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Il grande gioco riparte da Islamabad

di Alessandro Lattanzio - 31/12/2007

Fonte: aurora

 



L'eliminazione di Benazir Bhutto non è una covert operation, a mio parere, attuata dagli anglosionstatunitensi. Tutt'altro.
Come si evince dallo straordinario starnazzamento dei necon, statunitensi o nostrani, la Bhutto era l'unica carta rimasta alle centrali metropolitane atlantiste. Londra e Washington avevano puntato tutto su di lei. Sarebbe stato da suicidi eliminare la propria pedina, l'unica esistente tra Bangkok e Baghdad (il Dalai Lama non vale niente da quelle parti, semmai presso i club d'alto bordo del jetset occidentale.)
In realtà, Benazir Bhutto ha fatto la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro.

Il 'vaso di coccio', proprio perché tale, si era affidata alle cure dei servizi atlantisti e sionisti. Probabilmente lo spostamento di truppe speciali statunitensi (e credo non solo USA), era correlato alla campagna elettorale organizzata dal partito della Bhutto. Insomma, è probabile che in vista delle elezioni dell'otto gennaio, Washington, Londra, Tel Aviv e il clan Bhutto, avessero preparato una 'rivoluzione colorata'; da inscenare nella probabile sconfitta elettorale.
Le masse del Partito del Popolo del Pakistan, cioè i clientes del Clan Bhutto, avrebbero costituito la massa di manovra e l’innesco della rivolta pilotata. E la presenza dei militari delle SOF (Special Operation Forces) USA, avrebbe garantito la protezione dei vertici dell’operazione, e la possibilità di una buona riuscita della stessa.
Non si può dimostrare una cosa del genere, almeno prima che accada, ma è consigliabile fare congetture; non si rischia di cadere nella confusione o nelle trappole mediatiche (come dimostra il ruolo dei mass media in Italia).
Vediamo ora i ‘vasi di ferro’.

Il primo, senza dubbio, è il Generale Perwez Musharraf. Ora egli viene indicato come fantoccio degli USA, posto a capo della ‘colonia’ degli states, chiamata Pakistan.

Bene. Male. Proprio questo attentato, dimostra che il Pakistan è tutt’altro che una colonia yankee. Come lo dimostra anche il fatto che Washington abbia elargito miliardi di dollari, praticamente a fondo perduto, per far combattere ai pakistani una guerra che non vogliono combattere e che, soprattutto, non combattono. L’operazione di marketing sulla Bhutto, aveva anche lo scopo di prendere il controllo dei vertici militari, eliminare ed emarginare i componenti dell’intelligence ‘inaffidabili’ per l’asse atlanista-sionista, smantellare l’unico arsenale nucleare islamico esistente. Ma, e qui risiede, probabilmente, la chiave dell’attentato, il vero obiettivo dell’operazione pakistana, era quello di incunearsi tra le potenze continentali eurasiatiche (Russia, Cina, India). La solita storia. Inoltre, un eventuale ‘governo Bhutto’, avrebbe ripreso quella campagna antiraniana, attuata da un fantomatico ‘Fronte per la Liberazione del Baluchistan’ che operava dal territorio del Baluchistan pakistano. Tale campagna terroristica, attuata con l’appoggio dell’intelligence e delle forze speciali USA (vedi appunto sopra), aveva prodotto diverse decine di vittime tra gli iraniani.
Musharraf, a quanto pare, negli ultimi tempi ha bloccato tale operazione, Difatti, diversi membri della guerriglia baluchi, avevano ricominciato a sparare anche sui soldati e i poliziotti pakistani. Al solito, il comportamento del Pentagono, di Langley e di Tel Aviv, avevano riacutizzato una tensione interna, interetnica, che in precedenza si era attenuata.
Questa era una spina nel fianco che il ‘vaso di ferro’ non poteva accettare. Già bastava e avanzava la ‘Guerra al Terrorismo’, condotta nel Waziristan e nei Territori del NordOvest, che l’amministrazione Cheney aveva imposto ad Islamabad.
Tale guerra interna, condotta anche contro i territori pasthun dell’Afganistan, che i vertici militar-strategici pakistani ritengono appartenere alla Repubblica di Islamabad, ha provocato risentimenti e aspra ostilità verso Washington e i suoi alleati locali. E qui entra il secondo ‘vaso di ferro’, ovvero la corrente pan-islamica (o meglio, panPakistana) delle forze armate e della comunità dell’intelligence (ISI) pakistane. Tali forze possiedono una loro strategia e una loro condotta operativa di lungo periodo.
E, soprattutto, hanno due potenti alleati. I Taliban, in Afghanistan, loro creature, e la Repubblica Popolare Cinese, con cui sono in rapporti strettissimi, almeno dal 1962, dal tempo della Guerra Himalayana tra India e Cina Popolare.
E qui entra, come si è accennato, la chiave dell’attentato. Tale chiave si chiama ‘Oleogasdotto dell’Amicizia’. Il favoloso progetto di trasportare energia dai giacimenti di gas e di petrolio iraniani, e alimentare i motori economici globali cinese e indiano (la famosa Cindia). Oleogasdotto, vena giugulare vera e propria dell’economia eurasiatica, che deve passare per il territorio del Pakistan. Insomma, un grandioso progetto con cui quattro importanti capitali eurasiatiche, avrebbe instaurato e garantito l’indipendenza energetica. Un obiettivo strategico di lungo periodo. Una vera e propria ‘arma assoluta’, puntata verso il traballante (e perciò pericoloso) dominio mondiale statunitense. Uno scudo ben più efficace dello scudo antimissile vaneggiato, da oltre un quarto di secolo, da Washington.

