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L’armata Brancaleone dei Crociati dello Zio Sam

di Enrico Galoppini - 28/12/2007

 

 

Quel che maggiormente impressiona se si considerano gli attori della campagna islamofoba in atto nei media italiani e, più in generale, “occidentali”, è la loro straordinaria eterogeneità. Difatti, classificandoli secondo le consuete categorie filosofico-politiche ci si trova in un certo imbarazzo perché vi si trova tutto e il contrario di tutto e, quel che è più notevole, famiglie politiche e di pensiero tradizionalmente contrapposte su tutto o quasi.
Si potrebbe quindi ritenere che l’agitazione di un “problema Islam” è per questi soggetti solo un dettaglio, uno dei pochi elementi che per una fortuita coincidenza costoro condividono. Ma tale considerazione astrarrebbe da un’analisi di che cosa è l’Italia oggi, o meglio di quale sia il ceto politico, intellettuale e mediatico che questo paese esprime e a quali sollecitazioni esso risponde nel quadro della geopolitica mondiale inaugurato negli anni Novanta.
Per la valutazione di ogni fenomeno politico, intellettuale e mediatico di una certa rilevanza che si verifica in Italia si parta sempre dal presupposto che l’Italia non è una Nazione libera, sovrana e indipendente. Non lo è da tempo immemore (nel senso che la maggior parte degli italiani – lobotomizzata sin dalla scuola - non ha letteralmente “memoria” di quel che è successo sessant’anni fa), e progressivamente, fino allo ‘spettacolo’ di “Mani Pulite” che ha fatto fuori anche le ultime figure di statisti degni di questo nome, è avvenuta una progressiva fagocitazione degli ultimi elementi – anche culturali - che connotano la libertà, la sovranità e l’indipendenza di un Paese. Di lì in poi, l’Italia, ridotta alla metternichiana “espressione geografica”, ha sfornato un ceto politico di nessuno spessore, col contorno dell’immancabile pletora di “intellettuali” organici ed “opinionisti” tuttologi dai cui ranghi sono stati epurati tutti quelli che – per la verità non molti anche prima – non erano disposti ad adeguarsi al ruolo di “fabbricanti di consenso” nell’ambito nuova puntata della partita tra Stati Uniti e Russia, che vede l’Italia privata di quella posizione privilegiata di confine goduta sino alla caduta del Muro di Berlino. Di lì in poi, non essendo più l’anticomunismo il motivo guida della propaganda atlantica, è avvenuto un repentino riciclaggio di molti “intellettuali” ed “opinionisti” (oltre che il prorompere sulla scena di nuovi personaggi prodotti dai summenzionati sessant’anni di “smemoratezza”) su posizioni che, in un modo o nell’altro, confluiscono nella creazione di uno stato d’animo per cui l’Islam (sia come fede che come civiltà), gli arabi ed i musulmani devono essere percepiti come un “problema”, o “il problema dei problemi”. Il perché è semplice. L’anticomunismo poteva avere un senso fintantoché sussisteva una grande potenza “comunista” (ma non ce l’aveva, poiché gli Stati Uniti hanno imbastito una messa in scena colossale per coinvolgere individui altrimenti poco motivati, facendoli sentire “in pericolo”), ma con la Russia che ha dismesso i panni dell’Urss e la Cina che al “comunismo” pare preferire la competizione sui “mercati globali”, c’era bisogno, nel quadro di un rinnovato slancio da parte delle potenze mercantilistiche del mare (Usa e Gran Bretagna, con l’appendice Sionista quale avamposto del cosiddetto “Occidente”) in direzione del controllo dell’Eurasia (imperniata sulla Russia), di una nuova ‘grande narrazione’ utile al ricompattamento dei sudditi dell’Occidente, in primis gli europei, che sostanzialmente non devono capire chi sono per abdicare ad ruolo attivo ed autonomo, imbarcati in un’impresa contraria al loro naturale interesse che la storia, la geografia e lo sviluppo delle civiltà indicano proteso verso la direzione dell’Eurasia e non verso la pseudocultura della Globalizzazione (economica ed antropica) e del Mondialismo (culturale e valoriale).
