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Il punto è per Euclide qualcosa di esteso o di inesteso?

di Francesco Lamendola - 31/12/2007

 

 

 

 

Che cos'è, esattamente, il punto, questo ente matematico che sta alla base di tutta la geometria ma il cui concetto, solitamente, adoperiamo senza troppo darci la pena di riflettervi?

Sui banchi di scuola ci hanno insegnato che una linea (ad es., una retta) è un insieme infinito di punti; e che, mediante le linee, è possibile definire il piano come una superficie illimitata, su cui giacciono infinite linee e infiniti punti; e così via, una definizione dopo l'altra, fino ai solidi più complessi.

Il punto, dunque, è l'elemento fondamentale della geometria, senza il quale non si darebbero né linee, né piani, né volumi. Eppure, questo elemento fondamentale poggia su delle definizioni tutt'altro che univoche e rigorose e che, in genere, fanno appello più alla geometria intuitiva che a quella razionale.

Questo, però, è un autentico paradosso. Infatti la geometria intuitiva si basa sulla percezione di enti e figure geometrici di cui è possibile immaginare il corrispettivo empirico, percepibile mediante i sensi; ma il punto non rientra in questo genere di enti. Certo, possiamo indicarlo convenzionalmente su un foglio di carta, mediante una matita dalla punta molto sottile; ma sappiamo bene che si tratta, precisamente, di un segno convenzionale, che sta per qualche cosa d'altro. Allude, cioè, a un qualche cosa che non esiste in natura e non è riproducibile empiricamente, neppure se disponessimo della tecnologia più sofisticata. Insomma è un ente puramente razionale: e un ente razionale non può essere definito mediante il linguaggio intuitivo.

Se prendiamo a caso alcuni manuali di geometria, faremo una scoperta abbastanza sconcertante: la definizione di punto è soggetta a notevoli oscillazioni, quando non viene elusa addirittura.

Per Alfonso Valentini e Giovanni Bergna,

 

"il punto è l'elemento che separa due parti contigue di una stessa linea";

e si aggiunge che "I punti non sono costituiti da materia, sono privi di estensione perciò, come le superfici e le linee, sono enti ideali che si possono solo immaginare." (1)

 

L.Beani e C. Melli Mostardini, per dare l'idea del punto, ricorrono a una similitudine, dopo di che ne danno una diversa definizione.

 

"Per staccare da un rotolo di filo di ferro molto sottile una parte di esso, tagliamo con le forbici la parte che ci occorre ed otteniamo così un pezzo di filo limitato; ogni estremo del filo prende il nome di punto; cioè

" il punto è ciò che limita una linea.

"Un granello di polvere o di sabbia, la punta acuta di un compasso, ci danno l'idea del punto.

"L'immagine di un punto si ottiene poggiando leggermente la punta  di una matita o di una penna sopra un foglio di carta, oppure la punta di un gessetto sulla lavagna, ma sia le immagini così ottenute, sia i granelli di polvere o di sabbia, non sono che rappresentazioni materiali del punto; mentre

"il punto geometrico non ha dimensioni." (2)

 

Se, poi, passiamo dai manuali per la scuola media a un testo scolastico per il liceo scientifico, come quello - ottimo - di L. Cateni e R. Fortini, faremo una scoperta inattesa: la conclamata impossibilità di definire il punto.

 

"Lo studio della geometria razionale parte dai concetti primitivi  di punto, retta e piano.

"Il punto, la retta e il piano non si definiscono.

"In ogni scienza esistono dei concetti che si debbono supporre noti a priori e che, pertanto, non vengono definiti attraverso altre parole o altri concetti di quella determinata scienza. Come abbiamo già accennato, la mancanza di definizione non è dovuta al fatto che i concetti in esame  sono così comuni e semplici da non aver bisogno di essere definiti, ma per una vera e propria impossibilità a definirli." (3)

 

Decisi a non arrenderci, proviamo a consultare un altro testo per le scuole superiori, scegliendolo - questa volta - fra i più recenti. Visto che il sapere scientifico è in rapidissimo progresso, chissà che questa volta non siamo più fortunati. Ma restiamo subito delusi: la definizione è ancora più avara e ancora più frettolosa di quelle incontrate all'inizio.

