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Costituzionalismo e oligarchie

di Eduardo Zarelli - 31/12/2007

 

Oltre la rappresentanza politica: la libertà dei popoli è nella partecipazione e l’autonomia

 

 

«Accordo raggiunto al Consiglio Europeo riunito a Lisbona. L'Italia avrà 73 seggi al Parlamento Europeo, come la Gran Bretagna. “Risultato ottimo” è il commento che filtra da Palazzo Chigi. In realtà l'Italia si opponeva alla perdita della parità anche con la Francia, che avrà 74 rappresentanti. Ma nel 2014 dovrebbe esserci un'altra “redistribuzione” (prevista dal nuovo trattato) basata sul criterio della cittadinanza e non su quello della residenza. E l'Italia ne sarebbe largamente avvantaggiata…».

Così recitano le agenzie di stampa in un opaco scorcio d’inverno, a dimostrazione ennesima di come la famigerata “casta” sia un fenomeno ben più ampio degli angusti confini nazionali. Mentre in Italia si traccheggia come ubriachi sul precipizio in merito a presunte riduzioni del numero dei parlamentari, in Europa si proietta la foga inibita dal nostrano disgusto popolare, fino all’ultimo scranno parlamentare. Insomma, non molleranno mai l’osso, sono impermeabili a qualsivoglia spirito di servizio per il bene comune. Siamo in presenza di un ceto politico pervasivo e rapace, compromissorio e clientelare, conseguentemente parte della deriva oligarchica e tecnocratica delle società occidentali. In Europa o in Italia, la rappresentanza politica non riformerà mai se stessa perché, di fondo, non decidere nulla è funzionale alla conservazione dello status quo economico, sociale e culturale.

 

Quell’entità burocratica chiamata Europa

Questo significa distrarsi dal contesto europeo in un minimalistico qualunquismo provinciale? No. Una concezione europea è realistica e necessaria, a patto che non sia statalista però. Attualmente l’Europa è prigioniera di una contraddizione: ovunque si proclama di voler superare gli Stati, ma – poiché le classi politiche sono interessatamente ultra-stataliste, sia a Bruxelles sia nei singoli Stati – si finisce per privare l’idea dell’Europa dei mezzi politici necessari a superare gli Stati stessi. Infatti l’Unione Europea si manifesta come una anonima entità burocratica nemica della libertà dei singoli popoli e delle identità. A questo rischio si potrebbe ovviare scegliendo un modello rigorosamente federalista, che parta dalle autonomie. Attualmente, invece, l’Unione Europea propone soltanto di esportare il centralismo su scala europea. Vogliono solo sostituire Bruxelles a Roma, Parigi o Berlino. Noi non abbiamo nulla da guadagnare nel cambiare dei burocrati romani con altri di Bruxelles, o nel trasferirli dalle vecchie capitali a Bruxelles. Attualmente, siamo giunti al paradosso che l’Europa è presente dove dovrebbe essere assente, cioè nella vita dei popoli che hanno bisogno di autonomia, ed è invece assente dove dovrebbe essere presente, cioè sulla scena internazionale come soggetto politico capace e indipendente, per un multilateralismo che inibisca la volontà egemonica degli Stati Uniti, e del suo prossimo reale competitore che sarà presumibilmente la Cina, in una corsa scriteriata a superarsi in un modello di sviluppo industriale devastante la natura e la pluralità etnoculturale.

 

Ripartire dalla partecipazione

Non sono gli slogan a realizzare le idee, ma, nella sua semplicità, ci richiamiamo ad una Europa dei popoli, cioè Europa della sovranità popolare dal basso contro le oligarchie, a partire da quelle finanziarie. La Banca Centrale Europea ripropone, con la sua proprietà anonima e privata, un problema fondante la sovranità democratica. Senza furori ideologici, le banche devono essere ridotte a semplice strumento economico che risponda al mandato delle comunità e delle loro economie. Lo strumento diventa egemone quando prevalgono la rapacità del profitto egoistico e la logica del mercato finanziario: una visione del mondo dove tutto ha un prezzo ma niente ha più valore; un “pensiero unico” che oggi inaridisce ogni ideale, fagocitando ogni movimento sociale.