In questa nuova fase di una grande ‘partita a scacchi’, la fascia di Paesi a maggioranza arabo-musulmana, che in precedenza era soggetta all’influenza dell’uno o dell’altro contendente, è diventata il primo ostacolo da neutralizzare per aggredire in seguito l’obiettivo principale posto al di là di essa. La creazione del “problema islamico” è perciò in funzione di uno scopo preciso: la demonizzazione delle popolazioni che abitano l’area vicino e mediorientale e della loro civiltà allo scopo di destabilizzare tutta una serie di Stati, alcuni dei quali ricchi di risorse energetiche.
Naturalmente, essendo la cosiddetta “opinione pubblica” la sommatoria (e il risultato dell’interazione) di una serie indefinita di “opinioni”, per creare uno stato d’animo funzionale allo scopo gli occidentali hanno differenziato, per così dire, l’offerta propagandistica, per cui si spiega la variegata composizione della schiera di coloro che, in (talvolta feroce) disaccordo su altri punti, compongono il fronte dei Crociati dello Zio Sam. Stabilita per principio la loro buonafede (quand’anche è il caso d’individui strapagati, che non sono pochi), passiamoli in rassegna:

1) Gli americani in pectore ed i campioni del pregiudizio filo-americano, ovvero gli americanisti (gli stessi che tacciano di «antiamericanismo» tutto ciò che detestano, fornendone una caricatura per non affrontarne razionalmente gli argomenti). Possono appartenere sia alla “destra” che alla “sinistra” poiché siamo in presenza di esponenti dei due schieramenti che condividono il monoteismo del “mercato” e il discorso sull’Islam (e tutto il mondo extra-occidentale) portato avanti dai Radicali, ma per il fanatismo che tipicamente contraddistingue il neofita vi si distinguono gli ex sessantottini orfani della “rivoluzione”, oggi coerentemente impegnati nel “liberare la donna” e formare la “società civile” (come se gli uomini e le donne che compongono le società islamiche meritassero rispetto solo nella misura in cui si adeguano ad un modello “democratico”). In questo senso, la Fallaci non s’era bevuta il cervello, individuando nell’Islam una visione del mondo che stabilendo ruoli distinti per maschi e femmine fa risaltare il carattere di dis-ordine della cosiddetta “eguaglianza” postulata dalle femministe (di ogni colore politico) e dai maschi adagiatisi su questa posizione irresponsabilmente di comodo. Tra i fautori di questa posizione si trovano varie gradazioni, sia per la posizione da assumere nei confronti dei Paesi arabo-islamici (ad es. non tutti sono per l’utilizzo dello strumento militare) sia per quella da tenere verso le comunità di musulmani immigrati (la Fallaci, com’è noto, ne predicava l’espulsione, ma altri “amerikani” con la K tipo Veltroni si ergono ad aedi della “società multiculturale”).
2) Con alcuni punti condivisi coi suddetti, troviamo poi i cantori dell’ottimismo new global, gli attivisti della “controinformazione” in rete, delle marce Perugia-Assisi e dei Social Forum (“un altro mondo è possibile”), più gli addetti delle ONG che sostengono le “rivoluzioni arancioni” ed una “esportazione della democrazia” su scala planetaria. Si tratta di sensibilità che non gradiscono l’economicismo e la riduzione del mondo a “mercato”, però sulla “democrazia” e la “società civile” da sviluppare ad ogni latitudine sono d’accordo coi soggetti del punto 1, proponendone però un’attuazione “dal basso”. Un tempo li si sarebbe indicati come “cattocomunisti”, senonché il comunismo non c’è più, ma essendo i loro punti di riferimento ancora di carattere “universalistico” (in parte si tratta di “cattolici di sinistra”) finiscono – anche se non si dichiarano volentieri “americani” - per remare nella stessa direzione, ovvero quella dell’imposizione di un “modello unico” laicista, con la religione ridotta ad orpello di tipo intimistico e “sociale”. Il loro monoteismo è quello dei “diritti umani” (ecco perché sono per i “diritti dei gay” ecc.).
