da comportare una coerente integrazione fra la struttura seriale delle altezze e quella delle durate, che applicava in lavori come “Klavierstucke” V-X (1956-’56, il VI, il IX e il X rivisti nel 1960-’61), “Zeitmasse” per quintetto a fiato (1955 – ’56) e “Gruppen” per tre orchestre (1955 – ’56), in cui concepì complessi quadri musicali costituiti dalla sovrapposizione simultanea di campi temporali diversi, ciascuno con una propria “durata fondamentale” strettamente relazionata alle altezze dei suoni, al timbro ed alla densità sonora. Le nuove direzioni di ricerca comportarono un‘indagine intensa del rapporto tra tempo e suono, all’interno di una concezione del tempo musicale liberata dalla linearità e dalla consequenzialità tradizionali. Vedasi l’articolo storico del 1956 “Come il tempo scorre…”. Il superamento della serialità integrale, la progettazione per “strutture”, l’indagine sull’impiego compositivo dello spazio e l’introduzione di un grado di indeterminazione, di pratiche aleatorie “controllate” (profondamente diverse da quelle di John Cage), nel “Klavierstuck XI” (1956) approdò a tal principio, un’alea controllata o casualità parziale, ed in “Zyklus” (1959-’60) per percussionista. L’elettronico “Gesang der Junglinge” (Canto dei giovinetti, 1955-’56), “Gruppen” del 1957 per tre orchestre, “Carrè” (1959-’60), per quattro cori e quattro orchestre e “Punkte” per orchestra del 1952-’62). Stockhausen vincolava la tecnica di composizione per gruppi e quelle delle strutture temporali ad una nuova esplorazione dello spazio, inteso come parametro della composizione stessa. Emergeva una nuova perlustrazione del movimento del suono nello spazio, alla posizioni anomale, delle fonti rispetto al punto di ricezione e di ascolto. Una svolta stilistica e una critica considerazione del serialismo integrale. La tecnica di composizione aleatoria o parzialmente indeterminata. Nuove problematiche in “Konakte” del 1960 con l’unione di musica elettronica e strumenti dal vivo. La poetica di Stockhausen negli anni ’60 fu discontinua, rivolta alla rinuncia del radicalismo estremo del purismo stilistico degli anni precedenti con “Carrè” per 4 cori e 4 orchestre del 1959-’60, con l’emergere di una dimensione retrospettiva, idealmente mahleriana e con “Momente” (1962-’64, 1972), fondato su momenti intesi come entità formali più ampie ed autonome dei gruppi e disposti in modo da lasciare ampio spazio alle scelte degli interpreti come in “Hymnen” (1966-’67,1969), l’impiego di inni nazionali in un angoscioso collage introduceva l’uso di materiali eterogenei.
In “Refrain” del 1959 comparì nella poetica di Stockhausen la suggestione verso filosofie orientali e verso quel misticismo che ritornò nel corso degli anni ’60 e ’70 come in “Stimmung” per 6 voci (1968) in cui coesistevano i due poli fondamentali del suo pensiero, una rigorosa complessità di organizzazione ed aspetti mistico-irrazionali. Un’invenzione timbrica visionaria e l’apertura ad eterogenee dimensioni stilistiche caratterizzavano composizioni come “Mantra” (1969-’70) per 2 pianoforti e modulatori ad anello, o “Inori” (1973-’74) per orchestra. In questi ed in altri lavori più recenti Stockhausen assunse in modo più insistito atteggiamenti da veggente, mirando a un coinvolgimento magico dell’ascoltatore.
In “Mantra” si anticipava una tecnica di dilatazione e trasformazione di formule base che trovava seguito in “Sirius” (1975-’77) per 4 solisti e nastro magnetico ed infine nella monumentale dimensione progettuale di “Licht” (Luce), un ciclo di sette opere teatrali, una per ogni giorno della settimana. Una triplice formula era alla base dell’immensa impalcatura musicale, ne definiva situazioni e personaggi in un fitto intreccio di corrispondenze numeriche e di esoteriche allusioni, ricordando i “Leitmotive” o motivi guida wagneriani (per la più complessa funzione strutturale).
Il messianismo di Stockhausen, la concezione del tempo come misura di cicli vitali, l’idea di un’unità cosmica che si esprimeva nelle vibrazioni del suono si affiancava ad un nuovo piacere della melodia, un gusto per la trasparenza di scrittura che sconfinava nel diatonismo, in una luce personalissima. Del ciclo (il cui completamento era stato preventivato per il 2002) sono state composte le opere “Donnerstag” (giovedì, 1981), “Samstag” (sabato, 1983), “Montag” (lunedì, 1988), “Dienstag” (martedì, 1992) e “Freitag” (venerdì, 1996), lasciando allo stadio progettuale la conclusione del ciclo. I pilastri della concezione musicale di Stockhausen, come il costruttivismo, il principio del tempo, la mistico associazione di numeri e di corrispondenze esoteriche. Si era persa la tensione radicale e sperimentale di prima, sostituite da un gusto eclettico per la melodia diatonica e tonale. Le ultime sue opere furono “Sontag” (domenica, 2003) da “Licht” e “Cosmic pulses” del 2007 da “Klang” per musica elettronica.