Leggiamo infatti, sul grosso testo di matematica in due volumi di Rinaldo Cigna e Marina Devalle, semplicemente che

 

"Punto, retta e piano sono concetti primitivi.

"Lo spazio è l'insieme di tutti i punti e viene indicato  con una lettera greca maiuscola, per esempio Σ (sigma).

"Il punto è un ente geometrico , non ha dimensioni ed è indicato generalmente  con una lettera stampatella maiuscola: A

"La retta è un insieme di punti che si estende all'infinito, ecc." (4)

 

Insomma gli autori di manuali di geometria ondeggiano fra la tentazione di fornire una definizione intuitiva del concetto di punto e la consapevolezza di una sua impossibilità, trattandosi di un concetto primitivo e non derivato. In un certo senso, è come se si dicesse: queste sono le fondamenta della casa, e le fondamenta non hanno fondamenta; altrimenti si cadrebbe in una tipica regressio ad infinitum.

Ma Euclide, il padre della geometria che noi oggi studiamo a scuola e della quale, principalmente, ci serviamo, che cosa pensava del punto? Ha tentato di darne una definizione?

Com'è noto, per il matematico greco: Σημεΐόν έστιν, ού μέρος ούθέν, ossia:  il punto è ciò che non ha parti

Possiamo considerare questa affermazione come una vera e propria definizione?

Secondo l'insigne storico della matematica Carl B. Boyer, no. O meglio: Euclide ha tentato di darla, ma in effetti non l'ha data.

 

"Gli Elementi sono suddivisi in tredici libri o capitoli, dei quali i primi sei riguardano la geometria piana elementare, i tre successivi la teoria dei numeri, il Libro X gli incommensurabili, e gli ultimi tre soprattutto la geometria solida. Non c'è nessuna introduzione o preambolo all'opera; il Libro I inizia bruscamente con un elenco di ventitré definizioni. La debolezza di questa parte sta nel fatto che alcune definizioni non definiscono nulla; infatti non c'è nessun elenco preliminare di elementi indefiniti, in termini dei quali si debbano definire gli altri elementi. Così dire, come fa Euclide, che «un punto è ciò che non ha parti», o che «una linea è una lunghezza senza larghezza», o che «una superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza», non significa minimamente definire tali entità, giacché una definizione deve essere espressa in termini di concetti che vengono prima e che sono più noti delle cose definite." (5)

 

Possiamo domandarci, allora, quali siano state le fonti, quali gli autori ai quali Euclide si è ispirato, allorché ha "definito" il punto ciò che non ha parti; e scopriremo rapidamente che essi sono Platone e Aristotele.

Senonché, Platone e Aristotele non avevano la medesima idea di cosa sia un punto; e il tentativo di definizione formulato da Euclide tradisce il suo sforzo di arrivare a un compromesso, che tenesse conto delle idee di entrambi i filosofi.

Platone, in effetti, non ha mai affrontato in modo specifico la definizione di punto. Tuttavia ha dedicato un intero dialogo, il Parmenide, al problema dell'unità, affermando tra l'altro:

 

"[L'uno]  non sarà identico né ad altro, né a sé steso, e d'altro canto, non sarà neppure diverso né da sé stesso, né da altro (…) Se fosse diverso da sé stesso, sarebbe diverso dall'uno e non sarebbe più uno. (…) Se fosse identico all'altro, sarebbe quell'altro e non sarebbe più sé stesso; sicché non sarebbe più così come è, cioè uno, ma diverso dall'uno." (6)

 

Nel Sofista, invece, afferma:

 

"Occorre certamente dire, secondo un giusto ragionamento, che sia del tutto indivisibile ciò che è veramente uno." (7)

 

Platone adopera il vocabolo amerés, ossia "privo di parti" (da méros, "parte"); ed Euclide adopera esattamente lo stesso termine. Anche per lui il punto è "ciò che non ha parti".