In controtendenza, l’organizzazione del “contropotere” sociale deve partire dalla base e deve essere impostato su quattro pilastri: identità, volontarietà, autonomia e partecipazione. L’autorità, infine, deve fluire dalla base verso l’alto. Per difendersi i popoli d’Europa devono proprio ripartire dalla base, dalla democrazia diretta. In fondo, anche gli Stati nazionali sono burocrazie come quella di Bruxelles: per questo nessuno Stato contrasta veramente Bruxelles. È quindi necessario estendere la partecipazione e interessare la gente alla vita politica ovunque sia possibile. È necessario sviluppare la dimensione pubblica del sociale, quindi lo Stato non deve essere il monopolizzatore della vita politica. Solo così essa potrà essere davvero autentica, specchio fedele della vita di un popolo, ed efficace strumento di sovranità. A partire dal luogo di vita, dal proprio territorio, in cui sviluppare modelli di sovranità monetaria locale e reciprocità sociale comunitaria, unica base su cui costruire economie sostenibili ed ecologicamente coerenti.

 

Oligarchie Vs populismo

Le oligarchie temano forme non usuali di aggregazione politica, sempre più trasversali e insofferenti alle appartenenze partitiche o identitarie acquisite. La denuncia del “populismo” – la “minaccia populista”, la “deriva populista”, la “tentazione populista” – ne fanno parte con ogni evidenza. Dall’inizio degli anni ottanta, questo termine, una volta poco usato, è entrato prepotentemente a far parte del discorso pubblico. Ormai funziona come un insulto politico, fingendo di apparire, contraddittoriamente, una categoria di analisi. È vero che oggi il populismo è soprattutto uno stile o un atteggiamento. Come tale, può accostarsi a qualunque ideologia: nazional-populismo, populismo ultraliberale, populismo di sinistra, populismo operaio, e via discorrendo. Il populismo può essere democratico o reazionario, solidale o xenofobo. È un camaleonte, una “parola passepartout” che il discorso mediatico o pseudocompetente può demonizzare tanto più facilmente in quanto il termine, non avendo un contenuto reale, può essere applicato a qualunque cosa. I loro capi, tribuni dalle mascelle serrate o dal sorriso telegenico, dai media dominanti sfruttano miserie e rancori, capitalizzano paure, miserie e angosce sociali, indicando spesso capri espiatori senza mai, beninteso, mettere in causa la logica del capitale. Il loro atteggiamento più frequente è rivolgersi al popolo contro il sistema in vigore. Questo “appello al popolo” con ogni evidenza equivoco, proprio per il fatto che la nozione di popolo può essere intesa in molti modi. Il populismo manifesta il suo lato “ingenuo” quando si limita incensare le “virtù innate” del popolo, la sicurezza “spontanea” dei suoi giudizi, che renderebbe inutile ogni mediazione. Tuttavia, per quanto criticabile possa essere, questo populismo assume valore di simbolo. Reazione “da un basso” verso un “alto” in cui l’esperienza del potere si confonde con il godimento dei privilegi, rappresenta prima di tutto il rifiuto di una democrazia rappresentativa che non rappresenta più nulla. Protesta contro l’edificio tarlato di istituzioni fatiscenti separate dal Paese reale, rivelatore delle disfunzioni di un sistema politico che non risponde più alle attese dei cittadini e si rivela incapace di assicurare la permanenza di un legame sociale, testimonia un malessere in continua crescita in seno alla vita pubblica, un disprezzo sempre crescente per il degrado oligarchico delle classi dirigenti e l’inconsistente passerella di vanità mediatica che le caratterizza. Esso mette in evidenza una crisi della democrazia, una perdita di fede nelle ideologie globali, la convergenza nella gestione del potere dei partiti, il sentimento diffuso che le forze economiche e finanziarie sono le più potenti e inafferrabili ai più. Questo populismo sorge quando i cittadini si allontanano dalle urne per il semplice motivo che da esse non si aspettano più niente. In tali condizioni la denuncia del “populismo” mira evidentemente a disarmare la protesta sociale, sia all’interno di una destra essenzialmente preoccupata dei suoi interessi, sia in seno ad una sinistra divenuta massicciamente conservatrice, elitaria e lontana dal popolo. Questa scomunica all’eresia popolare è il latrato di una “casta” venale e corrotta che guarda al popolo con disprezzo, come un mezzo, non come il fine del governo della cosa pubblica. Che il “ricorso al popolo” possa essere denunciato come una patologia politica, per esempio una minaccia per la democrazia, è a questo riguardo rivelatore. È dimenticare che in democrazia, il popolo è l’unico depositario della sovranità. Soprattutto quando questa è confiscata. Ridotto a semplice atteggiamento, il populismo diventa sinonimo di demagogia, cioè di mistificazione. Ma il populismo può anche esistere come forma politica sostanziale, per esempio con un impegno verso le comunità locali piuttosto che verso la “grande società” cosmopolita. Non essendo solidale né con lo Stato né con il Mercato, esso rifiuta sia lo statalismo che l’individualismo liberale. Aspira sia alla libertà che all’eguaglianza, ma è fondamentalmente anticapitalista, poiché capisce bene che il regno della merce liquida ogni forma di vita comune cui è legato. Mirando a una politica conforme alle aspirazioni popolari, fondata su questa morale comunitaria per cui la “casta” non prova che disprezzo, esso cerca di creare nuovi ambienti di espressione collettiva sulla base di una idea inconscia di società fatta di contiguità e reciprocità. Esso postula che la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è più importante del gioco delle istituzioni. Infine dà importanza centrale alla nozione di sussidiarietà. È per questo che si oppone esplicitamente alle èlites politico-mediatiche, manageriali e burocratiche.

