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Buon 2008 dai Balcani

di Ennio Remondino - 21/12/2007





 

Belgrado non è certo una bella città, ma in genere piace. Piace per la sua gente, per la sua vita intensa, per l'ironia che cogli ovunque e nei comportamenti ripetuti d'ogni giorno. Dev'essere l'eterno oscillare fra tragedia e farsa che segna la sua storia. Belgrado piace anche per la bellezza delle sue donne. Belgrado, alla fin fine è come una di quelle donne, città dal fascino sottile che inconsapevolmente t'innamora.

Belgrado oggi è cuore e testa di un popolo arrabbiato. Molto arrabbiato. Quasi la reazione di un'amante solitamente tollerante, che d'improvviso decide di aver sopportato l'ultimo tradimento. L'occasione si chiama Kosovo, ma ad offendere realmente, più che la circostanza, è il modo. Quasi esistesse, nei confronti della Serbia, una sorta di volontà punitiva. Da parte degli Stati Uniti, certamente, e più ancora dell'Inghilterra. Ma il vero e proprio tradimento, dice il cuore di Belgrado, viene dall'Europa. Non dalla paranoica macchina burocratica dell'Unione, ma da quei pezzi d'Europa nella cui cultura ogni serbo trova una parte della sua identità.

Qualsiasi vecchio frequentatore di Belgrado non può evitare il rito di una cena al “Club degli scrittori”, nella cantina fumosa di Budo, dove l'anima della vecchia Jugoslavia di Tito te la trovi accanto, inamidata assieme a tovaglie e camerieri. Budo pensa ai soldi, Miki, il figlio, a servire e conversare. Vecchi amici con cui hai accompagnato, a battute, la piazza democratica contro Milošević, le bombe della Nato, la caduta del vecchio despota, la traballante democrazia che cammina su gambe di uomini politici esili o d'avventura. L'altro giorno, nei confronti del vecchio e ben conosciuto “italijanski novinari”, del giornalista italiano amico da sempre, ho colto ironia e astio, moderati soltanto dall'affetto personale. Amarezza per il tradimento dell'Italia, non per il mio.

Budo e Miki, laici di testa e di tasca, sapientemente opportunisti, anti-guai e filo-soldi da una vita, li ho visti per la prima volta davvero arrabbiati. Il Kosovo come terra delle origini serbe, come ripete costantemente la stampa non soltanto nazionalista, ma soprattutto, il Kosovo come beffa punitiva anti serba di una parte del mondo. Vero o non vero che sia quanto sentono i serbi, l'importante, anche per il futuro internazionale di questa parte strategica del mondo, è il semplice fatto che questo sentono. Come a dire, per le cancellerie mondiali particolarmente stupide, che la politica internazionale di respiro si fa con i popoli e non con i governi. I governi li puoi costringere, isolare, comprare o ricattare, mentre i popoli, al voto, possono reagire non soltanto con testa o tasca, ma a volte anche con la pancia.

E' questo che rischia di accadere, tra un mese, qui a Belgrado, quando il vivace passeggio di Kneza Mihaila e le periferie arrabbiate di Novi Beograd, saranno chiamati a votare per il presidente della Serbia. Concorrenti formali un mucchio, in gara per il podio soltanto due: il presidente uscente Boris Tadić, partito democratico, e il leader dell'attuale partito maggioritario e nazionalista Toma Nikolić. Provo a tradurre in italiano. Tadić come un Veltroni serbo (anche se assomiglia fisicamente a Casini) e Nikolić come un Berlusconi populista e anti europeo, ma iper nazionalista. La Serbia della nuova democrazia e la Serbia orfana del suo discusso passato. A decidere, anche in Serbia, saranno al secondo turno di voto, il 3 febbraio, i partiti minori: destra moderata, quasi destra, quasi centro ecc.. Qui, nessuna Cosa Rossa credibile in pista.

Ed eccoci al terzo protagonista della scena politica serba: l'attuale capo del governo Vojislav Koštunica, che oggi all'Onu ha strepitato contro lo scippo illegittimo del Kosovo. Koštunica, in rotta anche personale col presidente Tadić. Koštunica insegue i consensi ultra nazionalisti di Nikolić e sulla questione Kosovo promette tempesta. Sostanzialmente ricatta Tadić con la minaccia di non sostenerlo al secondo turno presidenziale, scegliendo col non voto dei suoi seguaci di restituire agli orfani di  Milošević la rappresentanza massima della Serbia. Scenario da apocalisse per tutti i Balcani, improbabile ma non impossibile in questa carambola kosovara dove le boccette in campo sono troppe, tutte in collisione tra loro.

Che si appresta a fare il mondo nell'imminenza di scenari comunque inquietanti? Poco o nulla, a quanto pare, salvo il magheggio al Palazzo di Vetro di New York dove Stati Uniti ed Unione Europea provano a raccontarci che la risoluzione 1244 (quella del dopo bombardamenti Nato) consente di togliere il Kosovo alla sovranità serba per farne uno staterello monoetnico albanese sotto protettorato internazionale. La Russia insiste a ricordare che quella risoluzione Onu garantisce alla Serbia la sovranità sul Kosovo ed il diritto internazionale impone la tutela della sua integrità territoriale. Polemiche di domani e reazioni che potrebbero arrivare a sorprendere.

Dovendo personalmente preoccuparmi della logistica giornalistica Rai nel prossimo caos balcanico, ho provato a tracciare un percorso di appuntamenti, utili anche per capire. Due sole date certe: 20 gennaio, primo turno elezioni presidenziali serbe. Primo Nikolić, insegue Tadić. 3 febbraio, secondo turno dove, abbiamo visto, tutto potrebbe accadere. In mezzo, il 28 gennaio, il Consiglio dei ministri UE dà il via alla missione europea in Kosovo e riconosce alla Serbia lo status di Candidato all'accesso. Un aiuto elettorale a Tadić. Contromossa di Kostunica: con i radicali fa passare in Parlamento una risoluzione anti adesione europea e Nato. Insediamento del nuovo Presidente serbo, chi esso sia, tra il 10 e il 15 febbraio.

Quello stesso 10 o 15 febbraio a Pristina, il parlamento kosovaro dichiarerà la sua indipendenza. Sempre quel giorno, la municipalità serba di Kosovska Mitrovica non riconoscerà il nuovo Stato e, forte della vecchia risoluzione Onu, si dichiarerà parte della Serbia. Dalle altre enclavi serbe migrazione di disperati verso la nuova frontiera lungo il fiume Ibar. Rischio di tensioni e di violenze: enorme. La Nato sul campo verificherà l'efficacia degli ordini ricevuti. Gli stati dell'Unione europea, di fronte all'auto proclamazione d'indipendenza, decideranno sul riconoscimento in ordine sparso. L'Italia, forse costretta ad un dibattito parlamentare preventivo, sul Kosovo rischierà il suo governo. L'Unione europea, che ha dato il via alla sua missione di vigilanza e di governo in Kosovo, sarà ancora alle prese con l'approntamento dei 2 mila uomini che non potranno arrivare sul campo prima di maggio. Auguri di buon 2008 dai Balcani.