Aristotele, da parte sua, nella Metafisica, opera una distinzione tra il concetto di punto e quello di unità, affermando che "ciò che è indivisibile secondo la quantità e in quanto quantità, e che è indivisibile i tutte le dimensioni e non ha posizione si chiama unità; invece, ciò che è indivisibile in tutte le dimensioni ma ha una posizione, si chiama punto". E ancora, subito dopo: "ciò che è divisibile secondo una sola dimensione è una linea, mentre ciò che non è quantitativamente divisibile secondo nessuna dimensione è un punto o una unità: se non ha posizione è un'unità, se ha posizione è un punto".

Ma, per comprendere come questo concetto sia espresso all'interno di un ragionamento molto più ampio, che affronta il tema dell'unità e della semplicità da una prospettiva di carattere assai generale, riteniamo opportuno riportarlo per intero.

 

"In generale, tutto ciò che è indivisibile, e in quanto indivisibile, vien detto unità: per esempio, se alcune cose sono indivisibili se considerate come uomo, esse saranno l'unità uomo; se, invece, sono indivisibili se considerate come animale, saranno l'unità animale, e se sono indivisibili se considerate come grandezze, saranno l'unità grandezza.

"Le cose, per la maggior parte, sono dette unità, perché producono o hanno o subiscono o sono in relazione con qualcosa che è uno; in senso originario, invece, costituiscono una unità quelle cose la cui sostanza è una, e una o per continuità o per specie o per nozione.

"In effetti, consideriamo come molte quelle cose che o non sono continue o la cui specie non è una o la cui nozione non è una. Inoltre, sotto un certo profilo, diciamo che una qualunque cosa è una, se è una quantità o un continuo; invece, sotto un altro profilo, non diciamo che è una se non è un tutto, cioè se non è fornita di una forma unica: per esempio, vedendo le parti di una calzatura che giacciono insieme in un qualche modo, non diciamo che costituiscono una novità - a meno che non si intenda per pura continuità -, ma diciamo che sono un'unità solo se sono unite in modo da costituire una calzatura e se già posseggono una forma determinata e unica. Per questa ragione, fra le linee, quella circolare è più di tutte una, perché è intera e perfetta.

"L'essenza dell'uno consiste nell'essere un principio numerico: infatti, la misura prima è un principio. In effetti, ciò che è principio della nostra conoscenza per ciascun genere di cose, è misura prima di questo genere di cose. Dunque, l'uno è il principio del conoscibile, per ciascun genere di cose. L'uno, però, non è lo stesso in tutti i generi.

"In un caso è il semitono ,in un altro è la vocale o la consonante; e altro è l'uno nell'ambito dei pesi, e altro ancora nell'ambito dei movimenti. In tutti i casi, però, l'uno è indivisibile o per la quantità oppure per la specie. Orbene, ciò che è indivisibile secondo la quantità e in quanto quantità, e che è indivisibile i tutte le dimensioni e non ha posizione si chiama unità; invece, ciò che è indivisibile in tutte le dimensioni ma ha una posizione, si chiama punto; ciò che è divisibile secondo una sola dimensione si chiama linea, mentre ciò che è divisibile secondo due dimensioni si chiama superficie e, infine, ciò che è divisibile secondo la quantità in tutte e tre le dimensioni si chiama corpo. E, procedendo in senso inverso, ciò che è divisibile secondo due dimensioni è una superficie, ciò che è divisibile secondo una sola dimensione è una linea, mentre ciò che non è quantitativamente divisibile secondo nessuna dimensione è un punto o una unità: se non ha posizione è un'unità, se ha posizione è un punto." (8)

 

In conclusione, pare che Euclide abbia voluto tener conto della posizione di entrambi i filosofi; e, al tempo stesso, che abbia inteso valorizzare la geometria pitagorica, ossia la geometria intuitiva più antica, sulla quale si era poi sviluppata la geometria razionale.

Possiamo, per finire, domandarci se la "definizione" di punto data da Euclide presupponga il concetto di punto esteso, di punto come unità (che risale a Platone e, prima ancora, a Pitagora) oppure quella di punto come ente razionale privo di dimensioni (data da Aristotele).

Le opinioni degli studiosi moderni, su questo aspetto del problema, non sono concordi, anche se sembra prevalere la seconda.

