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Perché ho intercettato Prodi e Mastella

di Gian Marco Chiocci - 28/12/2007

Le schede telefoniche intestate ad altri, i colloqui fra indagati, lo studio dei tabulati...

Il consulente di De Magistris spiega come hanno fatto due big della politica a entrare nell’inchiesta

Adesso vi spiego come sono

emerse le utenze telefoniche

di Romano

Prodi, Clemente Mastella e di

altri personaggi della politica,

finiti nell’inchiesta sui fondi

Ue. Sono stanco di leggere falsità

sul mio conto e sul mio lavoro

». Rompe gli indugi Gioacchino

Genchi, consulente

tecnico di numerosi uffici giudiziari

e del pm di Catanzaro

Luigi De Magistris nell’inchiesta

Why not (poi avocata dalla

procura generale) che tanti

grattacapi ha dato al governo,

al presidente del Consiglio e soprattutto

al guardasigilli.

Togliamoci subito il pensiero:

ha intercettato oppure no il

presidente del Consiglio?

No, in vita mia non ho mai

intercettato nessuno. È vero,

invece, che lavorando sui tracciati

telefonici di soggetti

coinvolti nell’inchiesta Why

not sono finito sul telefonino

del premier. La sua utenza si

rapportava con altri indagati.

La sim card non era intestata

a Prodi, che all’epoca dei fatti

non era nemmeno parlamentare.

Quella scheda, come

altre, era intestata a una società

di telecomunicazioni, che

l’aveva girata all’ex presidente

della Commissione europea

e al suo staff. Poi si è scoperto

che quel telefonino lo utilizzava

il premier, anche quando

aveva assunto lo status di deputato.

Le acquisizioni dei tabulati

si fanno per accertare le

circostanze che non si conoscono

e nessuno di noi è un

oracolo. Lo stesso è accaduto

per il cellulare di Mastella, che

non era nemmeno intestato a

lui. Quando ne furono acquisiti

i tabulati, non si conosceva

neppure l’intestazione all’ente

che aveva attivato la

scheda. Se per ogni utenza, nel

sospetto che possa essere stata

utilizzata da un parlamentare,

si chiedesse l’autorizzazione

alle Camere, si bloccherebbero

di fatto le indagini e l’attività

legislativa.

Il semplice incrocio di alcune

telefonate non significa necessariamente

che è stato

commesso un reato.

È ovvio. Io non l’ho mai ipotizzato.

Per di più, in tutte le

mie relazioni, quasi fino alla

noia, quando mi sono accorto

che dietro un’utenza c’era un

deputato o un senatore, ho segnalato

al pm la necessità di

chiedere l’autorizzazione al

Parlamento. Questo ho scritto

allo stesso modo per Prodi e

per Mastella. Per il ministro

della Giustizia, addirittura, si

trattava di contatti telefonici

indiretti e la pronuncia della

Corte costituzionale, che è intervenuta

dopo il deposito delle

mie relazioni, ha pure sancito

che non ce ne sarebbe stato

nemmeno bisogno.

Del ministro della Giustizia,

però, esistono più intercettazioni...

Il ministro Mastella è stato

intercettato incidentalmente

mentre parlava con Antonio

Saladino, il principale indagato

del presunto comitato d’affari

sul quale si è concentrata

l’attenzione di De Magistris.

L’intercettato era Saladino,

non il guardasigilli. E anche

qui vale il ragionamento fatto

prima per Prodi: se Mastella

entra nell’inchiesta, è solo perché

intrattiene rapporti con

l’indagato. Queste frequentazioni

sarebbe stato utile chiarirle,

soprattutto nell’interesse

del ministro, approfondendo il

tutto, anziché inviare a De Magistris

gli ispettori e togliergli

il fascicolo nel momento clou

dell’inchiesta. Io, come tanti,

mi chiedo: chissà cosa sarebbe

successo se fosse stato intercettato

Silvio Berlusconi e se l’allora

ministro Roberto Castelli,

intercettato pure lui, avesse

mandato gli ispettori per togliere

l’inchiesta al pm che indagava

su di loro. Ecco, è questa

giustizia a due marce che

non mi piace.

