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Geoffrey Jenkins e l'enigma dell'isola Thompson

di Francesco Lamendola - 21/12/2007

 

 

 

     Mare, vento, ghiacci è la traduzione italiana, uscita nel 1971 per i tipi dell'editore Longanesi, del romanzo A Grue of Ice dello scrittore sudafricano Geoffrey Jenkins. Nato nel 1920 a Port Elizabeth, nella parte anglofona del paese, è però cresciuto nel Transvaal a maggioranza boera ed ha percorso  una promettente carriera nel mondo della stampa: vice-direttore di un giornale in Zimbabwe, si è poi affermato come giornalista sia in Gran Bretagna che in Sud Africa. Intanto ha continuato a coltivare la sua grande passione per il mare e per le barche, acquisendo una conoscenza di prima mano nel campo della navigazione. Nel 1959, giunto alla soglia dei sessant'anni,  vuol provare a cimentarsi con la narrativa e scrive il suo primo romanzo: A Twist of Sand, da cui più tardi (nel 1968) verrà tratto un film con Richard Johnson e Honor Blackman. È un successo immediato e i libro sale in vetta alle classifiche, divenendo un vero e proprio best-seller; molti altri ne seguiranno, venendo tradotti in 23 lingue per un totale di oltre cinque milioni di copie.

Prima di morire a ottantun anni, nel 1921, Jenkins pubblica altri quindici romanzi di successo, e cioè: The Wartering Place of Good Peace (1960); A Grue of Ice (1962), The River of Diamonds (1964); Hunter-Killer (1966); Scend of the Sea (1971);  A Cleft of Stars (1973); A Bridge of Magpies (1974); South Trap (1979); A Ravel of Waters (1981); The Unripe Gold (1983); Fireprint (1984); In Harm's Way (1986); Hold Down a Shadow (1989); A Hive of Dead Men (1991) e A Daystar of Fear (1993). Un secondo film è stato tratto dalla narrativa di questo autore, precisamente da In Harm's Way, tre anni dopo la pubblicazione del romanzo; esce nelle sale cinematografiche con il titolo di Dirty games, nel 1989. Un terzo film avrebbe dovuto esser ricavato nel 1966 da una sceneggiatura per il personaggio di James Bond, scritta a quattro mani con Ian Fleming per gli studi Glidrose. Ma, dopo la morte di Fleming, la cosa non è andata in porto e il manoscritto non è più stato pubblicato.

Lo straordinario successo editoriale di Geoffrey Jenikins, comunque, pur essendo un fatto di portata mondiale, ha riguarato prevalentemente i paesi di lingua inglese. Il pubblico italiano ha conosciuto questo scrittore sudafricano attraverso la traduzione di quattro dei suo romanzi: A Twist of Sand, il cui titolo è stato cambiato, per esigenze editoriali, in quello di L'U-Boot scomparso; e A Grue of Ice (col titolo, come si è già detto, di Mare, vento, ghiacci); The River of Diamonds (Il fiume dei diamanti); e I denti dello squalo.

