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Iraq: sofferenza infinita.

di Zaki Chehab - 27/12/2007


Le notizie che parlano di miglioramenti della situazione della sicurezza in Iraq purtroppo sono esagerate

Qualunque iracheno che avesse osato credere che nel suo Paese sconvolto stesse tornando la sicurezza ha visto andare in frantumi le sue illusioni quando, il 23 novembre, un'esplosione nel mercato degli animali di al-Ghazl, nel centro di Baghdad, ha ucciso 15 iracheni e ne ha feriti all'incirca altri 60.

Quattro membri di una cellula sciita sono stati arrestati dalle forze statunitensi e da quelle irachene, e hanno ammesso di avere compiuto l'attacco, collocando le bombe in alcune cassette perché si confondessero innocentemente con quelle dei commercianti che vendevano polli, piccioni, e pecore per uso domestico. Quando sono stati interrogati, hanno affermato di aver sperato che la gente del posto pensasse che al-Qaeda aveva preso di mira il mercato – come aveva fatto molte volte in passato – e si rivolgesse alle milizie sciite in cerca di protezione.

Ventiquattr'ore prima, a Karrada, un quartiere centrale di Baghdad controllato dagli sciiti, due miei colleghi iracheni, marito e moglie che lavorano per il giornale al-Hayat, erano sopravvissuti a un tentativo di assassinio mentre accompagnavano a scuola la figlia. Quel giorno, in un altro posto, un gruppo sconosciuto aveva lanciato più di 15 granate o missili verso la super protetta Green Zone che ospita l'enclave diplomatica e gli edifici governativi.

L'escalation degli scontri tra le forze guidate dagli Usa e le milizie sciite controllate da Muqtada al-Sadr minaccia la tregua di sei mesi annunciata da Sadr il 26 ottobre. Gli osservatori ritengono che il rapporto assi instabile fra i seguaci di Sadr e quelli del suo rivale sciita, Sayyid Abdul-Aziz al-Hakim, un altro alleato sostenuto dall'Iran, potrebbe portare ulteriore instabilità nella capitale. Secondo i sadristi, le forze Usa sono più vicine ad Hakim, leader del Consiglio Supremo per la rivoluzione islamica in Iraq. Le rivalità fra i membri del clan di Hakim e quelli del clan di Sadr risalgono a generazioni, e se mal gestite, potrebbero far degenerare ulteriormente la situazione della sicurezza.

Hakim di recente ha espresso interesse nel vedere il suo partito prendere la premiership del governo dal partito al Da'wa, guidato dal Primo Ministro Nuri al-Maliki, che si era assicurato la leadership dell'Iraq grazie ai voti dei sostenitori di Sadr.

Gli analisti utilizzano il ritorno di decine di migliaia di rifugiati iracheni come indicatore di stabilizzazione del Paese. La realtà, tuttavia, è che molti sono stati costretti a lasciare i Paesi che li ospitavano perché hanno finito i soldi, o perché i visti che gli permettevano di restare temporaneamente sono scaduti. Inoltre, organizzazioni internazionali come l'ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati hanno ammonito coloro che vivono in Siria e in Giordania e vorrebbero tornare a non lasciare i Paesi che li ospitano.

Armare le milizie sunnite

La sicurezza non è migliorata abbastanza da permettere un ritorno sicuro a quelle che una volta erano le loro case, è stato detto ai rifugiati. Ma la Siria, che sta soffrendo sotto il peso di oltre un milione e mezzo di iracheni da quando è scoppiata la guerra, nel 2003, si sta approfittando dei rifugiati – molti dei quali sono impiegati statali e vanno a Baghdad per riscuotere i loro stipendi governativi – rifiutando di concedergli il visto di re-ingresso. In Giordania, si stima che ci siano fra i 500.000 e i 700.000 rifugiati.

