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Cibo, foreste e combustibili

di Vandana Shiva - 27/12/2007

 
Le giornate dal 3 al 14 dicembre 2007 vedranno riuniti a Bali oltre 10.000 rappresentanti di governo e della società civile per la conferenza della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, il trattato internazionale nel cui ambito è stato negoziato il Protocollo di Kyoto, che scadrà nel 2012, termine in vista del quale proprio la conferenza di Bali dovrebbe avviare le trattative per il dopo Kyoto.

Nel 2007, nessuno può ormai negare l'esistenza di un cambiamento climatico causato dall'uomo. Tuttavia, l'impegno a mitigarne gli effetti e ad aiutare i più vulnerabili ad adattarvisi non consegue ancora al riconoscimento del disastro.

La mitigazione richiede cambiamenti concreti nei modelli di produzione e consumo. La globalizzazione ha spinto la produzione e i consumi mondiali verso un incremento delle emissioni di anidride carbonica. Le regole dell'OMC per la liberalizzazione dei commerci sono, di fatto, tali da costringere i paesi a quote di emissioni via via crescenti. Analogamente, la Banca Mondiale, che concede prestiti per la costruzione di superautostrade e centrali termoelettriche, colture agricole industriali e strutture per la distribuzione organizzata, obbliga anch'essa i paesi a emettere più gas serra.

Tutto ciò mentre colossi come Cargill e Walmart si rendono responsabili della distruzione delle economie locali sostenibili e della spinta che porta le società, una dopo l'altra, alla dipendenza da un'economia globale distruttiva dell'ambiente. Proprio la Cargill ha un ruolo di primo piano nel diffondere la coltivazione della soia in Amazzonia e quella delle palme da olio nella foresta pluviale dell'Indonesia, attività che contribuiscono alle emissioni sia attraverso l'incendio programmato di vaste aree boschive sia mediante la distruzione delle massicce riserve di carbonio contenute nelle foreste pluviali e nelle torbiere. D'altro canto, il modello Walmart di commercio centralizzato a largo raggio è una ricetta di sicura efficacia per incrementare la massa di CO2 nell'atmosfera.

Il primo passo verso la mitigazione richiede che si concentri l'attenzione sulle azioni reali di attori reali. Le azioni reali sono azioni esemplificabili con l'allontanamento dall'agricoltura ecologica e dai sistemi alimentari locali. Tra gli attori reali vi sono l'agribusiness, l'OMC, la Banca Mondiale.

Le azioni reali comportano la distruzione delle economie rurali a basse emissioni in favore dell'urbanizzazione selvaggia, concepita e progettata dall'imprenditoria immobiliare ed edile. Le azioni reali implicano la distruzione di sistemi di trasporto sostenibili, basati su energie rinnovabili, e del trasporto pubblico a favore delle automobili private. Gli attori reali che premono per questa transizione verso la non-sostenibilità nella mobilità sono le compagnie petrolifere e le case automobilistiche.

Kyoto ha completamente evitato il tema concreto e impegnativo del blocco delle attività a elevate emissioni e la sfida politica della regolamentazione degli inquinatori e del loro sanzionamento in conformità con i principi adottati al Summit di Rio, mentre ha costituito un meccanismo di "emissions trading" che, in realtà, ha premiato gli inquinatori, assegnando loro diritti sull'atmosfera e permettendo di negoziare tali diritti per poter inquinare.

Oggi il mercato dell'"emissions trading" ha raggiunto i 30 miliardi di dollari e dovrebbe, secondo le previsioni, crescere fino a 1.000 miliardi. Le emissioni di CO2 continuano a salire, mentre crescono anche i profitti dell'"aria fritta". Parlo di "aria fritta" perché si tratta, letteralmente, di aria calda che porta al surriscaldamento del pianeta, ma anche, metaforicamente, di un'economia finanziaria fittizia, che ha sopravanzato l'economia reale, sia per dimensioni, sia per importanza percepita.