Scrive Mario Monti nella Presentazione del primo di questi due libri: "Non a caso Geoffrey Jenkins e Ian Fleming, l'inventore di James Bond, furono chiamati assieme a lavorare nel Ministero degli Esteri inglese durante la guerra. A quell'epoca, Jenkins, nato a Port Elizabeth nel Sud Africa,era soltanto un noto giornalista, autore, a diciassette anni, di un libro di storia. Nell'U-boot scomparso, il suo primo romanzo che lo portò in pochi giorni a una popolarità folgorante, Jenkins presenta in modo magistrale con una prosa molto più raffinata, diversi personaggi e diversi spunti che in Fleming diventeranno motivi schematici per altrettanti libri, soprattutto della serie bondiana. Ad esempio, per la prima volta nella narrativa, se la si vuol chiamare così, spionistica,  o di avventure, moderna, ecco un covo indipendente di persone che vivono isolate, in un nascondiglio segreto, protetto con tutti i mezzi dell'inventiva umana e con armi potenti, e organizzato, secondo una linea di disciplina ferrea,  da una sorta di capo che ha ancora in mente la conquista del mondo con una scoperta scientifica: nel nostro caso, il comandante di un sommergibile atomico tedesco. Il vantaggio da una parte, e all'altra lo svantaggio (perché meno accettabile ai palati grossolani) di Geoffrey Jenikins, è che mentre Fleming anche nelle trame meglio congegnate si affida a meccanismi infantili e quasi da fiaba, spesso negando al lettore spiegazioni accettabii, Jenkins domina questo gioco fantastico con una logica e una varietà di particolari realistici e tecnici che reggono anche all'esame più severo. In altre parole, la fiaba può essere trasformata anche domani in realtà. Ad esempio, il sommergibile scomparso si trova non in una fantastica zona o regione inventata dall'autore, ma in un preciso punto  della costa africana, dove banchi di sabbia, correnti  impetuose e venti fanno deviare le rotte delle navi. Allo stesso modo, il protagonista di questo romanzo può avvicinarsi al suo obiettivo ,non soltanto perché ha l'esperienza di comandante di un sommergibile inglese distintosi nell'ultima guerra, ma anche perché, come spesso accade nelle famiglie britanniche, ha seguito la carriera marinara ubbidendo a una tradizione secolare e ha trovato in certe carte ereditate una mappa precisa della Costa degli Scheletri. Per quanto riguarda la sensualità del protagonista di Jenkins, in un certo senso è meno disincantata e perciò meno meccanica di quella del povero Bond, costretto dalla fretta a un'azione indiscriminata; ma, come è facile comprendere, è certamente più intensa e evocativa. Dobbiamo chiedere scusa agli ammiratori  di Fleming per questo confronto, necessario tuttavia per inquadrare con precisione la narrativa di Geoffrey Jenkins. " (1)

 

La storia è narrata in prima persona dal protagonista, il capitano Bruce Wetherby, che durante la seconda guerra mondiale è stato comandante nella Reale marina britannica. Adesso egli si trova nell'isola di Tristan da Cunha con un amico ed ex commilitone, il marinaio Sailhardy, impegnato nella ricerca di una misteriosa corrente marina calda, il Piede d'Albatro, che a intervalli irregolari solca le acque dell'Atlantico meridionale, trascinando con sé milioni e milioni di microscopici esseri viventi che formano il plancton. Nel corso di tali ricerche, improvvisamente, lui e Sailhardy vengono rapiti  e portati a bordo di una modernissima nave-officina per la caccia alle balene, l' Antartica, di proprietà del miliardario sir Frederick Upton. L'operazione di trasbordo è eseguita da una ragazza, Helen, che pilota con sovrana maestria un elicottero e che si rivela essere la figlia di Upton. Ella è molto diversa al padre: intelligente e profondamente sensibile, pur sotto un'apparente scorza di impassibilità; mentre Upton è né più né meno che la versione moderna di un antico filibustiere, un uomo senza scrupoli né princìpi, che pare posseduto da un'ansia febbrile, da un segreto di cui è spasmodicamente alla ricerca. Fra Helen e Bruce Wetherby si instaura quasi subito un rapporto di reciproca simpatia che, gradualmente, sfocerà in un sentimento d'amore.

Upton conosce già Wetherby di fama: durante la guerra, nelle acque dell'isola Bouvet, questi ha colato a picco la famosa nave corsara tedesca Meteor. Ma, soprattutto, ha scoperto casualmente un segreto che vale una fortuna: che nelle acque dell'isola vi è la zona di riproduzione della Balena Azzurra. Ora Upton ha convocato alcuni comandanti di baleniera a bordo della sua ammiraglia e li esorta a seguirlo in una lucrosissima battuta di caccia che, però, è formalmente illegale perché le acque territoriali norvegesi, cui Bouvet appartiene, si estendono per un raggio di ben duecento miglia e pertanto coprono tutta la zona di riproduzione dei cetacei. In realtà, Upton ha ben altri piani per la mente e la storia della caccia alla Balena Azzurra è soltanto una facciata; tuttavia i capitani si mostrano entusiasti del progetto e decidono di seguirlo. Tutti tranne uno, Mikklesen, che lancia l'allarme radio alle autorità norvegesi; il messaggio viene raccolto dal cacciatorpediniere Thorshammer che si lancia immediatamente all'inseguimento, pur essendo ancora abbastanza lontano. Da questo momento in poi, l'azione si fa particolarmente rapida e incalzante e si svolge sotto la costante minaccia da parte della nave da guerra norvegese.

