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Libano: Quando sarà il turno dei palestinesi?

di Christopher Brown* - 03/01/2008


 

In quattro siamo seduti all’esterno di un negozio nascosto nei vicoli tortuosi di Shatila, un campo profughi palestinese divenuto la casa per le famiglie che hanno abbandonato la Palestina storica nel 1948. Venticinque anni fa questo allora poco conosciuto campo - insieme con la vicina area chiamata Sabra – è stato anche il luogo di un sanguinoso massacro che ha lasciato sul terreno più di 2 mila palestinesi per opera delle milizie falangiste spalleggiate dall’esercito israeliano.

Ma niente di tutto ciò era nei pensieri dei miei tre amici. Eravamo troppo impegnati a parlare di cose ben più importanti,

"Inta mitjowez?" (Sei sposato?), mi ha chiesto uno di loro.

"La" (No), ho risposto, sapendo esattamente quale sarebbe stata la prossima domanda.

"Lesh?" (Perché?), mi ha incalzato il mio inquisitore.

"Inshallah" (Come vuole Dio), ho risposto e con ciò l’interrogatorio ha avuto fine e abbiamo cambiato argomento. Il mio amico Salah mi si è avvicinato e ha detto, "Non importa dove vai, se ti imbatti in un palestinese ti farà quella domanda".

La conversazione è saltata da un argomento all’altro - sport, amicizie e fumo. Per tutto il tempo sono rimasto seduto e soprattutto ho ascoltato, ma all’occasione sono intervenuto per fare qualche commento.

Sono arrivato in Libano per registrare le testimonianze orali di coloro che si ricordavano di essere stati espulsi dalla Palestina nel 1948. Hammed – il padrone del negozio – è nato a Shatila ma ha sentito parlare della Palestina da suo padre e sua madre, che erano fuggiti entrambi quando i sionisti, sostenuti dai britannici, arrivarono e costrinsero al sua famiglia ad abbandonare la sua terra. Ora, a quasi sessanta anni, mi dice che vuole vedere il posto da cui venivano i suoi, da dove viene lui, e da cui è tenuto fuori.

"Dimmi della Palestina", mi chiede con gli occhi spalancati, "raccontami ogni cosa".

Io provo a trovare le parole giuste, ma per qualche motivo non ci riesco. C’è troppo da spiegare in una volta sola. Ma gli racconto delle colline terrazzate con piante di vite, alberi di olive e di arance, mentre si guida lungo la statale 60 che unisce Gerusalemme a Hebron, una strada riservata agli ebrei. Dico di quanto mi sembri bella la Moschea Ibrahimi di Hebron – specialmente durante il Ramadan quando la massa di persone è tale che durante i venerdì di preghiera, i fedeli si riversano nelle strade della città vecchia. Dico quanto mi piaccia fare il raccolto delle olive, nonostante i problemi di accesso al terreno con cui hanno a che fare gli agricoltori, a causa delle forze di occupazione israeliane e dei coloni.

Hammed ascolta con attenzione, ma presto si volta verso la televisione. Guardo per capire cosa ci sia che lo interessi tanto, quando mi accorgo di una storia, su Al Jazeera, che parla di ebrei di tutta la Diaspora immigrati in Israele. In quattro guardiamo le immagini di mini bandiere di Israele che sventolano forte per i nuovi cittadini israeliani in arrivo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Altre immagini mostrano uomini, donne e bambini che piangono, si abbracciano e baciano la terra appena scesi dall’aeroplano.

"Mi sono trasferito qui per sostenere Israele", esclama una giovane donna proveniente da New York.

"Abbiamo il dovere e l’obbligo di essere dalla parte di Israele", dice un altro.

Un grosso striscione sullo sfondo, all’interno dell’aeroporto, recita "Bentornati a casa", sia in inglese che in ebraico.

Mentre la storia va avanti, la stanza diventa rapidamente silenziosa. Tutti e quattro fissiamo la tv, nessuno fa un rumore. Alla fine, la storia ha termine e ci guardiamo l’un l’altro, sorridendo forzatamente e facendo commenti acidi, e ridendo fragorosamente alla vista di tutto questo. Cos’altro possiamo fare in un momento del genere? Poi uno dei tre dice, rivolto a nessuno in particolare, "E il nostro ritorno a casa?"

(Traduzione di Carlo M. Miele)

L’articolo in lingua originale

* Christopher Brown è il regista e conduttore di Crossing The Line: Life In Occupied Palestine. È figlio di un combattente della resitenza nera del Sud Africa che ha subito l’arresto e la tortura durante il regime dell’apartheid. Nel 1990 Brown è tornato in Sud Africa ed è stato tenuto agli arresti e torturato per 500 giorni dalle forze di sicurezza. Ha vissuto e lavorato in Palestina per tre anni dal 2002 al 2004 nella Città vecchia di Hebron. Attualmente è in Libano con l’incarico di raccogliere testimonianze orali dei palestinesi fuggiti nel 1948. Può essere contattato all’indirizzo Christo@riseup.net

di Electronic Lebanon