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Il “Nuovo Medio Oriente” è la continuazione del passato coloniale con nuovi dirigenti

di Hatem Bazian - 28/12/2007



Intervista realizzata da Claire Liénart (giornalista indipendente) e da Ramon Grosfoguel (professore alla UC-Berkeley).


http://www.oumma.com/Le-Nouveau-Moyen-Orient-c-est-la martedì 4 dicembre 2007




Qual è la sua opinione circa la conferenza sul Vicino Oriente organizzata da Condoleeza Rice il 27 novembre ad Annapolis ?




Questa conferenza di un giorno ha dimostrato che non c’era granché da aspettarsi. I Palestinesi e gli Israeliani si sono già incontrati almeno sette volte per tentare di mettersi d’accordo su un linguaggio da tenere, senza che al momento si sia materializzato niente di sostanziale. Condoleeza Rice ha fatto la spola per provare a riavvicinare le due presunte parti, gli Israeliani e i Palestinesi.

Perché una tale urgenza in queste strane ore dell’amministrazione Bush, quando non gli resta che un anno pieno di funzione ?
Perché questa urgenza quando, negli ultimi sette anni, l’amministrazione Bush ha trattato i Palestinesi piuttosto alla leggera e non li ha posti al centro di nessuna importante iniziativa nel Medio Oriente?


Se ci ricordiamo, dopo il 9 settembre 2001, l’amministrazione Bush ha ritenuto che la pace nel Medio Oriente, e in particolare in Palestina, passasse per Bagdad. È stato il grande argomento di neoconservatori come l’American Entreprise Institute, Dick Cheney, Scura Libby, Donald Rumfeld o, ancora, Paul Wolfowitz.



Tutte queste personalità erano convinte che per avere una pace israelo-palestinese bisognasse andare in Iraq ed eliminare la minaccia Saddam Hussein. Perché, di colpo, era cruciale eliminarlo per ottenere la pace israelo-palestinese ?


Perché, uscito di scena Saddam Hussein, i Palestinesi non avrebbero più avuto un patrocinatore. Non avrebbero più avuto quella base di sostegno che veniva loro offerta dalle ultime vestigia del nazionalismo arabo, sia pur deformato come quello di Saddam Hussein, molto diluito. Così i Palestinesi sarebbero stati costretti ad accettare la pax americana americano-israeliana per il Medio Oriente, ad accettare di vivere in un territorio palestinese che assomiglia ad un bantustan quale è potuto esistere in Pakistan o in Africa del Sud. Si vede dove ci ha portato questa idea: ad un penoso fallimento per quanto riguarda il raggiungimento di una qualsiasi pace per i Palestinesi o per il « Grande Medio Oriente ».



Al momento, il nuovo progetto è il « contenimento » dell’Iran. Ricordiamoci dell’amministrazione Reagan e della sua politica del doppio « contenimento » : bisognava « contenere » da una parte il nazionalismo arabo e, dall’altra, il fondamentalismo islamico nella sua forma iraniana, il fondamentalismo sciita. Questi due obiettivi di politica estera dell’amministrazione Reagan, furono ereditati da Bush senior e dall’amministrazione Clinton. Ci fu dunque uno sforzo consistente per contenere questi due aspetti : il nazionalismo arabo e il fondamentalismo islamico nel Medio Oriente, rappresentato dall’Iran.



Oggi, il programma iracheno è a terra e i neoconservatori fanno « marcia indietro » sul tema : « i veri uomini » vanno a Teheran. Si agitano per ottenere un attacco sull’Iran. Per prendere di mira l’Iran, per continuare il secondo obiettivo, ossia il “contenimento” del fondamentalismo islamico alla testa dello sciismo.



C’è stata un’epoca in cui gli Stati Uniti sostenevano I Talebani. All’inizio, essi volevano che i Talebani vincessero, per creare un conflitto tra i sunniti e gli sciiti. Il fondamentalismo sunnita contro il fondamentalismo sciita, al fine di neutralizzarli, di «contenere» entrambi. Tutto fa parte della strategia detta del «contenimento», che consiste nell’incanalare sistematicamente le risorse del nemico in conflitti secondari. Se il fondamentalismo sunnita si scontra con il fondamentalismo sciita, le loro risorse potranno essere esaurite. Oggi che la campagna d’Iraq è fallita, bisogna contenere l’Iran.