Contrari alla guerra fintantoché questa viene preparata e minacciata, una volta che c’è si dissolvono come nebbia al sole, poiché a quel punto il “né né” non ha più senso. Poco male: presto verrà imposto dagli aggressori un governo fantoccio, nella cui critica potranno continuare a ‘distinguersi’; ma l’unica cosa che non faranno mai è la difesa del legittimo governo, “laico” (l’Iraq ba‘thista) o “islamico” (Hamas) che sia.
3) Come ulteriore determinazione del punto 1 abbiamo poi i “liberali” alla Pera e alla Ferrara che declinano il Cristianesimo in senso identitario. A questi ‘convertiti’ dell’ultim’ora, della fede non interessa minimamente, ma se si tratta di dare addosso all’Islam prendono ad oracolo il Papa, le alte gerarchie vaticane, le quali non trovano alcun imbarazzo nel fatto che questi loro nuovi seguaci dimostrino nella loro vita concreta un totale disinteresse per i “valori cristiani” e, in qualche caso, esibiscano il loro ateismo. Questi ambienti, che imbarcano anche transfughi della ‘diaspora’ socialista e comunista (dirsi “liberali” fa molto chic), non vedono di buon occhio i soggetti del punto 2 (“anime belle”), poiché per essi il metodo più adeguato per risolvere il “problema” resta quello militare (magari preceduto dalle “sanzioni”). Tuttavia, gli uni belando “né Bush né Saddam”, “né Sharon né Hamas” e via cerchiobottando, gli altri invocando la destituzione dell’Hitler di turno, svolgono due azioni che si completano a vicenda, poiché i primi gestiscono parte del malcontento che inevitabilmente una guerra ingenera, gli altri danno libero sfogo alle pulsioni “piccolo borghesi” di un nazionalismo da pezzenti che inalbera il tricolore sulle basi delle truppe coloniali italiane al seguito degli angloamericani. Va anche rilevato che questi “liberali”, grazie al lavorio di think tank della Curia, raccontano una Storia romanzata dei rapporti tra l’Europa e il mondo arabo-musulmano caratterizzata solo da alcuni ‘momenti clou’ (Lepanto, ad esempio, o gli assedi di Vienna), con buona pace di tutto il resto.
Per essi vale l’epiteto di “cristianisti”, che mentre perorano la menzione delle “radici giudaico-cristiane dell’Europa” (mai di quelle greco-romane!) nel preambolo della Costituzione dell’UE, vedono ovunque (tranne che in Palestina…) “cristiani perseguitati (dai musulmani)”, puntando perciò ad escludere l’Islam dall’immaginario europeo, rendendolo “alieno” e quindi pericoloso.