Essa si è esplicitata come economia d'azzardo, che ha permesso alle multinazionali e ai loro proprietari di moltiplicare i loro patrimoni senza limite e senza rapporto con la realtà, mentre ora, questi patrimoni insaziabilmente alimentati si volgono verso le risorse reali della gente, le terre e le foreste, le aziende agricole e il cibo, per tramutarle in liquidità sonante. A meno che non si ritorni al mondo reale, non troveremo le soluzioni che ci aiuteranno a mitigare il cambiamento climatico.

Un altro falso rimedio al cambiamento climatico consiste nella promozione dei biofuel a base di mais, soia, olio di palma e jatropha.

I biofuel, ossia i combustibili da biomasse, continueranno a essere la principale fonte energetica per i poveri del mondo. La fattoria ecologica biodiversa non è fonte di solo cibo, ma anche di energia: l'energia per cuocere i cibi proviene dalla biomassa non edibile, ossia dallo strame bovino essiccato, dagli steli di miglio e dai baccelli, dalle specie agro-silvicole sui terreni di proprietà dei villaggi. La sostenibilità gestita, i "commons" delle piccole comunità sono stati per secoli fonte di energia decentrata.

I biofuel industriali non vengono ricavati dai combustibili dei poveri, ma dai loro alimenti, trasformati in calore, elettricità e trasporti. I biocarburanti liquidi, in particolare etanolo e biodiesel, rappresentano oggi uno dei comparti produttivi a più forte sviluppo, nella ricerca di alternative ai combustibili fossili atte tanto a evitare la catastrofe del greggio record quanto a ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Il Presidente Bush sta tentando di far approvare una legge che imponga l'impiego di 35 miliardi di galloni di biofuel entro il 2017. M. Alexander del Dipartimento dello Sviluppo Sostenibile della FAO ha affermato: “L'allontanamento graduale dal petrolio ha avuto inizio. Nei prossimi 15-20 anni potremmo vedere i biofuel coprire un buon 25 per cento del fabbisogno energetico mondiale”.

La produzione mondiale di biofuel, da sola, è raddoppiata negli ultimi cinque anni e, con ogni probabilità, raddoppierà ancora nei prossimi quattro. Tra i paesi che hanno attivato di recente politiche favorevoli vi sono Argentina, Australia, Canada, Cina, Colombia, Ecuador, India, Indonesia, Malawi, Malesia, Messico, Mozambico, Filippine, Senegal, Sudafrica, Tailandia e Zambia.

Due sono le tipologie di biocarburanti industriali: l'etanolo e il biodiesel. L'etanolo è producibile da materie ricche di saccarosio, come la canna da zucchero e la melassa, o di amido, come il mais, l'orzo e il frumento, e viene miscelato alla benzina. Il biodiesel viene invece prodotto solo da oli vegetali, quali gli oli di palma, di soia e di colza, ed è destinato ad essere miscelato con il gasolio.

In una dichiarazione intitolata "Serbatoi pieni a prezzo di pance vuote", i rappresentanti di organizzazioni e movimenti sociali di Brasile, Bolivia, Costarica, Colombia, Guatemala e Repubblica Dominicana hanno scritto: "L'attuale modello produttivo della bioenergia è supportato dagli stessi elementi che hanno sempre causato l'oppressione dei nostri popoli, l'appropriazione del territorio, delle risorse naturali e della manodopera".

E Fidel Castro, nell'articolo "Il cibo come arma imperialista: i biofuel e la fame nel mondo", così si è espresso: “Più di tre miliardi di persone vengono condannate a morte prematura per fame e per sete”.