Mastella l'ha definita un

«mascalzone». Altri esponenti

politici, di centrodestra

e di centrosinistra, ipotizzano

che lei custodisca archivi

con milioni di dati delicati.

Io non ho mai posseduto alcun

superarchivio. Lavoro

esclusivamente sui dati e sugli

atti processuali che mi girano

le procure, incrocio i risultati

e traggo delle conclusioni che

poi metto nero su bianco. Né

più né meno di quello che fanno

legittimamente i consulenti

della difesa e gli avvocati,

con i miei stessi dati e con gli

interi carteggi dei processi.

Questo procedimento va bene

per far condannare all’ergastolo

i mafiosi, per catturare i latitanti

e i trafficanti di droga.

Non va bene se spuntano nomi

di politici o di ministri.

Quanto a Mastella, doveva essere

più cauto prima di definirmi

un mascalzone, ipotizzando

che sia stato io a divulgare

determinati atti che lo riguardavano,

quando ci sono le

prove che sono stati altri, molto

vicini alla difesa di indagati,

che avevano ricevuto la copia

di quella relazione dal tribunale

del riesame.

Secondo i suoi detrattori, lei

dovrebbe solo tradurre i dati,

non interpretarli.

Io lavoro sulle carte, incrocio

i dati e con questo aiuto i

magistrati, a cui offro un quadro

d’insieme, poi sono loro

che mettono la firma in calce

ai provvedimenti, fondati anche,

e non solo, sulle risultanze

dell’indagine informatica.

Pensare che io non debba fare

deduzione sui dati analizzati

sarebbe come chiedere a un

medico legale che ha eseguito

un’autopsia di riversare sul tavolo

del magistrato gli organi

prelevati dal cadavere, senza alcuna

considerazione sulle cause

della morte.

Dica la verità: quante persone

sono state intercettate in

Why not? Quanti politici?

Non posso risponderle, visto

che sono ancora vincolato

al segreto. Posso solo dire, e

sono sicuro di non sbagliarmi,

che, nella storia giudiziaria

italiana, si tratta dell’indagine

che in assoluto può vantare

il record del minor numero

di intercettazioni. Aggiungo

che le uniche intercettazioni

disponibili non le aveva

nemmeno disposte De Magistris.

Capite, adesso, cosa è

stato fatto credere per mesi

agli italiani, pur di bloccare

quelle indagini?

Vada per le intercettazioni,

ma nelle inchieste di De Magistris

avete acquisito centinaia

di tabulati telefonici.

Premesso che io mi limito

solo a eseguire i

provvedimenti, posso

garantire che non è così.

Anche qui si gioca

con i numeri e con i nomi.

Le acquisizioni sono

state disposte dal

pm con assoluta ocula-

tezza, tenuto conto delle fondamentali

esigenze di riscontro.

Non farlo e considerare

per buone le accuse che venivano

mosse, anche nei confronti

di politici e uomini

delle istituzioni, ritengo sarebbe

stata la cosa più grave.

Quanto, poi, alle utenze dei

parlamentari, ribadisco che

da un numero non si può stabilire

in nessun modo che

l’utenza è utilizzata dal parlamentare,

specie quando

questa è intestata a enti, società

o persone diverse. L’assurdo

è poi che se un parlamentare

si intrattiene a conversare

con un indagato, l’indagato

e il parlamentare diventano

le vittime e i mascalzoni

sono il pubblico ministero

e il consulente. Questo

non è giusto, non foss’altro

per il rispetto che è dovuto a

quanti, grazie ai tabulati e alle

intercettazioni, stanno

scontando anni di carcere,

senza che a loro favore si siano

mossi politici e ministri

gridando allo scandalo.