Per questo, bisogna costituire una nuova coalizione sunnita. E dunque convincere alcuni elementi del mondo sunnita che l’Iran è per loto una minaccia, affinché diffondano l’idea che « l’Iran è il nostro principale nemico ». Ma, per arrivarci, bisogna occuparsi della questione palestinese. Gli Stati Uniti devono trovare un modo per far sì l’Iran e le forze progressive del Medio Oriente non possano unirsi alla causa palestinese, né denunciare il fatto che i progetti americani nella regione sono basati sul fallimento e su un’iniziativa coloniale che continua ad avvenire in Palestina. Allora, perché tanta urgenza con questa conferenza del 27 novembre ?



Perché devono mettere insieme questa coalizione e uno degli elementi necessari per i Sauditi, gli Egiziani, i Marocchini e i Giordani che vogliono farne parte è arrangiare le cose in modo che la questione palestinese sia sostituita sulle prime pagine dei giornali dal «contenimento» dell’Iran. Solo allora essi potranno far spostare l’opinione pubblica araba e convincerli a sostenere l’invasione dell’Iran. È la loro ipotesi, la strategia che seguono. Questa conferenza è giunta in un momento critico nell’avanzamento del progetto israelo-americano per la regione, che è anche quello delle élite arabe.



A proposito del conflitto tra Hamas ed el Fatah, lei come ha analizzato questo vertice sul Medio Oriente e il sostegno dimostrato ad Abbas contro Hamas ? Come può Abbas negoziare la questione palestinese mentre non controlla metà dei Territori e non dispone della legittimità richiesta ? Come si è svolto tale conflitto nell’ambito della conferenza ?



La conferenza ha contenuto molti elementi. Uno degli obiettivi è stato dare credibilità ad Abbas. Gli Americani vogliono che abbia l’aria presidenziale. A questo fine, bisogna attorniarlo di un gruppo di persone importanti e prendere delle foto. Tutto l’aspetto cerimoniale sta qui. Per questo hanno voluto che fossero presenti gli Stati principali, come l’Arabia saudita. Dunque, ho visto che loro cercano di costruire un’immagine di Abbas e, nello stesso tempo, mettono sotto pressione Hamas nella Striscia di Gaza. Come si mette pressione ?



Riducendo le risorse che entrano. Ma senza tagliare del tutto i viveri, perché altrimenti le persone finirebbero per morire di fame. Contemporaneamente, non bisogna che l’Iran possa approfittarne per aumentare il suo aiuto ai Palestinesi, perché allora non ci sarebbe più mezzo di pressione nei Territori. In breve, gli obiettivi della conferenza erano :



1) Rendere presidente Abbas, creare la sua credibilità, dare l’impressione che la comunità internazionale, questa cosa nuova che viene chiamata « comunità internazionale », creda in Abbas.



2) Assicurare delle risorse per l’Autorità Palestinese. I membri del G8 e i 10 paesi industrializzati saranno impegnati a fornire risorse. La scommessa israelo-americana è che i Palestinesi voteranno in funzione dei loro interessi e perciò all’Autorità Palestinese di Abbas vanno sempre più risorse mentre viene affamata l’Autorità Palestinese di Hamas nella Striscia di Gaza.



Dopo il vertice, quando Abas è rientrato, con le risorse e la credibilità gli sono state date le chiavi della società palestinese. Allora si rinserra la morsa sui Palestinesi di Gaza perché comprendano chi è il capo e come devono comportarsi. Ma ecco, tutto ciò funzionerebbe magnificamente se non esistesse una comunità di coloni israeliani con le loro idée e i loro progetti.