Upton ha bisogno di Wetherby perché lui solo ha visto, durante la guerra, un'isola-fantasma che è stata avvistata dal capitano George Norris dello Sprightly nel 1825 e, di nuvo, dal capitano J. Fuller nel 1885: l'isola Thompson. Ebbene Upton è certo che quell'isola contenga ricchissimi giacimenti di cesio, un metallo rarissimo necessario alla corsa spaziale ingaggiata fra Stati Uniti d'America e Unione Sovietica; e ora, con l'aiuto dell'inglese, vuole localizzarla. Per il momento, però, non rivela a nessuno i suoi piani; sarà solo in seguito, quando la situazione precipiterà bruscamente, che Wetherby e gli altri comprenderanno i veri scopi del miliardario. A bordo dell'Antartica, infatti, l'ex capitano inglese fa la conoscenza - oltre che col capo-ramponiere Walter, uomo di fiducia di Upton e "cattivo" della situazione, con un radiotelegrafista tedesco, Pirow, che era a bordo del Meteor e che, durante la guerra, con i suoi falsi messaggi-radio (attività in cui era abilissimo) aveva provocato l'affondamento di molte ignare navi alleate. Anche adesso Pirow dà un saggio della sua straordinaria abilità, depistando momentaneamente il Thorshammer e assicurando quindi alla flottiglia di baleniere un temporaneo vantaggio. Ma ecco che la situazione improvvisamente precipita per un fatto imprevisto: un idrovolante del Thorshammer viene abbattuto da una raffica di mitraglia sparata da Walter, che però fa ricadere la colpa su Wetherby; mentre Pirow imita alla perfezione i messaggi di aiuto di un ipotetico canotto di salvataggio con a bordo i membri dell'equipaggio dell'idrovolante. Mentre ciò accade, il mare ghiaccia quasi senza preavviso e l'Antartica rimane bloccata nella morsa del pack, che la stritola e ne provoca l'affondamento.

Intanto i capitani delle baleniere, informati per radio dalle autorità dell'abbattimento dell'idrovolante, tornano indietro e fanno prigionieri sia Upton con Walter e Pirow, sia Wetherby con Salihardy ed Helen (ormai si sono delineati questi due terzetti: diciamo pure, tanto per capirci,  i "buoni" e i "cattivi"). Ora decidono di aspettare l'arrivo del Thorshammer all'isola Bouvet; ma Pirow rivela a Wetherby che il Meteor, durante la guerra, ha deposto un campo di mine nelle acque dell'isola. Intanto matura la delicata storia d'amore fra l'ex capitano inglese e la bella aviatrice, in contrasto con l'estrema drammaticità della situazione e con la violenza selvaggia degli uomini e della stessa natura.

"Helen ruppe il lungo silenzio. - Non poteva finire in quel modo, non è vero, Bruce?

"Scossi la testa. La sua faccia era tesa, gli occhi non avrebbero potuto essere più belli.

"- No - dissi. - ma domani la soluzione potrebbe essere un'altra- Le dissi del campo di mine posato dalla Meteor. Per un poco ella non rispose, poi allungò una mano, afferrò la mia ricoperta dal guanto e la serrò in una stretta che rivelava tutti i suoi sentimenti.

" - Se non fosse per te, Bruce, credo che odierei quest'oceano e le sue creature, le sue opere. Non ha mai soste, non cade mai, vero? È parte di te, e forse ben più che soltanto una parte. Dico bene? Per questo non posso odiarlo.-

"Mi chinai e la baciai leggermente sulle labbra. Vidi riflessa nei suoi occhi l'immagine di un'esplosione di luce solare ai limiti dell'orizzonte.

" - No - scattò - non lo faranno, non voglio! - Allungò una mano verso i comandi del motore- Non lo faranno, finché io sono in grado di portarti via! -

"La trattenni, acennando a Brunvoll che teneva lo Schmeisser puntato.