Una pagina esauriente, in proposito, è stata scritta da Attilio Frajese (che peraltro abbraccia la prima), nel suo bellissimo libro Attraverso la storia della matematica, Firenze, Le Monnier Editore, 1973, vol. 3, pp. 91-95:

 

"Tutta la materia degli Elementi è fondata su vari principi che Euclide raccoglie in alcuni enunciati, la maggior parte dei quali è premessa al libro primo.

"Tuttavia l'elenco dei principi esposti negli Elementi non è completo: vi sono infatti ancora alcune presupposizioni implicite, senza dubbio presenti alla mente di Euclide, ma inespresse: presupposizioni che la critica moderna ha espressamente enunciate (per esempio i postulati dell'ordine e quelli della divisione del piano.

"I principi esposti da Euclide si trovano raccolti sotto tre titoli diversi: Termini, postulati, nozioni comuni.

" I Termini sono una specie di definizioni, ma non già intese nel senso moderno della parola.

"La definizione viene dai Greci concepita come reale, ossia come un mezzo per indicare, o per descrivere un oggetto esistente, o a cui si attribuisce l'esistenza (in un mondo di idee, o meglio di quasi-idee, platonico): non come nominale ,ossia come costruzione del nostro pensiero, che esprime concetti pi elevati o complessi per mezzo di concetti più semplici o elementari. Inutile, dunque, cercare nei Termini un senso logico estraneo al concetto logico degli antichi. Si può invece convenire col Simon, che paragona i Termini euclidei  alle indicazioni che il maestro di bottega dà sulla nomenclatura  all'apprendista, dicendogli e mostrandogli:  «Questa è la pialla, questa è la sega». Si tratta dunque di definizioni descrittive:: che cioè descrivono oggetti esistenti.

"Un vero difetto potrà trovarsi allora nel fatto che non viene sempre individuato l'ente cui il Termine si riferisce. Così, per esempio, per la retta che Euclide definisce (Term. 4 )come quella linea che giace ugualmente rispetto ai suoi punti (traduzione più probabile d'un testo greco oscuro e controverso). Se questa definizione si interpreta, come sembra naturale, nel senso che sulla retta non vi sono punti privilegiati, tale proprietà non  esclusiva della retta, ma è condivisa, ad esempio, tra le linee aperte, dall'elica cilindrica, come già faceva osservare Apollonio.

Ma alcune delle principali definizioni euclidee vengono messe sotto la loro vera luce se considerate  come aventi un presupposto storico: così le definizioni di linea come lunghezza senza larghezza e di superficie come ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza esprimono il concetto della razionalità degli enti geometrici, oramai acquisiti dopo la scoperta delle grandezze incommensurabili.

"Similmente si dica della prima definizione, come quella di punto: Punto è di cui parte nessuna (Σημεΐόν έστιν, ού μέρος ούθέν),  ossia: «Nel punto non vi sono parti»,«Punto è ciò che non ha parti».

"Il punto viene cioè considerato come l'atomo, come l'indivisibile. Va osservato, a puro titolo d'informazione, che tutti i commentatori  e tutti gli studiosi concordano su questa traduzione del primo termine euclideo, eccezione fatta per Marziano Capella (secolo V dopo Cristo), il quale traduce: Punctum est cuius  pars nihil est («Punto è ciò la cui parte è niente», vale a dire le parti di cui il punto si compone sono nulla). Tra i moderni, solo qualcuno (ad esempio Max Simon) condivide questa veduta, la quale rispecchia, è vero, la concezione razionale del punto senza dimensioni, ma non sembra accettabile per considerazioni d'altro genere.

"Da dove ha tratto Euclide la sua definizione di punto?

"A quanto ci dice Aristotele, la definizione pitagorica era questa: «Punto è l'unità avente posizione».

"Leggiamo, ad esempio, nella Metafisica, libro V 1.016 b: «L'indivisibile nella quantità si chiama unità se è indivisibile in ogni verso  e non ha posto; ma se è indivisibile  per ogni verso e tuttavia ha un posto si chiama  punto». E poco oltre: «Ciò che quantitativamente  non è divisibile per nessun verso, si dice punto e unità: questa non  ha posto, quello sì» (trad. Carlini, Bari,  Laterza, 1928).

