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Leggendo una pagina di Krishnamurti: cambiare noi stessi per cambiare il mondo

di Francesco Lamendola - 02/01/2008

 

 

 

LEGGENDO  UNA  PAGINA  DI  KRISHNAMURTI :

 

Prendere in mano un qualsiasi libro di Jiddu Krishnamurti e cominciare a leggerlo, anche aprendo le pagine a caso, è come immergersi in una fresca fontana d'acqua in una giornata d'agosto, con il sole ardente; è come entrare nell'ombra grata e riposante di un bosco di lauri, dopo un lungo cammino nella strada polverosa, oppressi dall'afa e dalla stanchezza.

È una lettura gradita a coloro che non hanno mai perso di vista l'obiettivo esistenziale cui tendere, ma che - talvolta - sentono le forze venir meno, la volontà incrinarsi e il coraggio dileguare davanti alle gravi difficoltà della vita, come un cagnolino che abbia fiutato l'odore acre e pauroso di una belva feroce. Una lettura che ristora, che ridà animo e speranza, che restituisce chiarezza ai contorni delle cose: perché uno degli effetti della sofferenza e del timore è la distorsione della giusta prospettiva, la confusione delle priorità; come se, improvvisamente, fra noi e il mondo si frapponesse una lente deformante. Ecco: la lettura di Krishnamurti, così come quella di pochi altri, veri Maestri (una merce rarissima sul mercato delle cose spirituali), ci restituisce il bene primario e insostituibile della consapevolezza di noi stessi.

Krishnamurti è stato un grande perché, riverito e osannato fin da bambino dai membri della Società Teosofica, considerato il profeta della nuova era e la nuova stella destinata a brillare sul mattino del mondo, ha avuto l'onestà di rifiutare un tale ruolo e di affermare, con semplicità, che non si considerava affatto un Messia. Di più: che bisogna imparare a fare a meno dei Messia e anche dei Maestri; che ciascuno deve imparare a diventare il Maestro di sé stesso. Riscoprire il Maestro Interiore, diceva sant'Agostino, in un altro contesto e con altra sfumatura di pensiero, ma intendendo un concetto non poi tanto diverso.

Così, in questa mattina del primo giorno dell'anno nuovo, mentre intorno regna il silenzio di coloro che hanno vegliato nei riti inutili e puerili di fine d'anno, prendiamo un volumetto di Krishnamurti capitatoci in mano per caso, spostando altri libri; a caso lo apriamo e a caso ne leggiamo una paginetta (ma esiste, poi, il caso? o non è tutto parte di un disegno superiore?). E tuttavia, quale paginetta! Tutto da essa spira grazia, verità, semplicità e, al tempo stesso, profondità; tutto invita alla riscoperta di sé stessi, alla riscoperta di ciò che è autentico, essenziale. Quale vademecum per l'uomo frettoloso della società materialistica, quale dolce e persuasivo invito a rientrare in sé stessi, nel tempio quasi dimenticato della propria anima!

Vogliamo condividere con quanti ci seguono, da più o meno tempo, questa aurea pagina di pace, di bellezza, di fresca e affascinante nostalgia dell'eterno. Per chi desidera approfondirla, l'abbiamo scelta dalla antologia di conferenze di Krishnamurti intitolata La ricerca della felicità (Milano, Fabbri Editori, 1997, pp. 21-24), nella traduzione di Vincenzo Vergiani, e fa parte del capitolo terzo, dedicato a La conoscenza di sé.

 

"Il mondo è il nostro apporto con gli altri, non qualcosa di separato da voi e me; il mondo, la società, è il rapporto che stabiliamo o cerchiamo di stabilire fra ciascuno di noi.

"Dunque il problema siamo voi e io, e non il mondo, perché il mondo non è altro che la proiezione di noi stessi e comprendere il mondo vuol dire comprendere noi stessi. Il mondo non è separato da noi: noi siamo il mondo, e i nostri problemi sono i problemi del mondo. Non mi stancherò mai di ripeterlo, perché l'apatia è talmente radicata nella nostra mentalità che pensiamo che i problemi del mondo non ci riguardino, che a risolverli ci deve pensare l'ONU o che sia sufficiente sostituire i vecchi leader con nuovi dirigenti.. è una mentalità molto ottusa quella che ragiona così, perché siamo noi i responsabili della spaventosa infelicità e confusione del mondo, di questa minaccia costante di guerra. Per cambiare il mondo dobbiamo partire da noi stessi; e quel che conta nel partire da noi stessi è l'intenzione. L'intenzione che deve guidarci è quella di comprendere noi stessi e di non lasciare soltanto ad altri il compito di trasformare se stessi  o di produrre un cambiamento limitato attraverso la rivoluzione, che sia di sinistra o di destra. È importante capire che è questa la nostra responsabilità, vostra e mia; perché, per quanto piccolo possa essere il nostro mondo personale, se riusciamo a trasformare noi stessi, schiudendo un orizzonte  completamente diverso nella nostra esistenza quotidiana, allora forse sapremo influire sul mondo in generale, sulla rete estesa di rapporti con gli altri.