Per I coloni, anche Abbas con tutto ciò che rappresenta, è inaccettabile, perché essi non hanno rinunciato al « Grande Israele », cioè a una terra senza popolo nel senso letterale del termine. Per questo, Abigail Lieberman, vice primo ministro israeliano, pensa che I Palestinesi debbano essere tutti « trasferiti » dai Territori occupati e che esista già uno Stato palestinese che si chiama Giordania. Egli è il numero due del governo di Olmert. Israele non è dunque disposto ad affrontare I suoi coloni. E anche se domani Abbas vendesse i diritti della propria madre, loro risponderebbero: « Non basta. Ciò che vogliamo è che voi, i vostri cugini, zii, sorelle, fratelli e tutti, prendiate le vostre valige e partiate per l’altra sponda del Giordano. Allora avremo una soluzione accettabile. »



Nei Territori occupati ci sono 530 000 coloni e sono pesantemente armati. Molti fanno parte delle pattuglie di frontiera, cioè dell’élite militare israeliana. La società israeliana in generale, e ancor meno il governo, non possono opporsi a loro perché vorrebbe dire negare l’idea storica del sionismo, del ritorno sulla terra data da Dio. È un aspetto tra i principali della società israeliana e, anche se i Palestinesi si sbarazzassero di Hamas e rinunciassero a tutti i loro diritti, esso resterebbe al centro della scena.



A proposito della recente manifestazione organizzata a Gaza in memoria di Yasser Arafat, i media hanno indicato Hamas come responsabile delle violenze e hanno riferito che membri di el Fatah hanno gridato a dei militanti di Hamas « Sciiti ! Siete degli sciiti ! » Non è un modo di trasporre nella politica locale il conflitto sunniti-sciiti che l’impero tenta di creare nella regione ?



Prima di rispondere a questa domanda, voglio precisare questo : nel mondo sunnita, ad esempio in Egitto che è sunnita al 99 %, nonché in Giordania, in Arabia Saudita, nello Yemen, in Marocco, in Algeria, in Tunisia e anche in Malesia e in Indonesia, la personalità più popolare è Hassan Nasrallah, il dirigente di Hezbollah, il gruppo sciita libanese. In termini di popolarità, egli è seguito dal presidente dell’Iran. Nel mondo sunnita ! Negli ambienti popolari s’intende, non tra I dirigenti politici. A parte il linguaggio problematico che Ahmadinejad utilizza: le sue argomentazioni sull’Olocausto sono, ad esempio, inaccettabili.



Se voleva parlarne veramente, avrebbe dovuto organizzare una cerimonia in memoria delle vittime e invitare le ambasciate europee a presentare le loro condoglianze e anche a cominciare a scusarsi per le crociate. Io penso che, negando degli elementi storici dell’olocausto, egli si sia mosso in favore degli Europei invece di metterli di fronte alla sfida e di distinguere il mondo musulmano dalla storia europea. Penso che ciò sia molto problematico e che sia un errore strategico da parte sua. Ma, detto questo, Hassan Nasrallah e Mahmud Ahmadinejad sono i più popolari per una ragione : sono stati capaci di articolare il sentimento popolare, della strada, del mondo musulmano e arabo.



Essi denunciano le contraddizioni in cui si trovano gli Stati Uniti e l’Europa, ogni volta che si parla di libertà, ricordano che c’è un insieme che si chiama Israele il quale si fonda sull’occupazione della Palestina. Essi si rifiutano di cedere alle richieste degli Stati Uniti di far appello al riconoscimento del diritto di Israele di avere un potere incontestato nella regione. Essi denunciano il fatto, che mentr proseguono neii loro programmi nucleari, gli Stati Uniti e gli Europei chiedono all’Iran di fermare il suo, con il pretesto che Israele è vicino, eppure nessuno parla di quello che prepara Israele. Inoltre, Nasrallah l’estate scorsa ha vinto la guerra.



Salvo, forse, agli occhi di qualcuno a Washington e di alcuni commentatori di Fox News incapaci di riconoscere la realtà quando la vedono, nel Sud del Libano Hezbollah ha inflitto una sconfitta, i cui effetti psicologici sono ben più importanti della limitata sconfitta sul campo. Israele non è più incontestato nella sua capacità di far male. Prima dell’estate 2006, il potere di Israele era incontestato nel senso che l’esercito israeliano poteva attaccare chiunque con i suoi aerei senza subire perdite sul proprio territorio. Lo sviluppo dei missili a corto e medio raggio da parte di Hezbollah gli ha permesso di giocare alla pari in termini di capacità di far male.