Con tale pipeline, Beijing e New Delhi blinderanno il loro predominio economico-produttivo, che volge verso il dominio nel campo bancario-finanziario (Si pensi all’interventismo cinese in Africa). Mentre Tehran e Islambad potranno dedicare maggiori risorse allo sviluppo delle proprie economie (La centrale di Bushehr e il porto-centro siderurgico di Gwadar). Ora si pensi, cosa sarebbe accaduto a questo programma di integrazione energetica continentale, se un governo amico dell’occidente si fosse installato ad Islamabad? Esso sarebbe stato ostacolato, sabotato o perfino bloccato. Probabilmente. La corrente islamista-militarista dell’ISI, perciò, se ha agito, lo ha fatto su mandato preciso: e cioè i vertici politico-economici-strategici pakistani con, quantomeno, l’assenso cinese, indiano e iraniano. In effetti si può ritenere che l’eliminazione di Benazir Bhutto, sia una operazione di ‘attacco preventivo’, tanto strombazzato e applicato, malamente, dagli USA e soci. Ma questa volta volto contro l’impero statunitense; a ulteriore dimostrazione del suo declino.

Il terzo ‘vaso di ferro’, è senza dubbio Nawaz Sharif, l’altro grande oppositore di Musharraf. Ma al contrario della Bhutto, che era espressione della borghesia compradora, legata strettamente al capitale anglostatunitense, Sharif rappresenta la borghesia imprenditoriale e nazionalista del Pakistan. Lo dimostra, tra l’altro la grande amicizia che lo lega al padre della bomba atomica pakistana, Abdul Qadeer Khan. L’uomo fatto arrestare da Musharraf, su pressione degli USA, che l’accusavano di aver diffuso la conoscenza della tecnologia nucleare presso parecchi paesi del Terzo Mondo. Ma Musharraf, patriota, ha poi subito concesso il perdono allo scienziato atomico.
Comunque, Sharif ha stretti legami non solo con la borghesia pakistana, ma anche con fazioni del vertice politico-militare e della comunità d’intelligence di Islamabad. Non è un caso che, al contrario della Bhutto, Sharif abbia contrattato il rientro in patria, garantendosi una rete di protezione contro ‘spiacevoli sorprese’. Mentre la Bhutto è stata gettata allo sbaraglio dai centri d’interesse anglosionstatuntensi, che vedendo sparire la loro influenza nell’Asia meridionale, e nel blocco continentale eurasiatico i generale, cercano di abbozzare, in modi sempre più raffazzonati, una risposta qualsiasi all’avanzata dei giganti dell’Asia. Senza badare più al prezzo che potrebbe costare alle loro pedine.

Avevo scritto, all’inizio di quest’anno, che il 2007 sarebbe stato un anno di mutamenti strategici; l’assassinio della Bhutto conferma questa previsione. Il 2008 sarà un anno di svolta degli equilibri mondiali? Tutto lo fa credere.

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