"  - Prima che i rotori si mettano in moto, cara Helen, ci verrà addosso una scarica da quell'aggeggio - l'ammonii. - Non credere che Reidar Bull, Hanssen e Brunvoll scherzino. Fanno sul serio e non esiterebbero. -

"- Siamo stati afferrati ambedue in un ingranaggio pauroso- ella esclamò, con calore. - Siamo nel mezzo di un oceano immenso, vuoto, solitario quanto nessun altro, e pure qualcuno ci ha imprigionati in una rete che ci allontana l'uno dall'altro. -

"- Una rete tesa da tuo padre -, volli aggiungere

"- Lo so, lo so - ella acconsentì. - Ma tanto io che tu sappiamo che mio padre non ne è la sola causa.-

"- L'isola Thompson -, suggerii.

"- L'isola Thompson -, ella ripetè, quasi con un singhiozzo. - Dio mio! Quanto detesto il suono di quel nome!" (2)

Quando l'Aurora, che trasporta i prigionieri sotto la sorveglianza del capitano di una delle baleniere, Reidar Bull, giunge nei pressi di Bouvet, va a urtare una delle mine tedesche e affonda rapidamente. Bruce Wetherby, con l'amico Sailhardy e con il terzetto Upton-Walter-Pirow, riesce a sbarcare fortunosamente con una scialuppa e a raggiungere, tra enormi difficoltà, una baracca-rifugio costruita su una rupe, dopo aver aperto un sentiero nel ghiaccio e rischiato più volte di precipitare. Il mattino dopo si ode il rumore di un elicottero: Helen è stata costretta da Reidar Bull a condurlo sull'isola, per catturare nuovamente i cinque uomini. Ma mentre l'elicottero atterra, la fune del rampone scagliato da Walter s'impiglia fra le pale e trancia di netto la testa al norvegese. Adesso Helen si è ricongiunta con Bruce, ma la loro situazione non è migliorata. Upton, che è letteralmente sconvolto dall'idea di raggiungere a ogni costo l'isola Thompson per impadronirsi dei depositi di cesio e non si cura affatto delle condizioni di sua figlia, li tiene prigionieri sotto la minaccia delle armi; nel complesso si dimostra più spietato e irriducibile dello stesso Walter. Tuttavia il breve soggiorno nella baracca sull'isola Bouvet, circondati dai venti fischianti e momentaneamente isolati dal mondo intero, Bruce ed Helen vivono una parentesi affascinante della loro tormentata vicenda, ingentilita dal salvataggio di un cucciolo di foca che Helen decide di prendere con sé, e da quello di un albatro rimasto ferito dalla micidiale unghiata di una foca-leopardo.Alla fine, nonostante lo scatenarsi di una violentissima bufera, tutto il gruppo è  costretto da Upton a prendere il mare sulla scialuppa. La traversata è spaventosa: su un'imbarcazione scoperta, sollevati dalle gigantesche onde dell'Antartico, intirizziti dal freddo, gli uomini vagano alla ricerca del nulla: perché Wetherby, che si rende conto delle conseguenze che avrebbe la competizione mondiale per lo sfruttamento del cesio, ha giurato a se stesso di non rivelare a nessuno la vera posizione dell'isola e, quindi, fornisce a Upton coordinate volutamente sbagliate.

