Con l'uscita di scena del monarca Antonio Fazio, a Palazzo Koch s'insedia un governatore a tempo. Mario Draghi, il "privatizzatore", un passato alla direzione generale del Tesoro, passa da una banca d'affari - la Goldman Sachs - alla banca centrale italiana: un fenomeno sconosciuto alle stelle dell'Europa, meno alle stelle e strisce americane. Come sempre accade in Italia, paese "anormale", sull'onda dell'emergenza è stato approvato un provvedimento che prevede il mandato a termine per l'inquilino di via Nazionale (sei anni), rinnovabile una sola volta. Dopo due anni di tormentato iter parlamentare, infatti, la legge a tutela del risparmio ha raggiunto il traguardo finale.
Ci sono voluti ben cinque voti di fiducia, circostanza che la dice lunga sulla volontà della maggioranza di centro-destra di tutelare i risparmiatori ancora scossi dagli scandali finanziari, da Cirio a Parmalat, passando per i Tangobond, e ora alle prese con l'affare Banca popolare italiana.Un immobilismo, quello dell'esecutivo di centro-destra, durato due anni, pari soltanto all'ostinazione di Antonio Fazio che incurante del pressing della politica e della magistratura ha continuato ad occupare la poltrona di vertice di Bankitalia fino a dieci giorni fa, rassegnando infine le dimissioni "nel superiore interesse del paese e dell'istituzione".
Ma si consuma in cinque lunghissimi mesi lo scandalo che mette fine alla stagione di Fazio alla guida dell'istituto di via Nazionale: il 12 luglio l'ex governatore autorizza le offerte della Popolare (ex Lodi) su Antonveneta; il 29 settembre giunge la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma; il 15 dicembre, secondo indiscrezioni, è la volta della Procura di Milano. Poi, il 13 dicembre, l'arresto di Fiorani, ex patron della Bpi. E solo dopo una settimana, le dimissioni di Fazio. Un caso che non ha precedenti, in Italia e nelle democrazie occidentali. Come ha recentemente scritto Eugenio Scalari, "la banca centrale è uno snodo autonomo della politica monetaria ma non deve diventare un centro di eversione istituzionale".
Chissà se Fazio è uscito di scena dal retro di Palazzo Koch, porta di "servizio" che l'ex governatore ha aperto troppo spesso per permettere l'accesso a Fiorani e a suoi furbetti del quartierino, certo, guadagnandone baci virtuali sulla fronte dispensati durante le fin troppo note telefonate notturne. Entra dalla porta principale, invece, Mario Draghi che conosce bene la Banca d'Italia perché papà Carlo lavorava con Donato Menichella e lui stesso è stato consulente dell'istituto con Ciampi governatore. Storie parallele quelle del devoto uomo di Alvito, asceso in Bankitalia nel 1993, e Draghi, l'economista allievo di Federico Caffè. Fazio sostituisce Carlo Azeglio Ciampi, chiamato allora a formare un governo tecnico, alla guida dell'istituto di via Nazionale in un momento delicato. L'Italia è scossa da una crisi finanziaria e politica acuta. Per un paese sull'orlo della bancarotta si tira in ballo addirittura la "sindrome messicana". Tangentopoli ha cambiato i connotati al mondo politico. Le "prediche" di Fazio, il moralizzatore, non si limitano alle questioni bancarie ma spaziano dalla richiesta ai governi di riforme strutturali nel mercato del lavoro, della previdenza, fino alla pretesa riduzione della pressione fiscale e uscita dello Stato dal mercato. Mario Draghi, oggi al vertice della Banca d'Italia, in quello stesso periodo svolge un ruolo chiave nell'economia italiana.
Anni difficili che, attraverso le grandi privatizzazioni, cambiano il profilo del paese. E' il 10 luglio del 1992 quando il consiglio dei ministri è chiamato, tra le altre decisioni, a discutere su un punto: la trasformazione, attraverso la strada del decreto legge, degli enti pubblici economici in società per azioni. Aprendo così la strada alle vendite delle aziende statali. Concretamente, Iri, Eni, Enel, i colossi dell'economia di Stato, vengono trasformati in Spa le cui azioni divengono proprietà del Tesoro. Il ministero guidato da Barucci viene incaricato per conto del governo di predisporre un programma di riordino delle partecipazioni pubbliche, cioè di studiare, proporre e infine realizzare le privatizzazioni. Il ministro si avvale dunque di un comitato di consulenza formato da economisti e giuristi di fama, tra cui spiccano i nomi, tra gli altri, di Mario Draghi, Mario Monti, Luigi Spaventa e Vincenzo Desario.
La centralità di Draghi nel panorama economico italiano è tale che finisce anche al centro delle polemiche: è il caso delle riunioni sul "Britannia", l'ex yacht dei reali inglesi, con i principali banchieri d'affari inglesi, a portarlo nel mirino di chi lo accusa di voler svendere il patrimonio nazionale. Articoli di fuoco sull'argomento sono stati pubblicati sulla Padania, quotidiano della Lega di Bossi che oggi stranamente si è unita al coro di coloro che considerano salvifica la nomina di Draghi. Per inciso, durante la "rivoluzione culturale" del vicepresidente della banca d'affari Goldman Sachs, oggi neogovernatore, in circa dieci anni (a partire dal 1992), sono state privatizzate aziende statali per un valore di oltre 220 mila miliardi di lire. Per avere una misura del fenomeno: nel 1991 le banche pubbliche rappresentavano una quota consistente, pari al 73% del totale degli istituti di credito italiani. Oggi sono praticamente inesistenti. C'è chi sostiene che la struttura "tecnica" diretta da Draghi sia stata, nel corso degli anni Novanta del secolo scorso, uno dei pochi veri "poteri forti" di questo paese.
Un'altra coincidenza curiosa tra i due uomini di Bankitalia: Antonio Fazio è caduto sulle vicende legate alla lotta per il controllo della banca Antonveneta da parte della Popolare di Gianpiero Fiorani attraverso le offerte pubbliche d'acquisto. Insomma, è finito nelle maglie del gioco dell'Opa, l'ex governatore. E pensare che porta il nome del nuovo inquilino di Palazzo Koch la legge (Draghi, appunto) che contiene le nuove regole sull'Opa, con l'obbligo di lanciarla per chi acquista oltre il 30% di una società, con un prezzo identico per piccoli e grandi azionisti. Infine: la lunga stagione di Mario Draghi in via XX settembre si chiuse nel 2001, quando il ministro Giulio Tremonti chiamò a sostituirlo Domenico Siniscalco. Tremonti fu anche quello che esercitò le pressioni maggiori su Fazio per ottenerne le dimissioni, in questo certamente aiutato dal lavoro della magistratura.
Ma la "svolta" di Fazio chiude solo il primo tormentato capitolo di questa imbarazzante storia. Per il momento, il vero miracolo italiano non è quello prospettato dall'ex governatore nel 2001, ma le sue dimissioni. Resta lo stesso mercato finanziario asfittico di sempre, la miopia della classe dirigente, un capitalismo senza capitali e senza "capitani coraggiosi"; l'intreccio e la commistione tra potere politico ed economia, elementi che hanno giocato un ruolo decisivo nelle distorsioni delle nostre istituzioni e del nostro mercato. Tutte le speranze di cambiamento, oggi, sembrano riposte nella nomina di un nuovo governatore, a tempo. Sperando che non si trasformi in un governatore ad orologeria.