4) A questo punto non può non essere menzionato il Vaticano, che non può non controllare l’opera dei suddetti ‘pensatoi’ che si definiscono “cattolici”; alcuni, apparentemente in maniera contraddittoria, veicolano un’immagine positiva della multiforme religiosità americana, delle sue forme d’aggregazione e dei rapporti che queste instaurano con lo Stato: pare che anche da queste parti il monoteismo del “mercato” abbia fatto digerire la presenza delle “sette” e del “supermercato delle religioni”…
Ma ben più grave è stato l’esempio di Papa Wojtyla, che prima “condannò” la guerra all’Iraq, poi ricevette Bush che gli conferì la massima onorificenza della Casa Bianca (come al Dalai Lama…), mentre il successore Benedetto XVI va proclamando la necessità di diffondere nel mondo i “diritti umani”, quando a rigor di logica i “diritti umani” non sono esattamente i “diritti” che una fede in Dio dovrebbe postulare e difendere. Ecco che si delinea una “ideologia occidentale” che in altra sede avevo definito un “intruglio progressista mal digerito di religione cristiana, liberismo economico e diritti umani, con vari religiosi fattisi paladini di questi ultimi e un numero non meno considerevole di laici ex tutto improvvisamente scopertisi cattolici ferventi” (Aspetti in ombra della legge sociale dell’Islam - recensione dell’omonimo libro di G. Cantoni, “La Porta d’Oriente”, n. 5, agosto 2001, pp. 133-138). Ma avevo dimenticato una cosa: il Sionismo e l’Olocausto, che ogni buon “occidentale” deve idolatrare (ed anche ogni “musulmano moderato”: da un paio d’anni cercano di far passare in Egitto la “Giornata della memoria”). In questo senso, l’esempio è stato dato dai Pontefici, genuflessi verso i “fratelli maggiori” della Lobby impegnata nella Crociata dello Zio Sam.
All’interno del mondo cattolico più intransigente, esistono poi alcuni ambienti “tradizionalisti” parimenti avversi all’Ebraismo (e al Sionismo) e all’Islam, in nome della “vera religione”; è questa una posizione che almeno ha una sua coerenza, che non esclude una critica delle guerre condotte dagli angloamericani (visti come portatori di una civiltà “atea”) in giro per il mondo islamico, tuttavia solo una parte di questo settore evita di prendere parte alla Crociata dello Zio Sam (è la differenza che intercorre tra la San Pio X (che pubblica “Sodalitium”) ed Alleanza Cattolica, con la seconda soltanto che fornisce ‘truppe intellettuali’ alla “destra” filo-sionista e amerikana).
5) Abbiamo poi una presenza trasversale, quella dei giudeofili e giudeolatri (di comodo e/o convinti) che difendendo l’Entità Sionista ne esaltano la funzione di avamposto della “Civiltà” (“giudeo-cristiana occidentale”) in mezzo alla “barbarie” (“islamica orientale”), anche se non tutti hanno il coraggio di ammetterlo. Sensibilità di questo tipo sono ravvisabili un po’ dappertutto, da un’amerikano Guzzanti che compone ‘odi alla guerra’ alla vista dei corpi straziati dei bambini libanesi fino a chi, individuando nel cosiddetto Stato d’Israele la giusta compensazione dell’“Olocausto”, ritiene che sebbene in mezzo a numerosi “errori” e “atti di forza” ingiustificati, esso abbia diritto alla propria “sicurezza”: il “diritto di esistere di Israele” è così un modo indiretto per dichiarare la propria appartenenza allo schieramento anti-islamico, poiché una volta assunta questa posizione non si può non “condannare” Hamas (vincitore di “elezioni democratiche”!) per tutto quel che fa e “prendere le distanze” da Ahmadinejad, “negatore dell’Olocausto”. Ecco perché tra questi soggetti si annoverano i professionisti della “amicizia per la Palestina” e dei “due Stati per due popoli”, che vorrebbero una Palestina “laica” e non “islamica” a fianco di un “Israele” chissà per quale miracolo diventato pacifico e desideroso di convivere coi vicini arabo-musulmani.
