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La Cina sta comprando dollari su dollari: un'arma di ricatto più potente dell'atomica

di Giampiero Giacomello - 27/12/2007

Fonte: ilriformista


È come se Cartagine avesse acquistato il debito di Roma


Che le finanze di uno stato siano anche il cardine del suo apparato bellico è una verità ben conosciuta sin dall'antica Grecia (il nervus belli secondo i Romani). Il sistema finanziario internazionale contemporaneo ha reso questa semplice verità più complessa e, a tratti, quasi paradossale. Che cosa infatti avrebbero pensato i Romani se Cartagine si fosse appropriata, legalmente, di una buona parte del loro debito pubblico?
Questa è la singolare situazione in cui si trovano Cina e Stati Uniti attualmente. Al momento i due paesi cercano di coesistere pacificamente e, se possibile, cooperare. I motivi potenziali di scontro non mancano (lo status di Taiwan, la sicurezza del Giappone, la domanda di energia eccetera); allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno molto lavorato per far entrare la Cina nell'Organizzazione Mondiale del Commercio e buona parte della ricchezza cinese proviene dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Nessuno dei due paesi poi sembra attratto da politiche mercantilistiche, che imporrebbero un pesante condizionamento dell'economia sulla base delle esigenze di sicurezza nazionale.
La Cina è una potenza regionale in Asia e dal 2020, con un'economia più grande di quella Usa, potrebbe competere con gli americani sul piano globale. Ma se già ora i due dovessero scontarsi duramente, la Cina potrebbe usare l'arma delle sue enormi riserve in dollari per indebolire pericolosamente le finanza (e quindi le armi) degli Stati Uniti. Nel 1977, la Cina disponeva di 2,3 miliardi di dollari in riserve valutarie, che, nel giro di 15 anni, aveva decuplicato (20,6). Nella decade successiva, queste riserve erano a loro volta aumentate di oltre dieci volte (286,4 miliardi di dollari). Con una progressione che ha quasi dell'incredibile, la Cina, negli ultimi cinque anni, grazie ad una fortissima crescita economica, è riuscita a quintuplicare persino le riserve del 2002, arrivando alla cifra record di 1433,6 miliardi (Settembre 2007). Ben 260 miliardi di tali riserve sono in buoni del tesoro Usa. Dati questi che nessun governo, nemmeno quello americano, potrebbe mai permettersi di ignorare.
Secondo alcuni osservatori però, anche in caso di crisi grave, la Cina non potrebbe permettersi di utilizzare questa arma finanziaria per mettere a tappeto il gigante americano. Se così facesse, destabilizzerebbe sì l'economia Usa, ma, allo stesso tempo, metterebbe in serie difficoltà la sua stessa economia, e siccome la pace sociale in Cina è (per ora) garantita dalla continua crescita economica, le conseguenze per il celeste Impero potrebbero persino essere peggiori. Insomma, quella nelle mani dei leader cinesi è una sorta di "testata termonucleare finanziaria", che sarebbe quindi di scarso peso in circostanze diverse da Armaggeddon.
I cinesi, si sa, non sono affatto stupidi, anzi. Sono perfettamente consapevoli delle conseguenze di una simile azione. Preferiscono allora adottare tattiche di "guerriglia finanziaria" con l'obiettivo, nel lungo periodo, di indebolire il loro avversario. Tutto ciò non è nuovo: nel 1999 due colonnelli dell'esercito del popolo pubblicavano un testo (Guerra senza limiti ), nel quale si raccomandavano di non sfidare apertamente gli Stati Uniti, troppo forti militarmente per la Cina, quanto piuttosto di colpire furtivamente gli americani in settori strategici come le reti informatiche o l'economia appunto.
Lo strumento ideale, in quest'ultimo caso, sono i fondi sovrani. Molti governi con forti riserve di liquidità hanno istituito questi fondi allo scopo di investire il loro surplus finanziario. Il primo caso è stato quello del governo norvegese, il quale però rende noto regolarmente dove sono i suoi investimenti; lo stesso non si può dire dei fondi sovrani di paesi arabi o della Cina, i quali preferiscono nascondere tutto dietro una fitta cortina fumogena.
Il tentativo cinese di acquisire direttamente la compagnia petrolifera californiana Unocal due anni fa fallì a causa dell'aperta opposizione delle autorità americane. Lezione appresa. Il mondo della finanza offre una miriade di metodi legali per acquisire quote di società per azioni senza che poi si riesca effettivamente a risalire ai mandanti, specie se questi hanno un sacco di contante liquido in tasca. Il crimine organizzato docet. La Cina continuerà ad acquistare quote dell'economia americana, discretamente e in silenzio, ricordandosi che fu proprio Lenin a predire che, un giorno, sarebbero stati proprio i capitalisti a vendere la corda che sarebbe servita ad impiccarli.
L'autore è docente di Studi strategici all'università di Bologna