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L’ultima lezione di Federico Caffé

di Carlo Gambescia - 21/12/2007

 

Qualche giorno fa, in una Roma in apnea da consumi natalizi, ho “pescato” su una bancarella, al modico prezzo di 2 euro, l’affabulante romanzo-inchiesta di Ermanno Rea sull’economista Federico Caffé, e non solo, come comunemente si ritiene, sulla sua misteriosa scomparsa avvenuta il 15 aprile del 1987.
Avevo visto nel 2002 film di Fabio Rosi, tratto dal libro e con un inteschiato Roberto Herlitzka nel ruolo di Caffé. E, avendo da sempre apprezzato Caffé come economista capacissimo e uomo integerrimo, mi era rimasto il desiderio di leggere il testo di Rea. Uscito nel 1992 per i tipi di Einaudi, ma forse presto esaurito, e quel che peggio spesso introvabile, anche nelle biblioteche… Perché, come avevo potuto constatare di persona già una decina di anni fa, misteriosamente assente dai cataloghi, almeno qui a Roma. Un libro, insomma, scomparso in circostanze altrettanto misteriose. Anche dalla valanga di titoli Einaudi, finiti negli ultimi anni, a più riprese, sugli scaffali delle librerie remainders. E che invece meriterebbe di essere ristampato, e con tutti gli onori del caso.
L' ho divorato in due ore. Ma non voglio farne qui la recensione. Quel che mi ha affascinato, confermando il bel giudizio che mi ero fatto di Caffé, è la sua preziosa visione, profondamente umana, dell’economia. Dove allo “Stato del Benessere” e alla politica economica sono assegnati i ruoli di liberare l’uomo dal bisogno, dall’ignoranza e dalla povertà. Ma, attenzione, nella democrazia e nel rispetto delle libertà individuali. Un equilibrio non facile da conseguire, ma secondo Caffé irrinunciabile.
Si dirà: paroloni. Oppure con Milton Friedman, che nessun pasto può essere gratis... In realtà, la “solitudine” del “riformista” Caffé, quell’emarginazione di cui si è tanto parlato, non tanto accademica quanto politica e intellettuale, era come “imposta” da queste sue posizioni. Già all’epoca poco gradite sia alla sinistra rivoluzionaria che alla destra conservatrice e neoliberista. E totalmente ignorate dal paludoso centrismo democristiano.
Il che spiega quanto il suo “riformismo” autentico, perché legato al ruolo “politico” dello Stato, nei settori dei lavori pubblici, del credito sociale, del risparmio, dell’istruzione, della salute, sia lontano da quello oggi vantato dai professori “riformisti” . Ma in realtà, rigidamente neoliberisti.
Nella famosa “ultima lezione”, nel giugno del 1984, prima del congedo universitario per ragioni di età, Caffé indagò con l’abituale passione il pensiero di Francesco Ferrara, padre ottocentesco del liberismo italiano. Quello poi continuato dai Pareto, dai Pantaleoni, dagli Einaudi, e in forma decisamente più volgare dai professori “riformisti” di oggi.
Bene, Caffé si interrogò criticamente sull’erronea pretesa di voler riproporre a tutti i costi un liberismo assoluto, ottocentesco, nella società italiana degli anni Ottanta del Novecento. Dove, pur tra contraddizioni funzionali e organizzative, si era comunque acquisita una qualche pratica dei diritti sociali dei cittadini. Di tutti i cittadini, soprattutto, i più poveri.
Di qui il suo rifiuto di sostituire la carità ai diritti, come invece pretendeva e pretende certo neoliberismo, solo per “ripulirsi" la coscienza sporca… Ma anche, a suo avviso, la necessità di difendere il ruolo politico dello Stato. Soprattutto in un’ Italia ancora priva, o non sufficientemente dotata di quelle risorse civiche, indispensabili alla costruzione di un’economia del benessere. Che non poteva non fondarsi sulla crescente soddisfazione dei bisogni pubblici rispetto a quelli privati, spesso vissuti, e non soltanto a Natale, come bisogni consumistici da individui ridotti a molecole economiche…
Di conseguenza l’anziano professore riteneva che in Italia l’applicazione di politiche neoliberiste avrebbe fatto soltanto il gioco dei forti penalizzando i deboli. E distrutto quel poco di Stato Sociale e di economia pubblica, così faticosamente costruito nel secondo dopoguerra.
Come poi è in parte accaduto e sta ancora accadendo. E per giunta con certa sinistra “riformista” al governo…
Caffé lo aveva previsto, e forse sapendo di non poter reggere il colpo, sparì volontariamente in una notte di aprile del 1987.