"Del resto, la concezione primitiva della linea come somma di punti bene si ricollega a questa doppia definizione  di unità e di punto, anzi si fonda su di essa. A base della teoria pitagorica c'è proprio il punto-unità, o come suol dirsi più comunemente, il punto-monade (da monàs che significa unità).

"Alla definizione euclidea di punto si riconnette, del resto, quella di unità che troviamo presso Platone: oltre che nel Parmenide (dialogo platonico dedicato proprio all'uno), anche nel Sofista (245 a): «Il veramente uno bisogna dirlo addirittura sena parti» (amerès, da alfa privativo, cioè negativo, e mèros, parte).

"Euclide, dunque, definisce il punto esattamente come Platone definì l'unità, ricorrendo allo stesso termine mèros.

"Si potrebbe criticare la confusione fatta da Euclide tra unità e punto: egli non aggiunse infatti che caratteristica del punto, rispetto all'unità, è quella di avere posizione. Ma già Proclo, nel suo Commento al libro I dell'Euclide, espone questa critica, e la risolve facendo osservare che il punto è, nella materia geometrica, il solo ente che sia indivisibile. La definizione è dunque sufficiente relativamente alla materia geometrica.

"Ma dunque, dal momento che Euclide definisce il punto come corrispondente geometrico non già del nulla, ma dell'unità, che cosa ha inteso egli significare con tale sua prima definizione?

"A noi sembra che, contrariamente alla diffusissima opinione corrente, la prima definizione euclidea, non si riferisca al punto privo di dimensioni, cioè alla concezione razionale degli enti geometrici, ma si riferisca invece alla concezione pitagorica primitiva di punto steso, di punto-unità.

"Euclide, cioè, nell'iniziare la sua opera, avrebbe voluto, quasi a guisa di lapidario ricordo, lasciare una traccia della geometria più antica, la geometria pitagorica primitiva, che precedette la geometria di precisione, all'esposizione della quale l'opera euclidea è dedicata.

""Il punto senza dimensioni viene invece definito, sia pure in modo indiretto, nel Termine 3, del quale ci occuperemo tra poco. Sicché la prima definizione, del punto come ciò che non ha parti, per quanto celeberrima, è del tutto inutile:  potrebbe esser soppressa senza alcun danno  per l'economia generale degli Elementi, non venendo poi mai utilizzata nel seguito dell'opera.

"Occorre a questo punto precisare che l'opera euclidea non si presenta come un vero e proprio trattato, nel quale vengano enunciate e dimostrate proposizioni  che siano fine a se stesse, ma si presenta  come un gigantesco, e ferreamente legato, sistema di lemmi: ossia fornisce soltanto quelle proposizioni (teoremi e problemi) che servono per il seguito, che sono cioè necessarie per proposizioni seguenti, che sulle precedenti si fondano.

"E vedremo appunto che, tutte le volte che troveremo negli Elementi una proposizione che ci appaia inutile per il seguito, ci domanderemo per quale particolare e straordinario motivo Euclide l'abbia inserita nella sua opera.  Per la prima definizione del punto ci potremmo rivolgere proprio la stessa domanda,  e potremmo rispondere che il motivo della sua inserzione all'inizio dell'opera  sia di carattere storico.

"Osserviamo che i tal modo  la celebre definizione euclidea non perde il suo fascino, ma ne acquista anzi uno nuovo, poiché, come s'è detto, in modo lapidario sintetizza  e ricorda le concezioni geometriche pitagoriche più antiche.

"Con la seconda definizione siamo invece in piena concezione razionale degli enti geometrici: la linea viene ivi definita come lunghezza priva di larghezza. E la terza definizione rappresenta una specie di collegamento tra i due enti linea e punto. Essa dice: «Estremi di una linea sono i punti». Si osservi che  i punti non sono linee, ma estremi di linee: non hanno quindi lunghezza,  e, in relazione alla precedente definizione di linea non hanno larghezza (ed evidentemente  non hanno neppure spessore): si tratta dunque dei punti razionalmente concepiti  come privi di ogni dimensione.