"Con il sopraggiungere del pomeriggio, il vento raggiunse una velocità non inferiore ai cinquanta nodi orari, quasi al massimo della scala di Beaufort. Se avessimo potuto alzarci in volo, l'avremmo fatto più che volentieri, ma purtroppo, date le circostanze, non ci rimaneva altro che cercar di restare a galla. Per tre giorni la baleniera scappò davanti alla tempesta come un animale impaurito. Non c'era possibilità di fermare, di trattenere, di guidare l'imbarcazione. Sailhardy e io ci scambiavamo i turni al timone. Seduti sull'alta poppa, stavamo chinati in avanti quasi piegati in due, e il vento ci buttava sulla schiena raffiche di ghiacciuoli, di neve e di acqua di mare gelata, con la violenza e l'insistenza di un fucile mitragliatore, o dei tacchi di una danzatrice spagnola. A volte mi sorprendevo quasi a singhiozzare sotto quelle lunghe, eterne scariche spietate, tanto che pensavo di non riuscire più  a resistere; sinché finalmente subentrava, penoso, un intervallo  di quiete, che però era seguito poco dopo da un'altra scarica selvaggia, che falciava ogni cosa le si parasse davanti. Appena avvertivo i blocchi di ghiaccio, le brevi piattaforme  e i piccoli iceberg che ci passavano  velocissimi accanto nella luce incerta, che dal grigio pallido del giorno piombava nell'oscurità più completa della notte. Dovunque andassero a cadere gli spruzzi di acqua, questa vi rimaneva ghiacciata, sino a che i nostri visi, l'albero, i sedili, il graticolato del fondo e la tela delle fiancate furono ricoperti da uno strato compatto. Il movimento continuo e violento dell'imbarcazione impediva nel modo più assoluto di accendere il fuoco e i nostri pasti si riducevano perciò a operazioni pietose, nelle quali il cibo veniva tolto dallo scatolame con le dita. Walter e Upton stavano nella parte pontata di prora, con l'albatro, mentre Pirow rimaneva a poppa, con la radio. Nel vano che questi occupava era buio, tanto che si sarebbe potuto crederlo morto, se non fosse stato per gli occasionali ticchettii che si udivano, quando continuava nel suo compito d'ingannare il Thorshammer. Le coste irregolari e il ruvido fondo della barca rendevano il sonno un inferno e il freddo spietato penetrava attraverso il tessuto impermeabile e il vello dei sacchi a pelo. Avevo steso la vela grande color ocra assicurandola al ponteggio di poppa fino a uno dei banchi e sotto di quella vivevamo Helen, Sailhardy e io, noi due ultimi dandoci il cambio al timone. La foca cucciolo stava nel sacco a pelo con Helen e offriva nel gelo di tutto l'ambiente una minuscola zona di calore. Quando nel corso della notte precedente avevo chiamato Sailhardy e mi ero infilato nel mio sacco, mi aveva molto impressionato udire Helen parlare nel delirio." (3)

Oltre che un abile tessitore di trame intricate e di fili narrativi sapientemente intrecciati, animati da frequenti colpi di scena, Jenkins è uno scrittore di notevole efficacia nella descrizione della grandiosa e terribile bellezza della natura nei tempestosi mari antartici. Spettacolare e al tempo stesso poetica è la descrizione di un fenomeno luminoso rarissimo, di cui i personaggi del romanzo sono spettatori, il cosiddetto 'Arco di Parry'. Improvvisamente la tempesta si placa, il mare ridiviene calmo e una strana luminescenza si diffonde all'orizzonte.

"Quasi impercettibilmente, la luce cominciò a cambiare. Le fiamme luminose dell'Aurora australe, che abbracciavano l'intero emisfero, si ritirarono a poco a poco verso la loro matrice di ghiaccio. L'intero lobo superiore del cielo divenne tutto una grande estensione di luce, che si espandeva in un arco immenso disposto non da nord a sud come l'Aurora australe, ma da est a ovest. Quel fregio gigantesco era d'un bianco pallido, ma sullo  sfondo pareva volesse assumere una colorazione. Era qualcosa di cui mai avrei osato sperare di essere spettatore: il rarissimo Arco di Parry. Come la   celebrazione gloriosa della nostra liberazione, della nostra salvezza, se pure di liberazione e salvezza si poteva parlare.

"Dissi ad Helen che cos'era ed ella si drizzò a sedere. Il bianco pallido dell'Arco di Parry venne a poco a poco penetrato e adornato di tante luci rosse, scarlatte, verdi, viola, azzurre, poi l'arco stesso divenne doppio, dispiegando una pirotecnica di colori da togliere il fiato, e si distese attraverso tutto il cielo, allungandosi in un'ellisse che pareva congiungere il Mare di Weddell all'Australia.

"- Dio mio! -, esclamò Upton, dalla prua.

