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Filosofia: elogio della Fantascienza sulle orme di Ernest Bloch

di Luca Vona - 22/12/2007

 

Uno degli elementi più originali della filosofia di Ernst Bloch (Ludwigshafen, 8 luglio 1885 – Tubinga, 4 agosto 1977) è la concezione asincronica del tempo, per cui l’esistenza è concepita come un multiversum costituito da “mondi” che scorrono a velocità differenti.
Ogni attimo del nostro vissuto è per Bloch “oscuro” a causa dell’eccessiva prossimità tra noi e il vissuto stesso: nel presente assoluto dell’istante c’è una completa fusione tra Io e Mondo, tra Soggetto e Oggetto.
Ciò è di ostacolo a una visione oggettiva di ciò che stiamo vivendo. Ma nell’attimo vissuto, dietro l’apparente banalità del quotidiano, è possibile trovare “semi” utopici e sovversivi; questi si manifestano nell’arte e nei sogni ad occhi aperti: cinema, racconti di fantascienza, canzonette, e ogni altra manifestazione della coscienza collettiva, o meglio di quello che Bloch definisce, in contrapposizione alla psicoanalisi freudiana, il non-ancora-conscio.
Entrando in contrasto con il marxismo ortodosso Bloch addita nei fenomeni culturali e pseudo-culturali di massa alcuni elementi positivi, ovvero il presentarsi di questi prodotti come oggettivazioni della coscienza utopica, come anelito al superamento del presente.
Bloch si distanzia ancor più dall’estetica marxista - in particolare da quella della Scuola di Francoforte - quando anziché considerare l’arte e i suoi “sottoprodotti” come semplice rispecchiamento della realtà ad essi contemporanea li considera capaci di anticipare il mondo a venire.
La fantascienza è certo in grado di dire molto sul presente, sulle nostre ansie, le nostre paure, ma è anche dotata di un potere mantico e di una valenza etica, perché delineando scenari affascinanti o spaventosi ci spinge ad agire per renderli prossimi o per esorcizzarli.
Nella letteratura di fantascienza si manifesta l’Io trasfigurato ma ancora latente, l’Io trasmutatosi in Noi della “nuova creazione”, quello che Bloch definisce - in contrapposizione all’inconscio freudiano – il non-ancora-conscio, capace di sedurre l’uomo e attrarlo verso la patria futura.
Mettendosi alla ricerca dei sogni ad occhi aperti dell’umanità, nell’opera Spirito dell’Utopia (I ed. 1918; II ed. 1923) e ancor più in Principio Speranza (1953-1959), il filosofo tedesco delinea una vera e propria fenomenologia della coscienza utopica che richiama e al tempo stesso capovolge la fenomenologia hegeliana.
Se per Hegel la coscienza si manifesta all’uomo attraverso tre momenti storici, scanditi dal prevalere rispettivamente dell’arte, della religione e infine della filosofia, Bloch individua nel Kunstwollen, nella volontà d’arte, o meglio, nella volontà di maschera, caratteristica dell’arte simbolica e fantastica, la manifestazione suprema della coscienza, dell’utopia, del destino ultimo dell’uomo.
La fantascienza appare dunque blochianamente come una forma di negazione del presente, perché proietta l’uomo in un al-di-là temporale. E’ un omerico “ritorno a casa”, al capolinea della storia, dove il senso delle cose è finalmente compiuto e l’utopia diviene realtà concreta.
La science fiction porta con sé un carattere messianico-profetico; è come lievito capace di far fermentare nuove idee per porre in atto l’utopia. Bloch supera la concezione dell’arte come rifugio (pessimismo romatico) o come giustificazione (estetismo decadente) dell’esistenza, la poetica del sogno e del Bello fine a se stesso.
Non è un caso, dunque, che proprio nella definizione di non-ancora-conscio sia possibile rintracciare uno degli elementi di raccordo più affascinanti tra pensiero blochiano e fantascienza. La coscienza anticipante del filosofo tedesco appare straordinariamente vicina – per esempio – alla precognizione, elemento ricorrente in buona parte della produzione dello scrittore americano Philip K. Dick.
Noto soprattutto per il romanzo Do the Androids Dream of Electric Sheeps? – da cui è stato tratto il lungometraggio Blade Runner di Ridley Scott – Dick è autore di un corpus piuttosto complesso e controverso, in cui alla qualità talvolta discontinua dei testi si contrappone un’organicità visionaria di temi, presenze, paesaggi, situazioni.
La precognizione - facoltà che ritorna in molti personaggi dickiani e nella quasi totalità dei romanzi e dei racconti - non indica tanto la capacità di prevedere il futuro, quanto una possibilità “realmente” costruttiva (o distruttiva, a seconda dei punti di vista). Non solo cassandre che vedono l’oltre, i personaggi dotati di questo dono, attraversano il tempo, ne fanno intimamente parte, vivono ogni istante come assoluto, oscillando senza soluzione di continuità tra sogno, allucinazione e un tempo presente che si compone – di volta in volta – come un mosaico di tanti futuri possibili.
Il coesistere di mondi paralleli che spesso si sovrappongono senza tuttavia essere simultanei, altra costante della narrativa dickiana, coincide così in modo suggestivo con i termini di asincronia e di multiversum che caratterizzano la concezione del tempo e dell’esistenza nel pensiero di Bloch.
Un esempio di questo interessante insieme di corrispondenze si può trovare in uno dei personaggi più intensi usciti dalla penna di Dick, il piccolo Manfred Steiner, protagonista del poco noto Martian Time-Slip (tradotto in italiano con un non troppo felice Noi Marziani). Manfred, bambino autistico che ha la possibilità di attraversare il tempo con lo sguardo, vive – di fatto – in una delirante dimensione accelerata: della realtà vede l’aspetto più atroce, quello del disfacimento, della perdita dolorosa. Epifania di lancinante concretezza, l’immagine davanti agli occhi del bambino è contemporaneamente futura ed immanente, descritta da Dick con clinica esattezza nei dettagli.
Man mano che la narrazione prosegue, gli occhi di Manfred acquistano un rilievo particolare. Separati dal supporto fisico al quale appartengono, traducono il modo in cui il bambino percepisce i vari “strati” incoerenti della realtà: segmenti visivi non riconducibili ad un unicum, privi di una sequenza temporale, pochi elementi messi a fuoco con straordinario nitore, ma separati da un qualunque contesto. C’è, dunque, una visione parcellizzata, in cui ogni frammento è una manifestazione nitida ed accecante della realtà totale: in un certo senso è proprio questa densità di significati che s’annida in ogni cosa, evento minimo che ne deforma la percezione. Ed è qualcosa di molto simile all’oscurità di ogni attimo presente di cui parla Bloch, causata dall’eccessiva, ineluttabile, insopportabile vicinanza tra noi, il mondo e il nostro vissuto.