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Le coste della Corea minacciate dal petrolio

di Paola Desai - 05/01/2008


 

E' un disastro ambientale di proporzioni enormi: per una volta però bisogna anche dire che l'intervento pubblico è stato tempestivo ed efficace. Parliamo dell'incidente che il 7 dicembre scorso ha coinvolto una petroliera al largo della costa occidentale della Corea del Sud, il più grave mai registrato da Seoul.
La Hebei Spirit era all'ancora un centinaio di chilometri a sud di Seoul quando è stata squarciata da una chiatta porta-gru trascinata dal mare in tempesta. La petroliera ha rilasciato in mare oltre 10mila tonnellate di petrolio greggio, che le onde hanno spinto a riva: almeno 300 chilometri di costa sono stati raggiunti dalla macchia nera e viscida, il catrame ha avvolto uccelli marini e ricoperto scogli, il puzzo ha impestato una riserva naturale. La principale attività lungo quelle coste è la pesca, e ci sono anche molti allevamenti di pesce: ora è tutto fuori gioco, 27mila lavoratori addetti agli allevamenti rischiano il lavoro di cui vivono; anche la popolazione marina è contaminata e la pesca rimarrà ferma per parecchio tempo. Rischia le penne, in senso letterale, anche una folta popolazione di uccelli. La macchia di petrolio infatti minaccia di penetrare nella baia di Cheonsu, abitata in questa stagione da almeno 400mila uccelli migratori. E' una zona protetta proprio perché è un luogo scelto da molte specie di volatili per svernare, o come tappa di passaggio nella migrazione. Se la baia fosse contabinata sarebbe una catastrofe per la fauna selvatica, dice l'organizzazione conservazionista BirdLife International.
Fin qui è la «normale» cronaca di un incidente in cui sono coinvolte petroliere che sversano il proprio contenuto di petrolio greggio, evento fin troppo frequente nei bracci di mare con fitto traffico commerciale (come è il mare che separa la penisola di Corea dalla Cina). Come quello della Exxon Valdez in Alaska o della Prestige lungo le coste settentrionali della Spagna (salvo le proporzioni: la Prestige aveva perso 77mila tonnellate di greggio).
La particolarità qui sta nella risposta positiva al disastro, se dobbiamo credere alla relazione fatta da una missione congiunta di esperti dell'Onu e dell'Unione europea che ha visitato la zona colpita la settimana prima di Natale. La missione ha lodato la tempestività degli interventi disposti dalle autorità sudcoreane - nelle operazioni immediate sono intervenute 200 mila persone, per lo più militari e in parte volontari, insieme a 327 imbarcazioni, 17 aerei e 13 elicotteri. Gran parte delle spiagge ispezionate sono state già ripulite, fa notare il team di monitoraggio, dopo 7 giorni di sopralluoghi: «risultato di un buon coordinamento e del forte sforzo di personale dedicato e di una grande mobilitazione di volontari», riferisce l'agenzia di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni unite (Ocha): e conclude che le prospettive di recupero ambientale della zona contaminata sono buone (ne riferisce il notiziario on-line Environmental News Service).
Le organizzazioni ambientaliste sono meno positive, per ciò che riguarda gli effetti a lungo termine della macchia di petrolio: anche se gli interventi tempestivi hanno ridotto il danno, ci vorranno anni per ripristinare gli ecosistemi. Le autorità sudcoreane intanto hanno spiccato quattro mandati di cattura per i capitani delle quattro imbarcazioni coinvolte nel'incidente: la petroliera, la chiatta con gru e due rimorchiatori che la stavano trainando (l'incidente è avvenuto quando i cavi si sono spezzati). La prima indagine della Guardia costiera infatti ha stabilito che c'è stata una serie di errori umani, incluso il fatto che chiatta e rimorchiatori, di proprietà di Samsung heavy Industries, avevano ignorato gli avvertimenti a non uscire date le condizioni proibitive del mare.