"Il chiarore proveniente dall'Arco di Parry aveva una luminosità sufficiente a rivelare a perdita d'occhio uno spettacolo grandioso e pauroso. Tutto l'orizzonte, dalla parte di sopravvento, era una massa gigantesca di iceberg, alti dai trecento ai cinquecento metri. Dietro di essi s'innalzava a un'altezza ancora maggiore, superiore a quella delle rupi della stessa grande Barriera di Ross, una parete bianca. Ci trovavamo in una baia, larga una cinquantina di miglia, circondata dai ghiacci. A circa cinque miglia a poppa, verso dritta, l'estremità nord-occidentale del continente galleggiante, perché quasi proprio d'un continente si poteva parlare, sospingeva dentro l'Oceano australe uno sperone massiccio. In quella luminosità incerta, era impossibile dire dove cominciasse e dove finisse, e inoltre verso sinistra pareva s'innalzasse un banco di fitta nebbia."(4)

Una corrente marina favorevole, l'elusivo Piede d'Albartro, porta l'imbarcazione dentro il fiordo dell'isola Thompson.. Qui i protagonisti vedono lo spettacolo fantastico di un cimitero di navi (simile a quello realmente scoperto da Shackleton negli Stretti di Re Haakon, nella Georgia Australe, nel 1916) e, sbarcati, verificano la presenza del cesio, oggetto delle brame maniacali di Upton. Ma non c'è tempo da perdere: il Thorshammer, ormai, è in arrivo; e il folle avventuriero decide di accoglierlo a cannonate, poiché sull'isola è in postazione, e perfettamente efficiente, un cannone piazzato a suo tempo dal comandante della Meteor. Così, quando l'indomani il ciacciatorpediniere compare all'ingresso del fiordo, il tiro micidiale del cannone, manovrato da Upton e Walter, lo mette rapidamente a mal partito. A quel punto Bruce riesce a salire a bordo con Sailhardy ed Helen e, forte della sua esperienza bellica, punta un pezzo d'artiglieria contro il ghiacciaio che, rovinando a valle, travolge Upton, Walter e Pirow. Il romanzo si conclude con la decisione di Bruce di non dir nulla all'equipaggio norvegese riguardo al cesio, il rarissimo minerale che già tanti drammi ha provocato e che potrebbe scatenare chissà quali conflitti internazionali.

Giunto alla conclusione, il lettore non può fare a meno di chiedersi se l'isola Thompson - la vera protagonista del romanzo - esista veramente o se sia solo una finzione letteraria, oppure una di quelle isole-fantasma di cui sono piene le antiche cronache della navigazione a vela: le Auroras, le isole Pepys, l'isola Saxemberg, Nimrod, Emerald, Dougherty. (5) Ebbene, Geoffrey Jenkins è convinto che l'isola Thompson esista davvero - anche se, ovviamente, i depositi di cesio sono solo un'invenzione per dare mordente alla storia. Infatti, nell'Avvertenza posta in apertura del libro, egli scrive: "L'isola Thompson esiste. La sua posizione, tuttavia, nelle acque dell'Antartide sferzate dalle tempeste, a circa milleseicento miglia a sud della punta più meridionale del continente africano, costituisce uno dei grandi misteri del mare.

"L'isola fu scoperta dal capitano George Norris, comandante del battello britannico Sprightly adibito alla caccia alle foche, il 13 dicembre 1825. Sessant'anni dopo l'isola venne nuovamente avvistata da un capitano americano, Joseph J. Fuller. Dal tempo della sua scoperta a opera di Norris, parecchi famosi marinai e spedizioni equipaggiate di tutto punto sono andati alla ricerca di quell'isola, che però, se si eccettua l'avvistamento fortunoso del capitano Fuller, non venne più in seguito localizzata.

"Il capitano Norris, non soltanto disegnò una carta dell'isola Norris, ma ne tratteggiò una decina di schizzi da diverse angolazioni. Ho avuto modo di esaminare quella mappa e quegli schizzi e anche il testo della relazione verbale fatta da Fuller ai suoi tempi all'American Franklin Institute. Pretoria, 1962." (6)

 

 

NOTE

 

1)        JENKINS, Geoffrey, L'U-boot scomparso, Milano, Longanesi & C., 1967, pp. 5-6.

2)        JENKINS, Geoffrey, Mare, vento, ghiacci, Milano, Longanesi & C. (traduzione di Luciano Savoia), 1971, pp. 214-215.

3)        Ibidem, pp. 281-282.

4)        Ibidem, pp. 291-292.

5)        Cfr. LAMENDOLA, Francesco, Il mistero delle Isole Auroras, su Il Polo, vol. 3 del 2004, pp. 25-39; Id., Terra Australis Incognita, vol. 3 del 1989, pp. 51-58.

6)        JENKINS, Geoffrey, Mare, vento, ghiacci, cit., p. 1.