6) Una presenza pittoresca nel variegato quadro di coloro che in Italia agitano il “pericolo islamico” è quella dei “neofascisti” (o “postfascisti” o comunque inscenanti la caricatura del Fascismo secondo il ruolo ad essi riservato dall’antifascismo). Questi soggetti detestati visceralmente da quelli del punto 2 (e viceversa), ma anche dalla componente “di sinistra” dei punti 1 e 5, sono particolarmente sensibili al tema delle “nostre radici” e della “nostra identità”, etnica e/o religiosa, quindi si trovano in parziale sintonia con i soggetti del punto 3 in quanto sostenitori delle “radici cristiane dell’Europa” in senso identitario, ma non nella loro giudeofilia, poiché in un Alemanno che va in vacanza nei kibbutz e nei fautori delle “piccole patrie” alla Borghezio che da islamofili diventano islamofobi, da una parte, e nei seguaci di Forza Nuova ed affini, dall’altra, esiste una comune avversione all’Islam ma non una posizione unitaria verso “Israele”. Tutti questi ambienti, radicalmente ostili all’immigrazione di musulmani ed innamorati delle “identità” purché siano concepite come mummificate, si distinguono per manifestazioni d’un’islamofobia grottesca ma, in un certo senso, meno insidiosa di quella dei “cristianisti”: il “Corriere” fa certo più danni della “Padania”. Tra l’altro, questi ambienti equivoci forniscono l’ennesima caricatura del Fascismo, che non era affatto islamofobo, ma aveva a cuore la sovranità, l’indipendenza e la libertà dell’Italia da ingerenze straniere ed avrebbe come minimo mandato al confino dei ridicoli Crociati dello Zio Sam da piccolo cabotaggio elettorale di una Repubblica delle Banane!
7) Infine, per correttezza, vanno citati anche alcuni musulmani. In questo ambito si distinguono quelli che volontariamente lavorano per la creazione del “nemico islamico” e quelli che lo fanno involontariamente. Tra i primi si annoverano i cosiddetti “musulbuoni”, cioè quei musulmani da salotto che solleticati nella loro smania di protagonismo vengono portati in giro (in specie dai soggetti del punto 3) come un fenomeno da circo per dimostrare che anche l’Islam produce “liberali”, “musulmani laici”, quindi individui “rispettabili”. Una volta assunto questo ruolo da testimonial dell’Islam “come dovrebbe essere”, i vari Magdi Allam si scatenano in una vera caccia all’untore che impone ad ogni musulmano di non avere più idee su tutto ciò che lo circonda, pena la messa alla gogna come “integralista” e “pericolo per la società” (l’azione del giornalista egiziano si concentra soprattutto sugli immigrati musulmani e le associazioni islamiche in Italia, ma in pratica non si salva nessuno, compresi alcuni docenti universitari poco allineati con l’Occidente e, in particolare, “Israele”). Un’azione che involontariamente va comunque nella stessa direzione è quella degli “islamisti” duri e puri che, tra i musulmani immigrati, si fanno portabandiera dei movimenti dell’Islam più politicizzato aventi però – chissà perché… - base a Londra e che, ipermediatizzati da un sistema informativo totalmente subordinato agli interessi atlantici, inscenano alla perfezione lo “scontro di civiltà”. Per tali individui, che vanno dall’Imam di Carmagnola al macellaio di Porta Palazzo (tanto ingenui quanto narcisisti) andrebbe coniata la definizione di “Saraceni dello Zio Sam”. Il quadro analitico appena esposto si presta ad ulteriori considerazioni ed approfondimenti, ma quello che qui interessava era far comprendere che nell’agitazione del “problema islamico” si adopera una congerie di ambienti politici, mediatici, culturali e religiosi nient’affatto coordinati, tanto che non è infrequente trovarli in contrasto su altri argomenti (si pensi ai Radicali e alla Curia). Eppure, la creazione del problema “islamico” risponde ad un’esigenza della propaganda atlantica, che dopo il successo del “pericolo comunista” (negli Stati Uniti garantiva ondate di epurazioni, mentre all’estero giustificava tutto, dai governi democristiani in Italia al colpo di Stato in Cile con relativo bagno di sangue) arruola il Partito Americano, questo vero e proprio cancro della Nazione, in una nuova scellerata impresa nella quale gli italiani (e gli europei) svolgono la consueta parte da comparse di un film già visto, il cui finale, però, non è scontato, poiché dall’esito della partita per il controllo dell’Eurasia dipenderanno la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare degli italiani, degli europei e di tutti i popoli del mondo.