Secondo una indagine su oltre 100 famiglie condotta da una organizzazione non governativa irachena, la mancanza di denaro, assieme al costo elevato della vita e alla scadenza dei visti, sono ragioni comuni fornite per la loro decisione di tornare in Iraq.

Nel frattempo, il governo iracheno ha cercato di invogliare i suoi cittadini a tornare con l'offerta di un aiuto finanziario di 700-800 dollari, oltre al trasporto gratuito da Damasco a Baghdad, col risultato che in 46.000, a un ritmo medio di 1.500 al giorno, hanno attraversato in massa il confine siriano nelle ultime settimane.

Io ho parlato con iracheni di diverse confessioni, religioni, e appartenenze politiche, e le opinioni sul miglioramento della sicurezza sono contraddittorie. La leadership politica sunnita cerca di prendere le distanze dagli elementi affiliati ad al-Qaeda e di radunare le milizie sunnite per combattere al-Qaeda nelle loro zone. Tuttavia, i loro oppositori mettono in dubbio l'impatto di questa retorica sul terreno, in particolare dato che i sostenitori di al-Qaeda si spostano regolarmente da un quartiere all'altro, sfuggendo così all'arresto o alle sparatorie da parte delle forze guidate dagli Usa: perquisizioni e coprifuochi sono diventati le principali strategie utilizzate dalle forze statunitensi contro gli elementi sostenuti da al-Qaeda e l'Esercito del Mahdi sciita.

Nel frattempo, la leadership sunnita si sente ignorata dal governo guidato da Maliki, una coalizione sciita, e accusa il Primo Ministro iracheno di non dare spazio alle preoccupazioni e alle richieste dei sunniti. In passato, i leader sunniti ritenevano che la coalizione guidata dagli Usa fosse dalla parte degli sciiti, ma adesso parlano apertamente di una migliore intesa fra loro e gli americani, specialmente per quanto riguarda l'obiettivo di costringere al-Qaeda e i suoi sostenitori a fuggire dalla provincia di al Anbar. Questa è una regione, che occupa un terzo del territorio del Paese, che gli Usa avevano avuto particolari problemi a controllare. Solo pochi mesi fa, ciò si rifletteva in un alto numero di perdite statunitensi. Le cifre sono notevolmente calate dopo una visita di alto profilo da parte del presidente Bush in settembre a una base aerea della provincia, dove ha incontrato sunniti del posto, guidati dallo sceicco Abdul-Sattar Abu Risha, alla presenza di ufficiali statunitensi di alto grado.

I comandanti delle forze armate Usa hanno iniziato a lavorare con questi leader tribali, armando i loro uomini perché combattessero a fianco dei soldati statunitensi. La comunicazione fra le due parti è migliorata di molto, con le tribù che hanno chiesto l'aiuto degli Usa per affrontare al-Qaeda. I comandanti statunitensi che ho incontrato durante una visita a Falluja, nella provincia di al Anbar, hanno smentito categoricamente di stare finanziando e armando milizie sunnite, ma un leader della nuova Alleanza irachena (con gli americani) a Baghdad, che ha la sua base nel quartiere di Amariya, infestato dagli insorti, ha detto altrimenti. Mi ha raccontato che partecipa a riunioni con gli americani al massimo livello, e che ha già incontrato il Generale David Petraeus, comandante delle forze Usa in Iraq, per cercare di coordinare la lotta contro al-Qaeda a Baghdad e nelle cittadine dei dintorni.

Il leader della milizia sunnita irachena noto come Abu al-Abed ha sostenuto che il gruppo da lui guidato è composto da 600 uomini che ricevono in media 360 dollari al mese, oltre ad armi moderne dalle forze Usa, nonché supporto logistico e militare durante gli scontri con le forze di al-Qaeda.

