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Discorso (apocrifo) di fine anno

di Stefano Montanari - 02/01/2008

Fonte: stefanomontanari

       
   

 Il prof. Montanari veste i panni del Presidente della Repubblica e reinterpreta il discorso di fine anno colmando "qualche" lacuna dell'originale...

 A voi che mi ascoltate, e a tutti gli italiani, in patria e all’estero, sento di dovere una risposta, insieme con il più sincero, cordiale augurio. Una risposta alla domanda che più ci inquieta: come dobbiamo guardare all’anno che sta per iniziare, con quali preoccupazioni e con quali motivi di speranza e di fiducia? È una domanda non facile alla quale spetterebbe ai politici rispondere, ché della gestione della casa comune i politici dovrebbero essere i primi responsabili.

Ma, lo sapete, non appena si ha la ventura di posare i glutei su di una poltrona, foss’anche quella di un consiglio di circoscrizione, l’effetto immediato, ineluttabile, è quello di una droga pesante...

e il contatto con la realtà svanisce di colpo. Per un politico di carriera, poi – e l’Italia non ha altra abbondanza – non c’è metadone che tenga. Del resto, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno, visto che, in questa generosa penisola, diventare uomo politico è come essere ordinato prete: una volta prete, per sempre prete. Entri nella grande famiglia e hai presente e futuro assicurato nell’agio. Per qualcuno, nel lusso. Ma, per una volta, voglio fare come Babbo Natale: scendere dal cielo, calarmi lungo i camini, entrare nelle case e dare un’occhiata alle cose come stanno.

Ho visto, dal Nord al Sud, un’Italia che vorrebbe crescere, che non vorrebbe sprofondare ancora sotto la classifica che ci vede relegati tra le repubbliche delle banane.

La nostra informazione condivide il livello proprio di una qualunque dittatura: i giornali, quelli che contano, sono in mano a pochi e di quei pochi i giornalisti che, non dimenticatelo, tengono famiglia, e voi sapete quanto importante la famiglia sia, cercano di salvaguardare gl’interessi nell’unica maniera possibile: manipolando le notizie. È da aggiungere che, in genere, i giornali sopravvivono grazie alla pubblicità, e come fai a criticare un grande inserzionista, qualcuno che ti mette sul tavolo centinaia di migliaia di Euro, a volte qualche milione, tutti gli anni? Tralascio le sovvenzioni, a volte milionarie, che voi tutti, italiani, lo sappiate o no, regalate a giornaletti con cui si potrebbe al più incartare l’insalata e che informazione non ne possono certo fare. Il discorso per la TV di regime - di stato o no non fa differenza: siamo tutti uomini di mondo – salvo casi rari, è anche peggiore: inutile tentare di nascondere la puntina dell’iceberg delle attricette la cui carriera influenza pesantemente l’equilibrio della Nazione, inutile raccontarvi quali sono le condizioni per entrare e per far carriera in quell’ambiente, inutile dirvi che ciò che viene lasciato passare come informazione è rigorosamente censurato. Autocensurato, spesso, perché chi fa i programmi non è nato ieri.

Non posso non toccare l’argomento delle stragi sul lavoro. Al di là delle inevitabili fatalità, spiegare perché di questa mattanza è facile: nessuno controlla; quando qualcuno lo fa, quasi sempre finisce tutto a tarallucci e vino; spessissimo c’è chi chiude un occhio o, ancor più spesso, tutti e due. Insabbiare è la parola d’ordine. Ma, del resto, come si fa a controllare, per esempio, il mondo del subappalto? Chi comanda lì è la mafia (camorra, ‘drangheta o come volete chiamarla) e, se per ipotesi assurda, lo Stato fosse capace di fare il suo dovere e fermare gl’illeciti (il che comporterebbe ipso facto la scomparsa della mafia), l’Italia crollerebbe di botto. Una stima a spanne indica che gl’impiegati dall’organizzazione sono un milione e ottocentomila, il che significa la sopravvivenza  di tante famiglie. E davanti alla famiglia ci dobbiamo fermare. E quante aziende sono in mano loro? E quanti posti di potere con tutto quanto questo comporta? Quindi, continuate così, morti bianche comprese.

E, a proposito di controlli, scendendo per una notte lungo il camino, mi sono balzate davanti le prodezze dell’ARPA. È vero: un ente del genere, dopo gli episodi vergognosi di Treviso, di Bando di Argenta, dei prodotti tossici sparsi per anni nelle campagne romagnole, degl’inceneritori da cui si certifica che esce Chanel numero nove, e chi più ne ha, più ne metta, in un paese che aspiri ad essere chiamato civile sarebbe stato chiuso da un pezzo. Da noi, no. In fondo, l’ARPA fa comodo.

Ma non è solo dell’ARPA, naturalmente, che il Paese, se ha l’uzzolo di sopravvivere, deve liberarsi urgentemente. L’Italia pullula di quelli che erroneamente vengono chiamati “enti inutili”. In realtà, questi non sono affatto inutili: sono una zavorra pesantissima che, per giustificare la loro esistenza da parassiti, si fanno notare, e lo fanno massacrandovi di una burocrazia grottesca che rallenta fino, a volte, a paralizzare il Paese. Dunque, oggettivamente sono una presenza patologica da eliminare. Ma come si fa? Tengono tutti famiglia. Dunque, ce li teniamo. Anzi, ve li tenete.