Anti-elitario, il vero populismo è dunque incompatibile con tutti i sistemi autoritari cui troppo facilmente si tende ad assimilarlo. È altrettanto incompatibile con i discorsi roboanti di leader autoproclamatisi che pretendono di parlare in nome del popolo, ma si guardano bene dal dargli la parola. Quando l’impulso viene dall’alto, quando è il prodotto di un tribuno demagogo che si affida alla protesta sociale o al malcontento popolare senza mai lasciare che il popolo stesso si esprima, si esce dal populismo propriamente detto. Ricollocato nella giusta prospettiva, il populismo ha un futuro sempre più ampio, usufruendo anche di media decentrati e reticolari, mentre la politica istituzionale ne ha sempre di meno. È la richiesta popolare ad essere già ora oltre le ideologie della modernità e sintetizzare nella frattura tra giustizia sociale e decisione politica rivendicazioni che sostituiscono l’asse conflittuale sinistra-destra di una società centrifugata nelle sue identità di appartenenza culturale o di classe. È proprio questa l’alternativa che offre il populismo paragonato all’egemonia neoliberale, fondata sulla politica professionalizzata del proceduralismo rappresentativo e del consenso ipnotico-mediatico.

 

Oltre lo Stato e il Mercato: la comunità

Non si dà politica senza partecipazione e indipendenza dagli interessi organizzati, solo da qui si può partire per riprendere in mano il nostro destino, con un impegno verso le comunità locali e il loro territorio, piuttosto che verso la “grande società” e la sua crescita economica “illimitata”. Vi è un sentimento diffuso – denigrato volutamente come antipolitica – che non essendo solidale né con lo Stato né con il Mercato, rifiuta sia lo statalismo che l’individualismo liberale. Aspira sia alla libertà che all’eguaglianza, ma è fondamentalmente anticapitalista, poiché capisce bene che il regno della merce liquida ogni forma di vita comune cui è legato. Mirando a una politica conforme a una morale popolare per cui la “Casta” non prova che disprezzo, si creeranno originali ambienti di espressione collettiva sulla base di una nuova contiguità e relazione sociale. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica è più importante del gioco delle istituzioni, rendendo strutturale la nozione di sussidiarietà, dal basso verso l’alto. È per questo che si oppone esplicitamente alle èlites politico-mediatiche, manageriali e burocratiche, in ultima analisi, le oligarchie.

Offrendo la possibilità di rinvigorire la politica locale grazie ad una concezione responsabile della partecipazione e consapevole del proprio territorio, si contribuisce a realizzare un’Europa dei Popoli e delle differenze, interlocutore internazionale decisivo per un nuovo paradigma culturale sensibile alla natura e alla sostenibilità economica e sociale.