"Cercheremo allora di scoprire il processo che conduce alla comprensione di se stessi e che non è un processo isolante. Non si tratta di isolarsi dal mondo, perché non si può vivere in isolamento.  Essere vuol dire essere in relazione, e il concetto stesso del vivere in isolamento è impensabile. È la mancanza di rapporti giusti che produce conflitti, infelicità, ostilità; per quanto piccolo possa essere il nostro mondo, se riusciamo a trasformare i rapporti all'interno di quel mondo ristretto, il risultato sarà come un'onda che si ripercuote all'infinito verso l'esterno. Credo che sia importante capire questo punto, ossia che il mondo è fatto dei nostri rapporti, per quanto limitati; e se riusciamo a produrre una trasformazione  su quel piano, una trasformazione non superficiale, ma radicale, allora avremo dato avvio a una trasformazione attiva del mondo.

"La vera rivoluzione non risponde a questo o quel modello, di sinistra o di destra; è invece una rivoluzione di valori, una rivoluzione che dai valori di senso comune porta a valori che non sono di senso comune, né sono creati dalle influenze ambientali. Per trovare questi veri valori che produrranno una rivoluzione radicale, una trasformazione o rigenerazione, è essenziale comprendere sé stessi. La conoscenza di sé è l'inizio della saggezza e, dunque, l'inizio della trasformazione o rigenerazione. Per comprendere se stessi ci deve essere l'intenzione di comprendere - ed è lì che insorgono le prime difficoltà. Benché la maggior parte di noi sia scontenta, pur desiderando produrre un cambiamento improvviso, ci limitiamo a incanalare lo scontento per conseguire un certo risultato; spinti dall'insoddisfazione, ci cerchiamo un altro lavoro o semplicemente ci pieghiamo alle pressioni dell'ambiente circostante. Invece di infiammare le nostre menti, spingendoci così a mettere in discussione la vita, l'intero processo dell'esistenza, lo scontento viene incanalato, e di conseguenza diventiamo mediocri, perdiamo quella intensità, quell'impulso a scoprire l'intero significato dell'esistenza. Perciò è importante scoprire queste cose autonomamente, perché l'autoconoscenza non può essere trasmessa da altri, non si trova in alcun libro. Dobbiamo scoprire, e perché ci sia scoperta,, deve esserci l'intenzione, la ricerca, l'esplorazione. Fin quando quell'intenzione di scoprire, di investigare in profondità, èp debole o inesistente, le dichiarazioni di principio o il desiderio casuale di conoscere se stessi non valgono un gran che.

"Dunque, la trasformazione del mondo è prodotta dalla trasformazione di sé, perché il sé è, al tempo stesso, prodotto e parte del processo totale dell'esistenza umana. Per cambiare è essenziale conoscere se stessi; senza la conoscenza di quel che si è, manca una base su cui possa fondarsi il retto pensiero, e senza l'autoconoscenza non può esserci trasformazione. Bisogna conoscersi per quel che si è, non per come si desidera essere. Conoscersi per quel che si è richiede una mente eccezionalmente vigile, perché ciò che è subisce continui mutamenti e per seguirli tempestivamente la mente deve essere svincolata da qualunque dogma o credenza o modello d'azione. Se si è pronti a seguire qualunque evoluzione, l'essere vincolati non può che costituire un impedimento. Per conoscere e stessi, è necessaria la consapevolezza, la prontezza di una mente libera da ogni credenza, da ogni idealizzazione, perché credenze e ideali sono come un'ombra colorata che distorce la vera percezione. Se volete conoscere ciò che siete, non potete immaginare o coltivare l'illusione di qualcosa che non siete. Se sono avido, invidioso, violento, il semplice credere nella non-violenza e nell'altruismo serve a ben poco. Ma sapere di essere avido o violento, saperlo e comprenderlo, richiede una percettività straordinaria, non è così? Richiede onestà e chiarezza di pensiero, mentre perseguire un ideale diverso da ciò che si è costituisce una fuga, che impedisce di scoprire e agire direttamente su ciò che si è.

