Notte impegnativa, quella che viene. Si fa festa, si dà il via ai botti, si buttano via vecchie cose, ma dietro tutta questa attività gioiosa c’è una speranza: che molte cose cambino. Che quanto di vecchio e stantio c’è nella vita personale, e collettiva, se ne vada. Che a mezzanotte cominci un tempo nuovo. Per questo, nell’impero romano, il dio di questa giornata, e del mese che inizierà, era Giano, dio dai due volti, il vecchio, che guarda all’indietro, e il giovane, che guarda avanti.
La crescita felice del nuovo dipende dal farsi da parte del vecchio. Questo tema, vanno scoprendo neuroscienziati e psicoterapeuti, si colloca al centro dell’esperienza della felicità nell’essere umano. Strettamente legata alla volontà e capacità di cambiare: lo dimostrano le ricerche più diverse, da quelle sul cervello, a quelle sugli affetti e sulla psiche.
L’essere umano è in continua crescita e mutamento, ed è tanto più felice quanto più asseconda questa sua vocazione. Che non significa buttar via quello che è stato, bensì rinnovarlo, in continuazione, come appunto il cervello. Lo sperimentiamo ogni giorno, in ogni campo. Ad esempio nell’amore.
Ogni storia d’amore ci chiede di reinventarla sempre, di guardar l’altro con occhi nuovi, di sapere, anche, trasformarci ai suoi occhi, mostrando nuovi aspetti di noi, e del mondo. Quando ci stanchiamo di questo “lavoro”, impegnativo ma indispensabile, la storia d’amore diventa ripetitiva, noiosa, sempre eguale a se stessa.
La stessa cosa succede in campo economico: nelle grandi aziende, ma anche nei più modesti bilanci famigliari. La ricchezza, o semplicemente il benessere, dipende dall’innovazione, da nuove idee, nuove iniziative, che generano nuovi introiti. Oltretutto, siccome anche il mondo intorno a noi cambia in continuazione, anche noi, come famiglia o come Paese, siamo costretti a cambiare, a mettere a punto nuove conoscenze, intraprendere nuove strade.
Qui il tema della felicità, che dipende dal cambiamento, si incrocia con quello del sapere, dell’apprendere, da cui dipende la capacità di crescere. Anche da questo punto di vista San Silvestro, questa notte che si spenzola dentro un altro anno, in un altro tempo, è molto impegnativa. Siamo davvero disponibili a scrutare nel buio, ad immaginare quel che verrà? Quanto siamo veramente curiosi, o quanto preferiamo ripetere le stesse cose, mantenere le stesse convinzioni, gli stessi pregiudizi?
Crediamo che la vita sia una cornucopia colma di regali, magari inquietanti e complicati, ma sempre interessanti, o preferiamo chiudere porte e finestre prima che il nuovo sia troppo scomodo e impegnativo?
In altri termini: quanto siamo davvero vitali, o quanto opportunisti e poco curiosi di ciò che accadrà?
Questi interrogativi ci riguardano personalmente, ma anche collettivamente. Quando il New York Times dice che l’Italia è un paese triste (speriamo che sbagli), è perché il suo corrispondente crede che la conservazione prevalga sul cambiamento, la paura sull’innovazione, la ripetizione di ciò che è stato sulla passione per imparare nuove cose. Quando gli abitanti del Triveneto, in una ricerca resa nota oggi, si dicono pessimisti sul futuro, è perché hanno l’impressione di essere intrappolati in una stagnazione coatta, di non poter cambiare come vorrebbero, di essere prigionieri di una macchina burocratica che li immobilizza.
Se, però, un passaggio (della vita o dell’anno), che dovrebbe segnare un cambiamento segnala solo la ripetizione dell’esistente, nasce la depressione.
E’ questa la sfida di San Silvestro. Vedremo quale dei due volti di Giano vincerà.

da “Il Mattino di Napoli”