"Questa definizione terza, che costituisce in certo senso  la vera definizione del punto, ha per Aristotele  il torto di spiegare che cosa sia il punto per mezzo della linea, ossia ciò che vien prima per mezzo di ciò che (logicamente) vien dopo. Ma lo stesso Aristotele ci fa sapere che Platone «combatteva  questo genere di esseri» (cioè i punti),considerandoli come una finzione, un'ipotesi, un'opinione geometrica. Platone, cioè, preferiva appoggiarsi a un ente meno evanescente, cioè alla linea,  e perciò preferiva chiamare il punto «principio (arché) della linea».

"la terza definizione euclidea appare pertanto come platonica, e l'averla data rivela il tentativo, da parte di Euclide, di conciliare le vedute di Platone e quelle di Aristotele sull'argomento

"Euclide, cioè, riconobbe tutta la forza dell'argomento platonico sulla necessità di collegare il concetto di unto a quello di linea: d'altra parte sentì il peso della critica di Aristotele. Egli pertanto  non si arrischia a conciliare il termine 3°, almeno formalmente,  come definizione vera e propria di punto: l'introduce, invece, quando punto e linea sono stati già definiti in modo autonomo. Secondo Heath, in questo compromesso deve vedersi appunto un'idea personale di Euclide: opinione che ci sentiamo senz'altro di accettare, dopo quanto abbiamo esposto.

"Giova notare, inoltre, che la presa di posizione da parte di Platone contro il punto autonomamente considerato, ci è nota attraverso il passo citato della Metafisica di Aristotele. Nessun cenno, infatti, si trova direttamente sul punto nelle opere scritte di Platone, e il carlini, nel suo commento alla Metafisica, scrive: «nota gli'imperfetti (Platone combatteva, preferiva…) che paiono riferirsi a un insegnamento orale…Della questione qui accennata non è traccia negli scritti di Platone».

"Forse una traccia, sia pure indiretta, può invero trovarsi nel dialogo Menone (76 a) nel quale viene definita la figura (bidimensionale) come limite (pèras) del solido. Questa definizione, per la superficie, è trasportata di peso (con le stesse prole) da Euclide negli Elementi (libro XI, def. 2).

"Tra la definizione di punto come estremo della linea (che a Platone, sia pure indirettamente, può riferirsi), e quella, or ora ceduta, della superficie come estremo del solido (che è senz'altro platonica) appartiene allo stesso ordine di idee la definizione intermedia della linea come estremo della superficie, che si trova negli Elementi euclidei come Termine 6, e che quindi senz'altro trae la sua origine da Platone.

"Appare dunque evidente l'influenza platonica sulla formazione delle definizioni degli enti geometrici fondamentali, quali figurano negli Elementi euclidei." (9)

 

 

NOTE

 

1)      Alfonso Valentini - Gianni Bergna, Geometria per la scuola media, Brescia, Editrice La Scuola, 1967, p. 9.

2)      L. Beani - C. Meli Mostardini, Geometria per la scuola media, Messina-Firenze, Casa Editrice G. D'Anna, 1969, p. 13.

3)      L. Cateni - R. Fortini, Il pensiero geometrico. Manuale di geometria per il liceo scientifico, Firenze, Felice Le Monnier, 1975, p. 3.

4)      Rinaldo Cigna - Marina Devalle, Matematica (2 voll.), Milano, Casa Editrrice Tramontana, 1967, vol. 1, p.  192.

5)      Carl L. Boyer, Storia della matematica (titolo originale: A History of Mathematics, 1968); traduzione dall'inglese di Adriano Carugo, Milano, Istituto Editoriale Internazionale, 1976, p. 124.

6)      Platone, Parmenide, 139 b-c (traduzione di Enrico Pegone), in Platone, tutte le opere, Roma, Newton & Compton Editori, 1997 (5 voll.), vol. 2, p.171.

7)      Platone, Sofista (traduzione di Gino Giardini), in Platone, tutte le opere, cit., vol. 1, p. 575.

8)      Aristotele, Metafisica, Libro V, 1.016 b; edizione a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1994, pp. 209-211.

9)      Attilio Frajese,  Attraverso la storia della matematica, Firenze, Le Monnier Editore, 1973, vol. 3, pp. 91-95.