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Uranio impoverito: una verità e tante menzogne

di Tatiana Genovese - 31/12/2007

 

Uranio impoverito: una verità e tante menzogne

La chiamano guerra di cifre, ma è un triste realtà: si tratta infatti dell’assurda ambiguità e mistificazione con cui il ministero della Difesa italiano continua a trattare la questione “uranio impoverito”, venendo continuamente contraddetto dai dati più realistici dell’Osservatorio militare. Una struttura privata quest’ultima fondata da Domenico Leggiero, ex pilota di aerei che dalla fine degli anni novanta s’interroga su ciò che non va nelle forze dell’ordine, dalle situazioni di mobbing alle attrezzature inadeguate, coadiuvata dall’associazione dell’esperto Franco Accame, l’Anavafaf. Due uomini che combattono la coltre di silenzio che il governo italiano in modo del tutto bipartisan ha fatto scendere sulla questione uranio impoverito. Un silenzio assordante accompagnato da menzogne come testimoniano sia le diverse commissioni parlamentari istituite ad hoc e che a nulla sono valse, sia le recenti, insoddisfacenti e contraddittorie, udienze in commissione del ministro della Difesa Arturo Parisi. Secondo quest’ultimo infatti sarebbero 312 i casi di militari italiani impegnati in missioni all’estero (Balcani, Iraq, Afghanistan e Libano) ammalatisi di tumore maligno in 11 anni, di cui 77 sarebbero morti. Ma la tragica realtà dei numeri dell’uranio impoverito è tutt’altra: sono infatti 2356 i casi di cancro tra i soli uomini inviati in Bosnia, dei quali 158 sono morti. Senza contare poi i tanti civili impiegati dal governo italiano da parte di vari Ministeri e Corpi Armati, come la Guardia di Finanza che non vengono presi in considerazione dalla stime, ma anche i militari congedati appena si era scoperta la malattia e quelli che non si possono calcolare, come nel caso delle recenti missioni a causa dell’effetto latente del materiale radioattivo. A questa contingenza va aggiunto il fatto che in Afghanistan ed in Iraq vige il codice militare “in tempo di pace”, per cui i nostri soldati non possono parlare delle loro malattie. Le numerose inesattezze riferite dal titolare di Palazzo Baracchini nel suo rendiconto non finiscono qui. Le stime di Parisi infatti innanzitutto contemplano i soli casi di tumore, e quindi escludono tutte le altre gravi patologie che si sono manifestate (neurologiche, genetiche, etc.); inoltre non includono tutti i luoghi di possibile contaminazione dove è stato impiegato il personale italiano, sia militare che civile; quindi non solo i teatri all’estero ma anche gli altri luoghi dove non si può escludere l’impiego di armi all’uranio: dalla prima guerra del Golfo nel 1991 alla Somalia (1993), passando per i poligoni sparsi sul territorio italiano. A proposito di questi ultimi c’è da sottolineare poi che non sono mai stati emanati dei “bandi internazionali” che ordinassero il divieto, anche a ditte straniere, di eseguire sperimentazioni con armi “non convenzionali” al loro interno. In queste zone inoltre non solo non sono mai stati disposti controlli sulle sperimentazioni eseguite, in quanto ci si è affidati a delle improbabili autocertificazioni, ma non sono neanche mai state richieste (anche in sede contrattuale), alle ditte estere interessate, specifiche indicazioni circa le sperimentazioni da effettuare e si è lasciato che il personale italiano raccogliesse a mani nude i residuati bellici da far brillare. Un’assurdità che riguarda dunque tanto i poligoni italiani quanto le cosiddette “Pace keeping”. Ed in questo ultimo caso si tratta di una follia reiterata dai nostri governi al fondo della quale c’è un aspetto politico, ovvero l’equivoco “volontario” per cui si vuole far passare per “missioni di pace” certi interventi, da cui deriva l’inutilità di attrezzature idonee atte a fronteggiare qualsiasi rischio nei teatri di guerra. Purtroppo però la totale volontà manifestata dalle istituzioni politiche e militari italiane di non attenersi al principio di precauzione è una storia vecchia che ha inizio nel 1992, quando gli Usa diffusero un protocollo con tanto di video sui pericoli dell’uranio impoverito e in cui si richiedevano “save end effective munition”, si raccomandavano diverse precauzioni, procedure di protezione e sistemi di smaltimento degli obbiettivi colpiti da questi proiettili. Il nostro personale venne a sapere dell’esistenza di queste norme solo nel 1999, ovvero all’epoca delle operazioni in Kosovo, attraverso un documento a firma del Col. Osvaldo Bizzarri che tuttavia cadde nel vuoto. I primi casi di tumore tra il personale militare italiano si manifestarono tra il 1999 e il 2000 ma nessuno richiese con tempestività ai tutti gli Enti dipendenti da Palazzo Baracchini di inviare informazioni alla Direzione del personale del ministero Difesa, circa eventuali casi sospetti di contaminazione da uranio impoverito, con la conseguenza inevitabile di un’enorme incertezza nella raccolta dati: dai 44 casi della relazione Mandelli ai 1.991 raccolti dal Goi. Ma il governo italiano ha sempre smentito ogni possibile connessione tra uranio e cancro, nonostante le summenzionate norme a firma del colonnello Bizzari, della Kfor e anche quelle a firma del colonnello Guarnieri della Folgore, e così pure le disposizioni emanate dallo Stato Maggiore Difesa a firma del generale Ottogalli, in cui si evidenziava la pericolosità del materiale radioattivo, ampiamente riconosciuta anche dal Ministero dell’Ambiente e dal Ministero della Salute. Nulla di fatto, per le nostre istituzioni non solo la relazione era inesistente, ma in realtà non esistevano, sempre a loro avviso, prove concrete di armi all’uranio impoverito. E per dar credito a questa assurda menzogna il governo italiano continuava a far individuare il materiale radioattivo attraverso l’inadeguato strumento di rilevazione RA 141B, pur sapendo che il suo raggio di esplorazione era di soli10 cm. Con la conseguenza che in Bosnia, i nostri Reparti Nbc non si accorsero della presenza di oltre diecimila proiettili lanciati dagli aerei della Nato e dei missili da crociera, e il ministro della Difesa pro tempore, dichiarò che non era stato usato uranio, salvo poi fare ammenda e ammettere la verità. Il Parlamento italiano allora per tentare di quietare l’opinione pubblica che iniziava a reclamare verità su morti e malattie sospette istituì lo studio Signum, per cui stanziò un’altissima cifra, studio che era stato annunciato come un evento di portata internazionale, ma i cui risultati sono tuttora ignoti.
Dati oscillanti e incerti, contraddittorietà e menzogne evidenti dunque che disegnano un quadro perfetto della realtà insostenibile quanto incoerente delineata finora dai vertici militari e istituzionali che mistificano una contingenza tragica che continua a mietere vittime su vittime.