Il settore mondiale dei biocombustibili è cresciuto rapidamente. Gli Stati Uniti e il Brasile hanno creato industrie per la produzione di etanolo, mentre l'Unione Europea sta rapidamente riguadagnando terreno per esplorare il mercato potenziale. I governi di tutto il mondo incoraggiano la produzione di biofuel con politiche favorevoli. Gli Stati Uniti spingono gli altri paesi del terzo mondo a optare per la produzione di biofuel, in modo da soddisfare i loro fabbisogni energetici, ma depredando le risorse di altri.

È inevitabile che tale consistente aumento della domanda di cereali si faccia a spese del soddisfacimento dei bisogni umani, con i poveri incapaci di competere sui prezzi ed estromessi dal mercato delle derrate alimentari. Il 28 febbraio, il Movimento dei Senza Terra brasiliani ha rilasciato una dichiarazione, in cui annota che "l'espandersi della produzione di biofuel aggrava la fame nel mondo: non possiamo tenere pieni i serbatoi e lasciare che si svuotino le pance."

La deviazione delle risorse alimentari verso usi energetici ha già fatto salire il prezzo di granturco e soia, causando tumulti, in Messico, per l'aumento di prezzo delle tortillas. E questo è solo l'inizio; basti immaginare quanta terra è necessaria per produrre il 25% dei combustibili da fonti alimentari.

Una tonnellata di mais produce 413 litri di etanolo. 35 milioni di galloni di etanolo richiedono la lavorazione di 320 milioni di tonnellate di mais. Gli USA producevano 280,2 milioni di tonnellate di mais nel 2005. Con la firma del NAFTA, gli USA hanno reso il Messico dipendente dal mais statunitense e hanno così distrutto le piccole produzioni messicane, un fatto che scatenò la rivolta Zapatista. Il dirottamento del granturco verso i biofuel è ora causa nel paese dell'aumento dei prezzi del mais.

I biofuel industriali vengono proposti come fonte di energia rinnovabile e come mezzo per ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, vi sono due ragioni di natura ecologica per cui trasformare prodotti agricoli come soia, mais e olio di palma in combustibili liquidi rischia addirittura di aggravare il caos climatico e il bilancio della CO2.

In primo luogo, il disboscamento causato dall'espansione dei coltivi di soia e palme comporta un incremento delle emissioni di CO2. La FAO stima che 1,6 miliardi di tonnellate, ossia tra il 25 e il 30% dei gas serra rilasciati in atmosfera ogni anno, provengano dal disboscamento. Entro il 2022, le piantagioni per la produzione di biofuel potrebbero comportare la distruzione del 98% della foresta pluviale indonesiana.

A parere di Wetlands International, la distruzione delle torbiere nel Sudest asiatico per sostituirle con piantagioni di palma da olio contribuisce oggi alle emissioni mondiali di CO2 per l'8%. Secondo Delft Hydraulics, ogni tonnellata di olio di palma prodotta determina emissioni di anidride carbonica per 30 tonnellate, ossia 10 volte la produzione dell'industria petrolifera. Ciononostante, questo ulteriore aggravio dell'inquinamento atmosferico viene trattato alla stregua di un meccanismo di sviluppo pulito dal Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni. In definitiva, i biofuel contribuiscono al riscaldamento planetario che dovrebbero invece ridurre. (World Rainforest Bulletin N.112, Novembre 2006, Pag. 22)

Inoltre, la trasformazione della biomassa in combustibili liquidi impiega più combustibili fossili di quanto non ne sostituisca.

Un gallone di etanolo prodotto richiede 28.000 kcal e produce 19.400 kcal di energia, con un'inefficienza energetica del 43%.

Gli USA destineranno il 20% del proprio mais alla produzione di 5 miliardi di galloni di etanolo, che sostituiranno l'1% del petrolio. Se si utilizzasse il 100% del mais negli stessi impieghi, si sostituirebbe solo il 7% del petrolio totale. Emerge con chiarezza che questa non è una soluzione ai prezzi record del greggio né al caos climatico. (David Pimental alla conferenza IFG sulla “Triplice Crisi”, Londra, 23-25 febbraio 2007)

Il biofuel da mais è inoltre fonte di altri gravi emergenze. Basti pensare che per produrre un gallone di etanolo si utilizzano 1700 galloni di acqua e che il mais richiede più fertilizzanti azotati, più insetticidi, più erbicidi di qualsiasi altro raccolto.

