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Sangue nella colonia Usa chiamata Pakistan

di Ugo Gaudenzi - 28/12/2007

 

Sangue nella colonia Usa chiamata Pakistan

Nella colonia atlantica chiamata Pakistan, Benazir Bhutto, il capo dell’opposizione ed ex primo ministro laico-musulmano, quella figlia di Ali Bhutto - a sua volta ucciso dalla giunta militare filo-americana di Zia Ul Haq che aveva tolto alla nazione pachistana ogni barlume di sovranità nazionale ed era giunta al potere con il preciso sostegno dell’allora segretario di Stato americano Henry Kissinger – destinata a vincere le prossime elezioni e a mandare a casa il regime militare imposto da Washington e con a capo il presidente-dittatore Musharraf - è stata uccisa a Rawalpindi da un attentatore suicida o da un cecchino. Un omicidio immediatamente rivendicato dalla “rete” di al Zuwahiri e subito dichiarato dai media embedded filo-occidentali opera di un sicario della fantomatica rete di al Qaida.
Subito dopo l’attentato suicida, che ha provocato la morte di almeno altre quindici persone, il presidente-dittatore Parvez Musharraf ha dichiarato lo stato di massima allerta in tutto il Paese, diventato subito teatro di sanguinosi regolamenti di conti e di un sommovimento di massa.
Già nello scorso ottobre Benazir Bhutto, appena tornata in Pakistan dopo otto anni di esilio, era sopravvissuta ad un altro attentato. Dopo aver dichiarato la sua volontà di non cooperare con Musharraf, questi aveva ordinato, in un primo momento, il suo fermo agli arresti domiciliari, misura revocata nelle ultime settimane su pressioni internazionali per dare alla Bhutto la possibilità di seguire la propria campagna elettorale: una irreversibile marcia di vittoria nelle elezioni politiche in programma l’8 gennaio.
Da Dubai – dove una parte della famiglia vive tuttora in esilio - Asif Ali Zardari, il marito di Benazir ha accusato il governo di Karachi di aver assassinato la moglie.
Per rientrare in patria e guidare il suo Partito popolare del Pakistan, Benazir Bhutto aveva ottenuto, su pressione Usa, un’amnistia dal regime militare. In cambio aveva firmato un’intesa di massima per non contrastare la nomina autocratica di Musharraf – dittatore militare – a presidente “civile” della Repubblica pakistana. Non appena a Karachi, e dopo il primo attentato contro la sua persona, sul quale di nuovo si sospettavano autori i servizi della giunta militare, il 3 novembre scorso Benazir Bhutto aveva denunciato il ricorso allo “stato di emergenza” imposto da Musharraf e rotto ogni colloquio con lui chiedendo le dimissioni del generale-presidente.
Come noto il Pakistan è la “retrovia strategica” degli Stati Uniti d’America nello scacchiere del subcontinente indiano. La guida militare di Musharraf ha fin qui consentito infatti agli Stati Uniti d’America di Bush di operare con tranquillità nell’aggressione militare all’Afghanistan.
Tuttavia, come di consueto è accaduto e accade nei quattro angoli del mondo, Washington stava ora tentando di ripulire questa alleanza con una giunta militare con una “democratizzazione di facciata”. Trasformando un governo tipo Badoglio o Pinochet in un più presentabile De Gasperi o Aylwin.
In Pakistan tale transizione non potrà però avvenire. La stessa Benazir Bhutto non avrebbe mai potuto metterla in pratica,perché è lo stesso Pakistan a non possedere la forza di rovesciare il suo status di colonia.