In una parola, la gravità dei danni psicologici di questa battaglia ha trasformato Hezbollah in una forza principale, in un simbolo della sfida a Israele nel mondo arabo e musulmano. Hassan Nasrallah è dunque la persona più popolare del mondo arabo e musulmano, sunniti e sciiti messi insieme. Per quanto riguarda le relazioni tra el Fatah e Hamas, è interessante notare che esse rappresentano su piccola scala la dinamica nel Medio Oriente e a livello mondiale. Da un lato, el Fatah rappresenta, per i Palestinesi, il vecchio regime.



I vecchi dirigenti corrotti che funzionano all’interno del quadro delle élite del mondo arabo, hanno preso degli impegni all’interno del quadro israelo-americano-arabo sui conflitti e sulla maniera in cui la regione deve essere governata ed amministrata. Sono pronti ad accettare ogni aiuto finanziario per mantenere lo status quo.



Di contro, avete Hamas, che deve anche essere considerato in termini di classi. La forza di Hamas sta nei campi profughi, negli strati più bassi della società. I dirigenti di Hamas provengono in maggioranza dalla Striscia di Gaza la quale non possiede alcuna risorsa. Essi fanno parte della giovane generazione che vive sotto occupazione, non dei dirigenti da Tunisia come quelli di el Fatah. Sono cresciuti nell’auspicio di un grande cambiamento nel panorama strategico.



Che cosa pensa del « Nuovo Medio Oriente » che propone l’amministrazione Bush e quale effetto questo comporta sul conflitto tra Hamas e el Fatah ?



Il « nuovo Medio Oriente » degli Stati Uniti è essenzialmente una continuazione del passato coloniale con nuovi « manager ». Invece, Hamas rappresenta un’identità politica particolare. Talvolta è problematico, ma afferma che abbiamo un modo diverso, un atteggiamento diverso, una nozione diversa del Medio Oriente il quale dovrebbe appartenere al proprio popolo. Quanto è accaduto a Gaza in occasione della recente manifestazione in memoria di Arafat è sempre soggetto a differenti interpretazioni.



Una cosa è sicura: c’è stato un tentativo di far tornare indietro le cose. La presa del potere di Hamas nella Striscia di Gaza è stata sentita come un fallimento da parte di el Fatah che voleva riportare la Striscia di Gaza sotto la sua bandiera. Ma questo non è bastato : bisognava pure che il fallimento di Hamas fosse totale per non lasciare che il nemico registrasse un successo. E questo bisogno di veder fallire Hamas nel suo governo ha una dimensione più ampia in Medio Oriente. L’Egitto fronteggia un forte movimento musulmano. Tutto indica che se oggi in Egitto ci fossero delle elezioni, i Fratelli Musulmani vincerebbero senza nemmeno dover scendere per le strade a fare campagna elettorale. In Giordania, l’anno prossimo si terranno delle elezioni ed è già stato fatto ogni sorta di maneggio per assicurarsi che la scelta della gente non sia rispettata.



In Africa del Nord, quasi tutti quei regimi si ritrovano contro una forte identità musulmana e se avvenissero delle libere elezioni, l’islam politico vincerebbe. Hamas rappresenta la possibilità di avere successo. Al di là del loro programma sociale o economico, essi sono riusciti a farsi eleggere con elezioni libere e democratiche. Nessuna violenza, non un solo morto durante le elezioni. E se avessero la possibilità di governare, romperebbero con gli a priori eurocentrici : di colpo, potrebbero pregare e governare. A partire dal XVII secolo, nel modo di pensare europeo, il problema del mondo musulmano è il fatto di continuare ad essere musulmano e di aggrapparsi ad un testo, il Corano, che non ha alcun valore.



Dunque, esso deve abbandonare il suo pensare islamico e recuperare il ritardo in rapporto al pensiero europeo. Il problema è che non si può mai recuperare, perché tutto ciò che si fa in un caso del genere è trasformarsi in una cattiva imitazione del maestro. E creare un senso d’inferiorità nel mondo musulmano.



