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Subito una commissione d'inchiesta internazionale sull'11 settembre

di Giulietto Chiesa - 27/12/2007

 

La Commissione ufficiale del Congresso Usa sull'11 settembre è stata “consapevolmente impedita” nella sua ricerca della verità. Da chi? Dalla Central Intelligence Agency. Chi lo afferma? Sono tutte e tre le persone che coprirono le più alte responsabilità in quella commissione: i suoi due presidenti, Lee Hamilton e Thomas Kean, e l'ex direttore esecutivo della commissione Philip Zelikow.

La conclusione, contenuta in un memorandum di sette pagine, presentato dallo stesso Zelikow, è che “una ulteriore investigazione è necessaria” per verificare se vi siano state violazioni di leggi.

Cioè risulta clamorosamente a sei anni di distanza che l'inchiesta ufficiale non ha potuto andare fino in fondo.

Hamilton, un ex deputato democratico del Congresso, eletto nello stato dell'Indiana, accusa in modo esplicito la Cia di avere “chiaramente ostacolato” l'indagine.

Apparentemente si tratta della conseguenza collaterale di un altro scandalo, legato alle rivelazioni secondo cui la Cia avrebbe distrutto, nel 2005, un certo numero di videotapes degli interrogatori di detenuti accusati di essere membri di Al Qaeda. Pare volessero nascondere le prove del ricorso alla tortura. Segreto di Pulcinella, e comunque non si spiegherebbe una tale premura degli aguzzini, visto che agivano sotto esplicita autorizzazione presidenziale.

Ma lo scandalo si è allargato a macchia d'olio in ben altra direzione. Infatti gli eventi qui denunciati (il New York Times li ha ricevuti in lettura il 13 dicembre scorso e li pubblica adesso dopo le dovute verifiche) si riferiscono agli anni precedenti, 2003-2004, mentre la Commissione stava ancora lavorando, fino al giugno 2004.

La Cia si difende, attraverso un suo portavoce, dicendo che allora alla commissione furono date tutte le informazioni che stava chiedendo. Ma Hamilton afferma di avere detto a George Tenet, allora direttore della Cia che l'agenzia avrebbe dovuto consegnare tutti i documenti in suo possesso, anche quelli non richiesti.

Resta il fatto, inspiegabile a prima vista, che informazioni cruciali sarebbero state sottratte all'esame della commissione. E ciò, se si rivelasse vero, aprirebbe una serie inquietante di altre domande. Una delle quali è questa: cosa c'era da nascondere?

Ma che la faccenda fosse fin dall'inizio assai complicata fu ben chiaro agli stessi membri della commissione. Il rapporto finale, pubblicato nel 2005, contiene infatti a pag. 146 un riquadro ben evidenziato in cui i commissari sottolineano le circostanze in cui fecero ricorso ai contributi investigativi provenienti dalla Cia. “I capitoli 5 e 7 del rapporto – vi si legge – dipendono in modo molto rilevante dalle informazioni ottenute dai membri di Al Qaeda fatti prigionieri. Verificare la validità delle dichiarazioni di questi testimoni (…) è problematico. Il nostro accesso ad essi è stato limitato all'esame dei rapporti informativi basati sulle comunicazioni che arrivavano dai luoghi dove i veri interrogatori avevano luogo”. Nello stesso rapporto emerge che i membri della commissione vennero a conoscenza soltanto dei nomi di dieci detenuti (ve n'erano dunque altri di cui nemmeno la commissione seppe nulla) e che la Cia non gradì ricevere dai commissari domande specifiche da formulare negli interrogatori per loro conto. Con l'argomentazione che quelle domande, provenienti dall'esterno, avrebbero potuto compromettere l'efficacia degli interrogatori. Nella polemica in corso, e nello stesso memorandum di Zelikow, pare si faccia cenno soltanto a due di questi prigionieri, precisamente e Abu Zubaidah e Abd al Rahim al-Nashiri, e anche questa circostanza appare quantomeno strana, perché la commissione fece ampio riferimento a due altri prigionieri, il famoso Khaled Sheikh Mohammed (KSM) e bin al- Shibh, indicati come i veri ideatori dell'intera operazione 11 settembre.

Furono torturati? Non c'è alcun dubbio. Quanto valgono le loro confessioni, estorte sotto tortura? La commissione aveva qualche dubbio anche allora e per questo mise le mani avanti: “Noi proponemmo domande da usare negli interrogatori, ma non avevamo alcun controllo sul fatto che esse fossero fatte, quando e come”. Eppure decisero di usare ciò che la Cia riferiva, senza poter controllare nulla. E a tutt'oggi, mentre la polemica infuria negli Stati Uniti, sulla tortura e sui risultati della lotta contro il terrorismo internazionale, di KSM, di bin Al-Shibh e degli altri “rei confessi” ma non processati e nemmeno formalmente incriminati, non si sa nulla. Nemmeno se siano vivi o morti. Le loro confessioni sono state pubblicate in tutto il mondo, ma nessuno li ha mai più visti da quel lontano 2002 in cui furono arrestati in Pakistan. Logico che quelli che hanno firmato il rapporto ufficiale della Commissione d'inchiesta si preoccupino adesso di mettere la più grande distanza tra loro e la Cia. Ma anche a loro si dovrebbe chiedere di spiegare perché furono così fiduciosi delle informazioni che ricevettero. E gli alleati degli Stati Uniti non dovrebbero adesso chiedere anche loro un supplemento d'indagine? In fondo tutti siamo andati in guerra in Afghanistan sulla base di quelle informazioni. Se furono anche parzialmente false, allora molti giudizi dell'epoca potrebbero risultare altamente tendenziosi.