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Conferenza di Bali: considerazioni su presente e futuro

di Manuel Zanarini - 21/12/2007

 

 

Dal 3 al 14 Dicembre scorsi, a Bali, si è tenuta la tredicesima Conferenza Mondiale sul riscaldamento climatico. I rappresentanti di 190 nazioni si sono riuniti per cercare di disegnare una road map, per affrontare la crisi climatica che sta colpendo la Terra.

Pochi giorni prima due dati avevano allarmato ulteriormente l’opinione pubblica. Il primo è uno studio della World Metereological Organization, il quale dimostra che il decennio 1998-2007 è stato quello più caldo mai registrato, con scioglimenti di ghiacciai, inondazioni, siccità, ecc. record.

Il secondo un intervento del IPCC, il planel intergovernativo dell’ONU, secondo cui tra il 1970 ed il 2004 le emissioni di CO2 sono aumentate del 70% e che se non verranno introdotte politiche capace di fermarle, da oggi al 2020, non sarà più possibile governare gli effetti del disastro climatico.

In vista del meeting e durante i lavori, grandi profusioni di intenti si erano registrate.

La Banca Mondiale ha presentato uno studio in cui si suggerisce l’utilizzo di incentivi per convincere i paesi restii ad utilizzare politiche ecologiche; il presidente dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha più volte ricordato la necessità di adottare politiche globali che servano a tutelare l’ambiente tenendo conto delle diverse caratteristiche delle varie realtà sociali ed economiche; il nuovo Governo australiano accettava il Trattato di Kyoto sulla riduzione di emissione della CO2; associazioni ambientaliste di tutte il Mondo invitavano i vari paesi a non svendere i beni naturali della Terra per i profitti di poche multinazionali; la folta rappresentativa cinese dichiarava che il suo scopo è quello di perseguire una “crescita armoniosa” che coniughi il progresso economico con la tutela ambientale; i paesi in via di sviluppo, India e Brasile in testa, dichiaravano che erano pronti a far la loro parte pur non essendo le prime cause d’inquinamento ed in cambio di organismi più trasparenti e di facile gestione che garantiscano fondi per aiutare i paesi in via di sviluppo; l’ Earth Fund  annunciava l’istituzione di un fondo di 200 milioni di dollari; il Commissario Europeo all’ambiente, Stavros Dimas, che annunciava una situazione rosea della UE che annunciava il quasi raggiungimento degli obiettivi fissati a Kyoto con addirittura un aumento dell’economia; ecc.

Le prime note negative non erano tardate ad arrivare, però. Infatti il capo-delegazione USA, Harlan Watson, annunciava che l’amministrazione Bush, non avrebbe accettato un documento finale in cui venivano fissati obiettivi precisi, ma solo una dichiarazione d’intenti, visto che il cambiamento climatico non era frutto di ricerche esaustive…ogni commento appare superfluo!

 

Ben diverso l’atteggiamento della UE, che proponeva un progetto articolato su 8 punti: 1) contributi veloci e trasparenti per i paesi a rapida espansione economica( Cina e India) per far loro evitare pratiche particolarmente inquinanti; 2) potenziamento a livello globale del mercato del carbonio; 3) potenziamento e condivisione della ricerca per promuovere tecnologie eco-compatibli ( secondo l’ONU grazie a quelle già esistenti le emissioni sarebbero riducibili del 50%); 4) favorire i paesi poveri all’”adattamento” ai cambiamenti climatici; 5) inserimento dell’inquinamento da trasporto aereo e marino nelle quote di Kyoto; 6) abbattimento delle quote di emissioni per la deforestazione, causa del 20% del totale globale; 7) definizione di un accordo globale vincolante; 8) strumenti globali come il Fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili (Geeref).

Durante le trattative, sembrava essere emerso l’accordo su “impegni differenziati”, ciò avrebbe significato che ogni paese si sarebbe impegnato a lavorare contro il cambiamento climatico, ma secondo esigenze specifiche non secondo parametri fissi. Sicuramente una soluzione non eccelsa, ma che comunque avrebbe impegnato tutti quanti.

 

Nonostante tutti i buoni auspici succitati, le trattative si sono bloccate e sostanzialmente hanno prodotto un accordo inefficace, come si sta rivelando quello di Kyoto.

Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia e Russia hanno rifiutato di firmare un accordo che indicasse misure vincolanti che prevedessero tagli alle emissioni di gas serra tra il 25 ed il 40%, accettandone solo uno dove si parla di generica riduzione significativa delle emissioni.

Come si può notare, anche stavolta si è avuto un nulla di fatto sulle politiche ambientali, ma forse non tutto è da buttare.

L’Europa, almeno stavolta, si è presentata unita e con un piano politico forte e innovativo; i paesi in via di sviluppo, con in testa Cina, India, Brasile e Sudafrica, hanno mostrato buona volontà verso una politica globale volta a combattere il mutamento climatico; gli USA e i loro alleati si stanno isolando anche su questo settore, anche se va registrata la posizione della Russia sul fronte “inquinatore”.

In conclusione sono due le considerazioni che si possono trarre.

 La prima ci dice che solo accettando di cambiare la logica del rapporto uomo-natura (si vede l’articolo su Gaia) e pensando ad un sistema diverso dallo sfruttamento consumista, si potrà avere un cambio di rotta nelle politiche ambientali.

La seconda è che l’Europa dovrà spingere su questo campo, per spostare gli USA verso un sempre maggiore discredito globale ed isolamento politico, al fine di spezzare le catene imperialiste a stelle e strisce e far nascere un mondo “multipolare”, soprattutto vista la vicinanza delle nuove potenze economiche globali, India e Cina, sulle politiche di “crescita sostenibile”.