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Il numero d’oro dello spazio abitato

di Michelle Dolz - 04/01/2008


 Modulor è una scala di proporzioni basate sulle misure dell’uomo inventata dall’architetto svizzero Le Corbusier
 

 N
el 1951 la Nona Triennale di Milano celebrò un con­vegno dal singolare titolo:
 La divina proporzione.
Nelle in­certezze e anche nell’ottimismo del dopoguerra si cercava di in­dagare sulla possibilità o perfino la necessità di attenersi a un si­stema riconoscibile di proporzio­ni in architettura e, più ampia­mente, nelle arti. C’erano perso­naggi del calibro di Le Corbusier e Rudolf Wittkower, le anime trai­nanti del convegno, partigiani di­chiarati della proporzione. Ma c’erano anche architetti e artisti, storici e critici d’arte, matematici e filosofi, grandi nomi tra di loro a fianco di giovani studiosi come lo era allora James Ackerman. Si dissero cose importanti, non si ritenne di aggiornarsi a un nuovo incontro e l’in­tera riflessione rimase sepolta Una dimensione «divina», la ricerca di un equilibrio magico che rivive nel ’900
 negli archivi della Triennale fino ad oggi, quando appa­re, curato da Anna Chiara Cimoli e Fulvio Ira­ce, il volume degli atti (Electa, 276 pagine, 28 euro).
  Il titolo era mutuato dal libro che il matematico Luca Pacioli pub­blicò proprio a Milano nel 1489, nel quale l’aggettivo
divina indi­cava la convinzione che i rappor­ti di proporzione insiti nella na­tura fossero progetto e opera del Creatore e che la proporzione 'artistica' si ponesse come via dell’aspirazione universale a una perfezione estetica, morale. Pla­tone e Pitagora hanno segnato anche in questo aspetto la civiltà occidentale, impostando un mo­do di raffigurare e prima ancora di guardare. Il primo con il ri­chiamo a elementi geometrici, il secondo con rapporti numerici.
  Più platonico il medioevo (i pu­pazzi di Honnecourt o gli schemi delle cattedrali riducibili a trian­golo o quadrato), più pitagorico il rinascimento (i rapporti di Alber­ti o la polifonia cinquecentesca), vivono entrambi della stessa con­vinzione: la bellezza è fondata sulla proporzione, e questa si tro­va in natura. Agostino aveva det­to che per la ragione «non ha va­lore se non l’armonia
( pulchritudo) e nell’armonia le fi­gure e nelle figure le misure e nelle misure i numeri». Bisogna arrivare al XVIII secolo per cam­biare registro. Edmund Burke nel famoso A Philosophical En­quiry…
  del 1712 poneva la cate­goria del sublime come nuova ri­sorsa estetica: la reazione emoti­va a ciò che è incommensurabile, incontrollabile, selvaggio, perico­loso. A seguire, l’artista diventerà refrattario al canone o crederà di essersene liberato, perfino nei periodi più accademici dell’Otto­cento.
 
C’era qualcosa di vero nell’impo­stazione degli antichi? Nel conve­gno del ’51 Matilda Ghynka po­neva una questione a mio avviso fondamentale: certe proporzioni, come la simmetria pentagonale o la sezione aurea, si trovano negli esseri viventi; nelle formazioni cristalline ab­bondano le simmetrie esa­gonale e qua­drata. Com’è che il mitico 0.618… o se­zione aurea si ritrova dappertutto, dal micro al macroco-smo, così come ritorna spesso nelle soluzioni tecniche più avanzate? E’ solo un esempio delle molte proporzioni di natu­ra. Qui non parla del Creatore ma della scienza.
  Ora, se l’uomo fa parte di questo stesso cosmo, non è da conside­rare che i suoi sensi siano, per co­sì dire, predisposti a percepire un certo tipo di armonie 'naturali'?
  Ne era convinto Le Corbusier, con la sua poetica dell’angolo retto e il suo Modulor, nuova ver­sione dell’uomo leonardesco at­traverso il quale intendeva fon­dare i nuovi rapporti. Apparente­mente all’opposto, Gaudì cercava nella natura (i famosi alberi mae­stri d’architettura) le chiavi per le sue originalissime forme. Le Cor­busier si diceva convinto che Gaudì fosse tra i più grandi archi­tetti mai esistiti, mentre questi considerava il giovane collega svizzero buono a fabbricare sca­tole di sapone. Ma il loro atteg­giamento era così diverso? Gaudì sembra sbilanciato verso il subli­me, l’irrazionale. Sembra. Perché i suoi paraboloidi sono comples­se misure geometriche… ottenu­te
spesso per via empirica. L’esal­tazione ortogonale di Le Corbu­sier per conto suo non sempre tiene conto dei propri principi.
  Quando i suoi progettisti gli dice­vano che certe soluzioni non si potevano ottenere con il Modu­­lor, egli rispondeva: «Del Modu­­lor, me ne infischio!». E basti pensare alla copertura meravi­gliosa
della Cappella di Ron­champs. Cosa allora? Semplice­mente: non sono le misure a fare dell’opera un opera d’arte, ma quel in più d’incommensurabile che solo l’artista darà. Ma al tem­po stesso le opere che rimangono belle nel tempo hanno una salda ossatura di rapporti ben calcolati. Certe architetture di Ludwig Mies van der Rohe sembrano fatte ieri, i quadrati di Mondrian vengono imitati da marche commerciali ancora oggi, e via citando. Non si sta parlando quindi di classici­smo né di canoni, ma di armonie di cui forse non si può fare a me­no. Nelle contorte architetture di Frank Gehry non è difficile rin­tracciare la sezione aurea.