Era chiaro che i comandanti Usa e le personalità di alto livello che lavorano con le squadre provinciali di ricostruzione nella provincia di al Anbar avevano molte speranze di convincere altri leader tribali sunniti a collaborare nel ricostruire le infrastrutture locali e combattere al-Qaeda sotto la leadership di Sahwat al-Iraq (la coalizione del "Risveglio iracheno"), nota in precedenza come Sahwat al-Anbar (la coalizione del "Risveglio di al Anbar"), che si è allargata anche a comprendere leader tribali sciiti nelle province limitrofe.

Questi comandanti, come i dipendenti pubblici ameriicani e britannici, parlano benissimo dei miglioramenti della sicurezza ottenuti a Falluja, una città di circa 300.000 abitanti che fino a poco tempo fa era un focolaio di al-Qaeda. Nella base militare polverosa nei pressi della città, mi hanno raccontato che adesso possono girare a piedi liberamente nel mercato principale per comprare cibo fresco. Ma alla mia richiesta di vedere di persona questi progressi all'inizio è stato risposto con il silenzio. Dopo un consultazione in una stanza a fianco, mi è stato detto di prepararmi per un giro a Falluja.

Giubbotti antiproiettile ed elmetti sono stati distribuiti prima che salissimo su un nuovo veicolo militare progettato per proteggere i passeggeri dalle bombe collocate sul ciglio della strada. Erano circa le quattro del pomeriggio quando il nostro convoglio, composto da quattro Bradley e da un carro armato, si è avvicinato all'ingresso della città, dove stavano controllando una lunga coda di auto civili.
Tutte le strade secondarie erano state bloccate da muri in cemento decorati con disegni e graffiti che denunciavano il terrorismo, e invitavano la popolazione a essere vigile, e a informare le autorità sugli elementi sospetti.

Zone off-limits

Dopo aver girato in macchina per circa 20 minuti, ho chiesto al comandante se potevamo fare una sosta al mercato. Volevo chiedere alla gente del posto del miglioramento della situazione della sicurezza nella provincia di al Anbar, e in particolare a Falluja. Ci hanno detto che la situazione non era adatta per avventurarsi fuori dal Bradley blindato.

Come potevamo dire al mondo esterno che la vita a Falluja era tornata normale quando le strade erano bloccate e c'erano checkpoint dappertutto, e se dovevamo indossare elmetti e giubbotti antiproiettile? Altri comandanti ammettono che i progressi della sicurezza nella vicina capitale provinciale, Ramadi, non sono maggiori di quelli di Falluja. Certamente, la coalizione ha fatto degli sforzi per invogliare la popolazione di al Anbar a partecipare alla ricostruzione della provincia. Secondo i funzionari statunitensi, negli ultimi sette mesi sono stati spesi oltre 7 milioni di dollari nella sola Falluja per creare quasi 14.000 posti di lavoro.

Nell'ultimo anno, esponenti di primo piano della coalizione hanno riconosciuto che il fatto di aver sciolto l'esercito a guida sunnita che era pieno di membri del partito Ba'ath ha portato a una disoccupazione e aun malcontento elevati. Rimasti senza lavoro, gli ex soldati avevano poca scelta se non quella di entrare nelle fila dei vari gruppi di insorti attivi nella provincia. Pensavano che questo avrebbe dato loro una voce nel futuro del loro Paese, dopo che l'alleanza dominata dagli sciiti era arrivata al potere attraverso le urne in due elezioni generali consecutive.

I media parlano molto della sicurezza a Baghdad, ma gli incidenti in altre parti del Paese come Mosul e Kirkuk per lo più non vengono riferiti. Quando volevo andare a Kirkuk, un alto esponente della sicurezza kurdo a Sulaimaniya mi ha consigliato di non andare a causa della situazione che può esplodere da un momento all'altro in città. La zona rimarrà instabile se il suo futuro non verrà deciso in un modo che abbia l'approvazione di tutte le sue minoranze e dei suoi abitanti: sunniti, sciiti, turcomanni, e kurdi.