Scorrendo tra le decine di “enti inutili”, province in testa, ci s’imbatte nell’università. Chi abbia un po’ d’esperienza di mondo fuori dell’Italia, chi frequenti gli ambienti scientifici, non può non vedere che queste istituzioni, fatte salve pochissime, eroiche, eccezioni, sono montagne, catene di montagne, che partoriscono studenti spesso impreparati perché vittime di professori indegni, e partoriscono pure, occasionalmente, solitari topolini, a volte rachitici, a volte morti. Il motivo è presto detto: se non sei figlio, coniuge, amante, socio in affari di qualcuno che conta e che baratta favori, o se non sei dotato di uno sponsor generoso pronto a sostenerti, entrare nell’apparato è difficilissimo. Salire le scale lo è ancor di più. Poter fare qualcosa una volta che qualche gradino sia stato salito, quasi impossibile. Spesso quelle che vengono vendute a voi italiani come “ricerche” sono null’altro che pedisseque ripetizioni di cose note o studi che servono solo a giustificare la pur precaria permanenza in vita di una struttura con tutto il presepe di personaggi da “mettere a posto” o da conservare. Ahimé, non è rarissimo, poi, che, se qualcuno che conta ha interesse a che da una di queste cosiddette ricerche esca un determinato risultato, quel risultato lo si fa uscire. Lo sappiamo tutti: senza università o, peggio, con un’università come avete voi italiani, una nazione non solo non va avanti, ma avvizzisce. Che fare? Per ora, tenetevela. Per il futuro, pure.

Che dire, ora, di quanto noi, politici di ogni ordine e grado Bersani compreso, vi costiamo, trascurando i danni che facciamo, ché quelli come fai a calcolarli? Quando m’incontro con qualche collega o, comunque, qualcuno che si occupi di cosa pubblica fuori dell’Italia, vi confesso un certo imbarazzo. Chi ha letto almeno uno dei tanti libri che imperversano oggi in tutte le librerie e che elencano maleducatamente i nostri sprechi e i nostri capriccetti si sarà sentito insinuare magari qualche dubbio prima di votare o prima di pagare le tasse. Che sono un piacere, non dimenticatelo. Beh, per noi politici lo sono. Comunque, non fatevi illusioni: noi siamo inamovibili e di voi c’importa assai... Basta dare un’occhiata a tutti i governi che si sono succeduti e fare due conti: a ogni cambio di glutei sulle poltrone, un’addizione. Sempre più gente, sempre più soldi. I vostri, naturalmente. Dopotutto, c’è tanta gente da accontentare e un posticino inventato non si può certo negare ad un amico. All’amico di un amico. All’amico di un amico di un amico…. Né si può essere esposti a critiche e offrire condizioni sparagnine. Dunque, stipendi da nababbi, tanti benefici a mo’ di regalino perpetuo o quasi, un’auto con autista, una pensione da nonni di lusso (nonni giovanissimi per non sfigurare), viaggi con un seguito che non a volte avrebbe fatto invidia all’imperatore persiano dei tempi di Erodoto e così via. Va da sé che io ci sono dentro fino al collo: confrontate le spese del Quirniale con quelle di qualsiasi altro apparato omologo in giro per il mondo, in Germania, in Inghilterra, dove vi pare, e una prima indicazione ce l’avrete. Ma che ci posso fare io? Io conto come il due di bastoni a briscola e poi, ormai… Ci dovevate pensare prima.

Da ultimo, ultimo perché l’argomento è per noi politici di scarso interesse, l’ambiente. Qualche allarmista tira fuori la vecchia storia: un essere che distrugge l’ambiente incui vive è destinato ad estinguersi. E con ciò? Dice, sempre l’allarmista, che, se continueremo a sovvenzionare il sistema politico più lussuoso del modo (siamo l’Italia dei primati o no?) incentivando la piromania a base di rifiuti, così incentivando automaticamente la produzione dell’indispensabile carburante, appunto il rifiuto, continueremo con quei mattacchioni dei miei conterranei che hanno l’hobby d’incendiare qualche tonnellatuccia d’immondizia facendo tanta diossina, continueremo ad avere ferrovie che farebbero vergogna in qualsiasi parese del quarto mondo, così obbligando tutti ad usare le automobili, continueremo a lasciare che l’ARPA esegua i non controlli, noi politici saremo responsabili di un po’ di guai. Può essere, ma noi poltici questo camino che ho voluto scendere oggi per esperimento non lo scendiamo mai. Dunque, italiani, fate come avete sempre fatto da che mondo è mondo: cercate di arrangiarvi.

A voi che mi ascoltate, auguro un anno pieno di ottimismo. In fondo, come ho detto al New York Times, vedere tante facce lunghe non fa certo piacere.