La trasformazione (e quindi anche la cura, la terapia, la politica intesa come innovazione e sviluppo) è fondata sul ricordo, o sul progetto? Naturalmente su entrambi. E’ però inutile nascondersi che in ognuno di questi ambiti (la terapia come la politica), si tende a scegliere una delle due cose.
Nelle psicoterapie è un continuo oscillare tra il feticismo del ricordo e del romanzo familiare, e la banalità del pensiero positivo. Nella politica o si sprofonda nella necrofilia delle costituzioni immutabili e nel culto delle procedure consolidate (caso di scuola quello della sinistra italiana), o in un vitalismo che continua a rifiutare il tema del passato e delle radici, e quindi non riesce mai a metterle.
Questa raccolta di saggi di Paul Watzlawick, studioso e terapeuta scomparso nella primavera di quest’anno è di notevole aiuto per mettere a fuoco con originalità e intelligenza il campo di indagine evocato da questi interrogativi. (Paul Watzlawick, Guardarsi dentro rende ciechi, Scritti scelti con cinque saggi inediti, a cura di Giorgio Nardone e Wendel A. Ray).
Watzlawick, austriaco di Villach, ai confini col bellunese, studiò filosofia a Venezia, divenne psicologo analista all’Istituto Carl Gustav Jung di Zurigo, per lavorare poi al Mental Research Institute di Palo Alto, ed insegnare psichiatria e scienza del comportamento alla Standford University.
Questi saggi, ricchissimi (anche se con qualche ripetizione), ripropongono al pubblico italiano due questioni fondamentali. Una è quella del ricordo, che si trascina dietro l’altra, quella del campo di energie, o del sistema, come l’autore lo chiama, in cui il ricordo è maturato, e delle coincidenze significative che lo costellano. L’altra è quella di uno sguardo diverso al lavoro trasformativo (per me sia quello terapeutico che quello politico), che sappia riconoscere il senso positivo, e di direzione, fornito dall’esperienza dell’insuccesso, e sostituire alla spasmodica ricerca dell’insight risolutore, lo spazio per mutamenti spontanei, e per esperienze correttive.
La critica di Watzlawick dell’utilità del ricordo è evidentemente paradossale, ma comprensibile di fronte al feticismo dell’insight che ha paralizzato tante correnti psicoterapeutiche, dalle più classiche alle più nuove. Ma soprattutto permette di spostare l’attenzione dal singolo evento, che non è quasi mai causa di qualcosa di psichicamente rilevante, alle strutture comunicative, che accompagnano invece la formazione della personalità, e i suoi disagi.
Watzlawick insiste giustamente sul “doppio legame” e sulla sua capacità di produrre scissioni; ma strutture comunicative sono anche quelle simboliche ed archetipiche, nelle quali si costellano quelle coincidenze significative di cui si era già occupato Jung, che col fisico premio Nobel Wolfgang Pauli, aveva messo a punto la teoria della “sincronicità” tra evento fisico ed evento psichico.
Watzlawick è attento ad evitare ogni percorso che possa affermare regole non falsificabili. E’ un suo diritto, tanto più che c’è già, invece, chi ha osato farlo. Non era questa la sua ambizione: tutt’altro. «Non voglio essere un guru» – dichiara – «voglio essere un meccanico che disinnesca meccanismi umani inceppati».

da “Liberal”