Il conflitto tra Hamas e el Fatah mostra ciò che potrebbe accadere in futuro nel Medio Oriente. Anche l’uso del termine Medio Oriente è molto problematico: si tratta di un termine costruito. Nessun abitante del Medio oriente dice di essere del Medio Oriente. Il termine è comparso in letteratura negli anni cinquanta e sessanta. Prima, si poteva far parte del mondo musulmano, di quella che si chiama la penisola siriana o del Nord Africa. Anche l’identità che deriva da un termine politico è soggetta a contestazione tra Hamas ed el Fatah.



El Fatah ha scelto la definizione degli Americani, degli Israeliani e dei dirigenti politici arabi. Hamas tenta di affermarsi o di riconfigurarsi in risonanza con la strada, contro il colonialismo, contro il « Nuovo Medio Oriente », contro i progetti americani nella regione. E quando el Fatah utilizza il termine « sciiti » o « iraniani » contro Hamas, lo fa per tentare di privare Hamas della sua legittimità, affermando che i suoi uomini sono agenti di potenze straniere. Ma è inoltre interessante notare che, dicendo che I membri di Hamas sono « sciiti », che non è un peggiorativo – gli sciiti fanno parte da 1400 anni delle tradizioni islamiche – essi cercano di utilizzare, una volta di più, gli Iraniani contro gli Arabi. Tra Arabi e Persiani, vi è un’antica rivalità.



Dunque, essi dicono « voi siete gli agenti degli Iraniani », gli agenti di quelli che sono considerati Hawari, che nella terminologia storica islamica significa « quelli che si ribellano contro l’autorità religiosa ». Dire « siete Sciiti », è dire « fate parte di quelli che si sono rivoltati contro i legittimi dirigenti del terzo califfato di ’Oman, come il quarto califfo Alì’. Dunque, cercano di mischiare l’attuale contesto politico con dei commentari storici, teologici e religiosi, al fine di togliere ad Hamas i suoi riferimenti religiosi.



Hamas è un movimento sunnita e non sciita e quello che el Fatah tenta di fare è delegittimarlo totalmente dicendo che essi non sono più i guardiani della rivoluzione, ma solo gli agenti dell’Iran nella regione. Il che pone la domanda : nel Medio Oriente è meglio essere l’agente degli Stati Uniti e di Israele oppure dell’Iran ? El Fatah vi deve rispondere.



A proposito della rivalità tra Hamas ed el Fatah, in piazza si vedono migliaia di persone onorare la memoria di Arafat in un posto dove Hamas ha vinto le elezioni. Come possono, nello stesso tempo, manifestare il loro attaccamento ad Arafat e riconoscere Hamas come la nuova forza politica ?



Penso che Yasser Arafat sia un simbolo nazionale. Egli è trasversale alle frontiere politiche. Poche persone sanno che si era fatto le ossa tra i Fratelli Musulmani, in Palestina. Ne era stato membro dal 1947 fino alla fondazione del suo movimento, nel 1956 (alcuni la datano nel 1958). L’essenziale del supporto da lui ricevuto agli inizi provenne da al-Lkhwan, il movimento dei Fratelli Musulmani. Più tardi, ne prese le distanze. Ma manteneva un legame storico con i Fratelli Musulmani e, forse, questo gli permetteva di giocare simultaneamente sulle due parti. Era un maestro dell’equilibrio dei poteri.



Egli è una figura nazionale. Con i problemi da lui posti, si può dire che è il padre della società politica palestinese, e su questo ci sarà di che parlare. Persone di tute le affiliazioni politiche sono uscite per onorare le sua memoria, perché egli rappresenta questa identità nazionale e ha lavorato duro per essa. Avrebbe potuto diventare uno dei ricchi del Golfo. Era ingegnere, lavorava nel Golfo in un’epoca in cui nessuno aveva lavoro. A lui andava già bene. Lasciò tutto questo per lanciare il movimento rivoluzionario palestinese. Lottò per una cinquantina d’anni. Non c’è da meravigliarsi che un gran numero dio persone gli renda omaggio. Abbas ed el Fatah vogliono utilizzare la sua memoria a loro vantaggio dicendo : « noi difendiamo la sua memoria e la sua rivoluzione».