Questi falsi rimedi aggraveranno la crisi climatica e al contempo acuiranno e intensificheranno le disparità, la fame e la povertà.

Esistono soluzioni reali in grado di mitigare il cambiamento climatico riducendo al contempo fame e povertà.

Secondo il Rapporto Stern, l'agricoltura rappresenta il 14% delle emissioni, lo sfruttamento dei terreni (soprattutto a causa del disboscamento) il 18%, i trasporti il 14%. Nel computo di questa ultima voce rientra il sempre più diffuso trasporto delle derrate fresche, che potrebbero invece essere coltivate in loco.

Non tutti i sistemi agricoli, tuttavia, contribuiscono alle emissioni di gas serra. E' l'agricoltura dipendente dalla chimica industriale, soprannominata "Green Revolution" al tempo della sua introduzione nei paesi del Terzo Mondo, la fonte principale di tre gas serra: l'anidride carbonica, l'ossido di azoto e il metano. Le emissioni di anidride carbonica derivano dall'uso di combustibili fossili per i macchinari e il pompaggio dell'acqua dai pozzi, oltre che dalla produzione di concimi chimici e prodotti anticrittogamici.

I fertilizzanti chimici, poi, emettono anche ossido nitrico, che, come gas serra, è 300 volte più letale dell'anidride carbonica. Infine, l'allevamento di animali a granaglie costituisce una fonte primaria di metano. Gli studi indicano che il passaggio da un'alimentazione a base di cereali a una dieta principalmente erbacea e comunque biologica potrebbe ridurre le emissioni di metano imputabili al bestiame fino al 50%.

L'agricoltura biologica ed ecologica riduce le emissioni sia alleviando la dipendenza dai combustibili fossili, dai concimi chimici e dalla nutrizione intensiva, sia assorbendo una maggior quota di carbonio nel terreno. I nostri studi dimostrano un aumento del sequestro di carbonio fino al 200% nei sistemi biologici improntati alla biodiversità.

Quando "ecologico e biologico" si sposano a "diretto e locale", i consumi energetici e, quindi, le emissioni si riducono ulteriormente in virtù delle minori percorrenze chilometriche degli alimenti, del minor imballaggio e della minor refrigerazione necessari. E i sistemi alimentari locali ridurranno anche la spinta all'espansione agricola nella foresta pluviale in Brasile e in Indonesia.

Potremmo, grazie a una transizione tempestiva, ridurre le emissioni, aumentare la sicurezza delle disponibilità alimentari e la qualità dei cibi e migliorare la capacità delle comunità rurali di gestire l'impatto del cambiamento climatico. Il passaggio dal sistema alimentare industriale globalizzato, imposto dall'OMC, dalla Banca Mondiale e dalle multinazionali dell'agribusiness, a sistemi alimentari ecologici e locali è una strategia di mitigazione e di adattamento al tempo stesso. Tutela i poveri e salvaguarda il pianeta.

Il quadro post-Kyoto deve necessariamente includere l'agricoltura ecologica come soluzione ai problemi climatici.


Vandana Shiva, scrittrice ed “ecoscienziata”, dirige la Fondazione per la Ricerca sulle Politiche Scientifiche, Tecnologiche, e delle Risorse Naturali a Nuova Delhi. Le sue ricerche attuali riguardano la biodiversità e l’agricoltura sostenibile. È anche vice presidente internazionale di Slow Food e autrice di Dalla parte degli utlimi: una vita per i diritti dei contadini, libro scritto apposta per il pubblico italiano e pubblicato proprio in questi giorni da Slow Food Editore.