Avevo incontrato Bacchar, un vecchio amico di una famiglia cristiana che vive a Kirkuk, sull'aereo da Amman a Irbil, nella parte del nord Iraq sotto controllo kurdo. Mi aveva detto di aver scelto di volare a Irbil per incontrare la sorella e il cognato, invece di rischiare andandoli a trovare nella loro città natale di Kirkuk. Mi aveva avvertito di non andare a Kirkuk, dato che in città attentati, omicidi, e assassinii sono diventati parte della vita quotidiana. Anche Mosul è diventata un focolaio delle attività di al-Qaeda, e una zona off limits per i giornalisti arabi e per quelli stranieri. Molti giornalisti iracheni locali sono stati uccisi, e altri si trovano ad affrontare minacce di morte.

Gli iracheni, i loro connazionali arabi, e gli altri sperano tutti in notizie di miglioramenti della sicurezza. Ma c'è ancora molta strada da fare. Le milizie sciite hanno sostituito gli insorti sunniti nel combattere la coalizione guidata dagli Usa. Nello stesso tempo, gli iracheni qualunque temono che sia impossibile mantenere la forte presenza militare – checkpoint e pattuglie ogni poche centinaia di metri – su cui si basa la fragile pace.

Secondo Barry Edwards, un portavoce delle forze Usa a Falluja, nella città è in corso una guerra non dichiarata che sarà vinta o dalla coalizione guidata dagli Usa o da al-Qaeda. Mi ha detto che loro [gli Usa NdT] sono stati coinvolti in due guerre precedenti nella città: una, agli inizi del 2004, che era stata vinta al-Qaeda, e un'altra, a fine 2004, persa da al-Qaeda. Questa terza guerra, diceva, era per conquistare i cuori e le menti della popolazione locale. I progressi erano lenti, ammetteva.

Oltre a venire armati e sostenuti dalle forze Usa che sono sul posto, i miliziani sunniti che si sono uniti alla lotta contro al-Qaeda in Iraq stanno ricevendo appoggio militare dalle forze irachene durante i loro scontri con i combattenti di al-Qaeda, e stanno portando una qualche parvenza di sicurezza nelle loro cittadine e nei loro villaggi.

Tuttavia, c'è preoccupazione fra molti sciiti, che hanno la sensazione di venire presi di mira in modo particolare quando incontrano i checkpoint o le pattuglie gestite dai combattenti sunniti che controllano le loro zone. Essi sostengono che alcuni di questi combattenti lavoravano con al-Qaeda prima di ribellarsi contro di essa poco più di sei mesi fa.

E' risaputo che se il governo di al-Maliki li accogliesse come parte delle forze di sicurezza, i combattenti sunniti sarebbero pronti ad accettare. Altri mi hanno raccontato delle loro paure che incorporare i miliziani sunniti (il cui numero supera i 50.000) come parte delle nuove misure di sicurezza possa portare a uno scontro fra milizie sunnite e sciite nel momento in cui gli Stati Uniti iniziassero a ritirare le loro forze dall'Iraq. Questo sarebbe particolarmente probabile se i sunniti dovessero continuare ad avere la sensazione di essere gli svantaggiati in un nuovo Stato iracheno.

In un ambiente del genere, è impossibile considerare il miglioramento apparente della sicurezza più di un vantaggio a breve termine, e una giustificazione inconsistente, a posteriori, per la decisione di Washington dell'estate scorsa di aumentare la propria forza combattente in Iraq di 30.000 unità, in quello che ha definito il suo "aumento delle truppe" (portando il totale delle forze Usa a 170.000).

E, mentre le milizie sunnite minacciano di ribellarsi contro il governo di coalizione sciita di Maliki e le milizie armate sciite, la prognosi a lungo termine deve essere di ulteriore sofferenza.

Zaki Chehab è l'autore di "Iraq Ablaze: Inside the Insurgency" [Edizione Italiana: Dentro la resistenza. La guerra in Iraq, la rivolta del Medio Oriente, Laterza, 2006]

New Statesman

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)