Io penso che Abbas si troverà in una situazione molto difficile, perché Arafat aveva detto «no» a Camp David. Dunque, la memoria di Arafat è anche una memoria politica in quanto dicendo « non », lui stabiliva un livello minimo. Abbas non può accettare meno di quello che Arafat aveva rifiutato, senza avere l’aria di vendere la sua memoria. Penso che Abbas sia disposto a firmare qualsiasi tipo di accordo che gli garantisca quel salvataggio politico di cui lui e i pochi che lo attorniano hanno bisogno. El Fatah tenta di ricostituirsi utilizzando Yasser Arafat come punto di coesione.



Mahmud Abbas non può raccogliere attorno a sé nemmeno 10 membri della sua famiglia, ma se utilizza Yasser Arafat, potrebbe forse arrivarci. La realtà politica di fronte ad el Fatah in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, è che il cambiamento politico nella società palestinese è già avvenuto. Se si prendono in esame tutte le elezioni nei Territori occupati, dal 1991 e, forse anche prima, dal 1988, con l’inizio delle elezioni, (si trattava di elezioni studentesche e locali) si scopre un movimento regolare che va dall’OLP verso Hamas. Talvolta, Hamas era coalizzato con il FPLP e il FDLP contro el Fatah.



Tale cambiamento nel corpo politico palestinese è già avvenuto. Quello che tenta di fare el Fatah è di impedire la trasformazione completa. Ma è una battaglia persa, perché loro hanno agganciato il loro vagone agli Stati Uniti e ad Israele. Gli Stati Uniti li tradiranno alla prima occasione. Quanto agli Israeliani, la sola cosa che loro interessa è un capo piantagione e non l’esponente di un movimento di liberazione. Infine, hanno agganciato il loro vagone anche ai Giordani, agli Egiziani e ai Sauditi. E così, si impiantano in una struttura già screditata a livello locale e internazionale. Direi che se gli Stati Uniti, il 27 novembre, sono incapaci di proporre loro una soluzione sensata, i giorni politici di el Fatah sono contati.



Se non propongono niente sul diritto al ritorno, sugli 11 000 prigionieri politici , su Gerusalemme per I Palestinesi e sulle frontiere del 1967, non potranno rivolgersi ai Palestinesi e dire loro « sapete, abbiamo firmato un accordo. Potete avere licenze di taxi, avete il diritto di raccogliere le vostre immondizie, e nient’altro. » Scommetto che gli Israeliani e gli Americani non sono disposti a cedere su nulla.



Certamente gli Israeliani non faranno concessioni per George Bush. Egli è un’anatra zoppa che tra 11 o 12 mesi se ne andrà. Perché dovrebbero scommettere su di lui ? Dati i suoi fallimenti, forse ciò che Bush vuole è entrare nella Storia con un successo qualsiasi. E. se vuole attaccare l’Iran, ha bisogno di questo. Non penso che gli Israeliani abbiano intenzione di offrirgli una strategia d’uscita, nemmeno sulla questione israelo-palestinese.





Hatem Bazian è un universitario palestinese-americano. È professore ai dipartimenti di studi del Vicino Oriente e di studi etnici dell’Università della California di Berkeley (UC Berkeley). Insegna alla Boalt Hall School of Law, anch’essa alla UC Berkeley. Tiene dei corsi sulla legge e sulla società islamica, sull’Islam negli Stati Uniti, sugli studi religiosi e sugli studi del Medio Oriente. Oltre che a Berkeley, il professor Bazian insegna anche studi religiosi al Saint Mary’s College della California ed è consigliere del centro di religione, politica e mondializzazione all’UC Berkeley e allo Zaytuna Institute.



Originario di Naplus, nella Palestina storica, è immigrato negli Stati Uniti per potervi continuare gli studi superiori dopo aver terminato il liceo ad Amman, in Giordania. Ha ottenuto un doppio diploma in relazioni internazionali e in comunicazione all’Università di Stato di San Francisco (San Francisco State University) preparando una laurea in relazioni internazionali prima di insediarsi all’UC Berkeley per acquisirvi un dottorato in filosofia e studi islamici.



L’editorialista conservatore David Horowitz considera il professor Hatem Bazian uno dei più pericolosi professori degli Stati Uniti per quelle che lui ritiene siano delle opinioni anti-americane