"La comprensione di ciò che si è - brutti o belli, malvagi o disonesti, non importa - la comprensione di ciò che si è, senza infingimenti, è l'inizio della virtù. La virtù è essenziale, poiché dà la libertà. È solo nella virtù che si può scoprire, che si può vivere - ma non coltivando la virtù, poiché questo non porta altro che rispettabilità. C'è differenza fra l'essere virtuoso e il diventare virtuoso. L'essere virtuoso ha origine dalla comprensione di ciò che è, mentre il diventare virtuoso è un modo di temporeggiare, di sovrapporre ciò che si vorrebbe essere a ciò che si è…"

 

Rientrare in se stessi; riconoscere se stessi; ripartire da un fondamentale atto di onestà verso se stessi: ecco la chiave per voltare veramente pagina, per iniziare una nuova vita all'insegna dell'autenticità e della pace interiore.

Coloro che attendono l'anno nuovo aspettando che esso porti chissà quali cambiamenti si comportano esattamente come coloro che, stanchi della propria vita, cercano di modificarla cambiando casa, lavoro, affetti o mettendosi a viaggiare per il mondo. È un errore puerile, perché è evidente che, senza prima aver cambiato se stessi, non faranno altro che trasportare la loro insoddisfazione e la loro infelicità in altri contesti e in altre situazioni, fisiche e affettive. E tuttavia è stato anche l'errore di grandi personaggi, come Leopardi; che, nel celebre Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, è caduto anche lui in questo errore di prospettiva: non ci si può attendere nulla di nuovo dalla vita se non si fa nulla per cambiarla dall'interno, incominciando dalle profondità del nostro essere.

Rientrare in sé, riconoscersi, significa riguadagnare il terreno solido sotto i nostri piedi, proprio mentre credevamo di essere abbandonati su una zattera sbattuta dai venti e minacciata dalle onde. Un terreno solido come roccia, che nessuno ci potrà mai togliere; un terreno sul quale edificare la casa felice della nostra vita.

Ma i mattoni per costruire la casa, non li troveremo già belli e pronti da nessuna parte. Dobbiamo fabbricarceli da noi, sbucciandoci le mani e versando il sudore della nostra fronte. Perciò, lo ripetiamo, anche l'ansia di trovare un Maestro è spesso l'indice di una insicurezza che ci portiamo dietro come una palla al piede. Nessun Maestro potrebbe darci quello che già non possediamo, e sia pure in potenza; i veri Maestri - e sono, lo abbiamo detto, pochissimi - sono coloro i quali ci guidano alla riscoperta di quel nostro tesoro nascosto.

Nemmeno Krishnamurti va preso come un Maestro preconfezionato; lui per primo, del resto, non si stancava d'insegnare che ciascuno deve imparare a camminare sulle proprie gambe.

Vi sono aspetti del suo insegnamento che non ci convincono del tutto: un eccesso d'intellettualismo, ad esempio; e anche una tendenza al nichilismo, là dove egli auspica "una mente libera da ogni credenza e da ogni ideale".

Ma perché soffermarci sugli aspetti che a noi appaiono negativi o, comunque, tali da suscitare perplessità? Anche questo, non è che un vizio antico del pensiero negativo: procedere in maniera oppositiva; andare in cerca delle differenze invece che delle affinità; indugiare su ciò che può essere di ostacolo, invece che usufruire di ciò che può essere di aiuto.

E c'è molto, nella filosofia di Krishnamurti - filosofia della libertà, per eccellenza - che può essere di aiuto a chi sia sinceramente desideroso di intraprendere un cammino di trasformazione e di evoluzione spirituale.

Tutto il resto - quello che né lui, né alcun altro Maestro ci potrebbe dare - bisogna che cerchiamo di procurarcelo da soli.

Con coraggio virile, con ottimismo intelligente, con una forte carica di volontà e di speranza.

E adesso, buon cammino.

Ce n'è, di strada da fare, e il giorno è già inoltrato. Ci siamo avviati tardi e abbiamo sprecato le ore migliori; ma forse non è troppo tardi. Prima che scenda la sera della nostra vita, possiamo ancora percorre un buon tratto.

Infine, quello che conta non è camminare molto, ma avviarsi nella giusta direzione.