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Il Natale, solo un tributo al dio del consumo

di Massimo Fini - 28/12/2007

 

STA PER ARRIVARE la festa di Natale per i
credenti, ma per coloro che sanno che nulla ha
senso e che la vita è un gioco, qual è, domando,
il significato di questa ricorrenza e con quale
sentimento prevedono di accoglierla.
Forse sarà accettata passivamente,
riempiendola di panettone per tollerarla?
E’ vero: la vita è fatta di sogni.
Per addormentarsi serenamente, l’infante ha
bisogno di stringere l’orsacchiotto, e l’adulto ha
bisogno di affidarsi ad una filosofia di speranza.
Cesare Fornaci

IL NATALE è festeggiato anche
in molti Paesi non cristiani e la
leggenda di Babbo Natale è
diffusa fra quasi tutti i bambini del
mondo anche se con qualche variante
(in Russia, per esempio, «Papà
Gelo»). Per i credenti è un’occasione
spirituale, per chi non crede è un rito
di demarcazione prima di affrontare,
nell’emisfero nord, il lungo inverno,
così come il Ferragosto celebra il
culmine dell’estate (anche se di
recente il Natale, come rito di
demarcazione, è in concorrenza con
la festa celtica e pagana di
Halloween, rinata in Europa dopo
essere rimbalzata dagli Stati Uniti).
Purtroppo in Italia il Natale ha
perso sia il suo carattere cristiano che
quello pagano di rito di
demarcazione (che ha anch’esso a che
fare, come ogni rito, con la
spiritualità ed è comunque un
momento di riflessione) per
trasformarsi in un tributo all’unico
dio oggi riconosciuto: il business. Ha
perso il carattere magico, che c’era
tanto nel Natale cristiano, col mistero
della Natività, che in quello pagano
legato al ciclo immutabile delle
stagioni) per diventare una corsa
triste e nevrotica ai consumi e che, a
festa finita, lascia sempre l’amaro in
bocca.