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Morales-Castro, coppia anti-Usa

di Maurizio Molinari - 02/01/2006

Fonte: lastampa.it

 

Una banda militare in alta uniforme, il tappeto rosso e l’abbraccio di Fidel Castro hanno accolto all’Avana il neopresidente boliviano Evo Morales, giunto a Cuba per testimoniare il legame particolare fra i due Paesi al termine di una settimana segnata da una raffica di novità. Andando ad abbracciare Morales ai piedi della scaletta dell’aereo privato cubano con cui è arrivato da La Paz, Fidel ha salutato l’ospite come «un leader che ha commosso il mondo con una vittoria straordinaria, storica, che cambia la mappa dell’America Latina». Morales ha scelto l’Avana come prima tappa di un lungo itinerario internazionale che lo porterà anche in Europa, Sud Africa, Brasile e Cina prima dell’insediamento del 22 gennaio a La Paz, al fine di sottolineare la sintonia con il castrismo. «Sono felice ed emozionato di essere qui a fianco del Comandante a cui mi lega una grande amicizia» ha detto il leader boliviano prima dei colloqui a porte chiuse con Fidel, che conosce da tempo per via dei molteplici soggiorni fatti a Cuba assieme ad altri leader dei movimenti di protesta latinoamericani.

Ciò che unisce il primo indio divenuto presidente boliviano e Castro è anzitutto l’ostilità negli confronti degli Stati Uniti, condivisa anche con il leader venezuelano Hugo Chavez. Non a caso Morales si definisce «l’incubo di Washington» e poco prima di decollare per l’Avana ha rilasciato un’intervista alla tv araba al-Jazeera descrivendo il presidente Usa George W. Bush come un «terrorista» in riferimento all’intervento militare in Iraq. Il giorno precedente la sfida a Washington era stata lanciata su un terreno ancora più sensibile: lo sradicamento delle coltivazioni di coca. Durante un viaggio nella regione attorno ad Eterazama infatti Morales, 46 anni, ha assicurato i contadini che «non sarà più permesso distruggere i raccolti di coca» come fino ad oggi hanno fatto i militari americani e boliviani in forza di accordi bilaterali contro il narcotraffico. La strategia di Morales è tutt’altra: ogni contadino avrà diritto a piantare coca in 1,2 ettari al fine di garantire a 30 mila famiglie il sostentamento annuo e ciò coinciderà con l’«inasprimento della lotta ai trafficanti e lo sviluppo del commercio legale». Da qui la promessa di rescindere a breve gli accordi con Washington in forza dei quali La Paz riceve ogni anno 91 milioni di dollari in cambio della distruzione dei raccolti da cui proviene la coca che poi arriva in Nordamerica. «Queste intese sono solo una scusa per mantere in Bolivia soldati americani che se ne devono andare», ha detto Morales, che non fa mistero di pensare anche alla nazionalizzazione dell’industria estrattiva di gas naturale. Annunci di tale portata hanno causato polemiche a La Paz - dove giornali e tv sono stati molti critici - e Morales ha tentato di rassicurare il settore privato affermando che non ha intenzione di «espropriare o confiscare» ma solo di «creare migliori condizioni per favorire investimenti ed occupazione».

A ciò bisogna aggiungere il nuovo stile personale che l’indio Aymara sta imponendo sulla scena nazionale: veste casual, continua ad abitare in un appartamento in comune con altre persone ed ha fatto sapere che ad insediamento avvenuto la prima decisione sarà di dimezzarsi lo stipendio. Chiederà di fare altrettanto a tutti i nuovi ministri ed ai membri del Parlamento - dove il suo «Movimento verso il socialismo» dispone della maggioranza dei seggi - al fine di destinare le risorse ottenute a programmi sociali e in particolari dedicati all’educazione. Sempre a tal fine sarà presto introdotta una «tassa sulla ricchezza» accompagnata dalla revisione della legislazione del 1985 grazie alla quale la Bolivia diventò un’economia di mercato. Di fronte a tante novità l’amministrazione Bush fino ad ora ha mantenuto un profilo basso, limitandosi a ribadire l’importanza degli accordi contro la coca e confermando che un proprio rappresentante sarà a La Paz in occasione di un giuramento al quale saranno presenti Castro, Chavez, i leader zapatisti messicani e Diego Maradona. Ma a Washington qualcosa si muove. «Di fronte a ciò che sta avvenendo in Bolivia e Venezuela - osserva Arturo Valenzuela, docente di studi latinoamericani alla Georgetown University - la Casa Bianca deve dare risposte più sofisticate».